Settembre 1670

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«La moglie del generale sta morendo» si lasciò sfuggire Ferraris lustrando il pomolo del suo bastone da passeggio. Galatea sollevò lo sguardo dal ricamo e incontrò per primi gli occhi di Bice.

«Non sapevo che fosse malata» disse questa, infilzando la tela con l'ago. La notizia non sembrava scuoterla e il suo interesse si limitava a quello di una conoscente superficiale; di fatto, la signora in questione non aveva mai brillato a corte, chiusa nella mentalità della campagna dov'era cresciuta, incline ad ostentare uno status che le apparteneva come la luce appartiene alla luna, e cioè di riflesso. La fama di suo marito l'aveva portata in alto, ma non era bastata a renderla popolare. Se il generale era persona gioviale e di compagnia, la moglie aveva una tendenza fin troppo evidente al giudizio pungente: anche Galatea, ancora nubile, si era sentita apostrofare con parole non proprio gentili solo per via delle sue origini modeste. Tuttavia, la notizia la scosse profondamente: di certo non le faceva onore, ma il suo turbamento non era dovuto a un'affezione particolare verso la donna, quanto al fatto in sé che fosse moribonda.

«Vecchi vizi che portano alla tomba, a quanto si dice» rispose Ferraris, guardando in controluce la superficie liscia e lucida del pomolo. Era risaputo, nei circoli giusti, che la moglie del generale amasse più il vino che il marito. Galatea sospirò, abbandonando il fazzoletto ricamato su un bracciolo della poltroncina; istintivamente portò le mani al grembo, avvolgendosi di carezze venate di tensione. Bice, concentrata sul lavoro, non se ne accorse, ma Ferraris, che stava giusto accantonando il bastone e, nel farlo, si era dato un'occhiata intorno, aveva notato quel gesto e si era alzato in piedi.

«Cosa succede? Sentite dolore?» domandò ansioso, sovrapponendo le proprie mani alle sue. Galatea respirò tra i denti e disse, tentando di ammorbidire la voce per non spaventarlo: «No, non sento niente... Solo che una notizia del genere, in questo momento, mi fa venire brutti pensieri»

Ferraris si inginocchiò davanti a lei, continuando ad accarezzarle la pancia: «Non dovete avere paura del parto – bisbigliò, affinché solo lei potesse ascoltare – Molte donne lo affrontano e sopravvivono; voi siete forte e ce la farete»

Senza accorgersene, nel tentativo di farle coraggio rispetto alla cosa più ovvia lei potesse temere, l'aveva solo innervosita ulteriormente. Sebbene fosse più che comprensibile un tale timore, tuttavia Galatea non aveva mai dato motivo di credere che ciò la preoccupasse oltre la misura comune a tutte le donne; la sua paura era un'altra e dipendeva proprio dallo stato di quella donna, così vicina e così, si direbbe, alla portata. Ma come avrebbe potuto rivelare un segreto tanto pericoloso a un uomo che conosceva da pochi mesi, quando non era stata capace di farne parola nemmeno ad Ottavio, con cui aveva un rapporto ben più profondo? Ferraris non sarebbe stato in grado di comprendere, l'avrebbe presa per matta... No. In definitiva, non gliene avrebbe parlato, nonostante il desiderio di farlo fosse irresistibile. Lui si sollevò in piedi, si chinò su di lei e le baciò la fronte: questo era tutto ciò che lei gli permetteva di fare.

Un tonfo improvviso attrasse la loro attenzione verso un angolo della camera. Giovannino fece appena in tempo a rialzarsi dalla caduta, prima che Ferraris gli sferrasse un'occhiata molto severa: «Sta' più attento, ragazzino, o finirai col farti male davvero» lo rimproverò, le mani salde sui fianchi.

«Perdonatemi, signore» si lamentò il bambino, massaggiandosi il gomito con una smorfia di dolore piuttosto buffa. Ferraris, a quella vista, sospirò con lo sguardo rivolto al cielo e si avviò incontro a lui: «Fa' vedere questo braccio – ordinò, genuflettendosi e tendendo le mani aperte – Vediamo se conosco un trucco da soldato per far passare il dolore...»

Galatea lo osservò attentamente, captando non solo ogni singola parola, ma anche il minimo gesto, le espressioni e quasi i respiri. Un sesto senso di madre la guidava nel giudizio: vide Ferraris raccogliere il polso di Giovannino, tastargli il gomito, domandargli dove gli facesse più male. Muovendogli il braccio, dovette arrivare alla conclusione che non ci fosse nulla di rotto, nulla di slogato, e che si trattasse solo di una contusione.

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