Settembre 1663

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Benché abitasse a palazzo ormai da quattro anni e mezzo, Galatea non aveva mai visto l'intera famiglia ducale radunata al completo. Quel giorno, invece, nella ricorrenza del compleanno del duca, anche i parenti più lontani erano stati chiamati a partecipare al banchetto di festa. Il salone delle Udienze traboccava di scintillanti gioielli al collo di innumerevoli dame, giovani o meno; gli abiti degli uomini erano coloratissimi e sui petti luccicavano le spille e le medaglie dei loro ordini di cavalleria. E poi c'erano gli ecclesiastici, vestiti chi di rosso e porpora, cardinali e vescovi; chi di un'austera tunica nera, i gesuiti; e da qualche parte, sommersi dal fasto, i frati, che dovevano trovarsi stretti in un ambiente che così poco aveva a che fare con loro.

Allo squillo delle trombe che annunciavano l'ingresso del duca e della sua famiglia, un fremito percorse la sala, le voci si ridussero a bisbigli, e tutti gli occhi puntarono il grande portone bianco dalle maniglie d'oro. E il portone si spalancò, e sembrò entrare una grande luce: la luce del tramonto, proiettata dalle finestre e dagli specchi per un effetto scenografico accuratamente studiato. In testa il duca e sua moglie, rifulgenti nei loro abiti preziosissimi e arricchiti di perle e pietre preziose; li seguivano l'erede Luigi (il suo nome era un omaggio della madre alla sua terra natia) e la sorella maggiore, Elisabetta; dietro di loro il secondo figlio maschio e la seconda figlia femmina, Antonio ed Eleonora; ancora a seguire, i tre figli minori, Ottavio, Livia e Maria Teresa. Quando si furono avvicinati ed ebbero preso posto, Galatea poté osservarli meglio.

Luigi era un giovane di ventidue anni, alto ma pesante nei movimenti, non dotato della grazia che connotava la sorella che gli camminava accanto; nonostante questo, era un giovane gentile, educato e colto di lettere classiche. In quel momento portava sul petto la spilla dell'erede designato, indossava un abito sui toni dell'azzurro intessuti qua e là con fili d'oro.

Elisabetta aveva ormai compiuto diciotto anni e si preparava al matrimonio che la aspettava al di là delle Alpi, nella terra francese che aveva dato i natali a sua madre. In quel vestito rosa ricamato a fiori sembrava ancora più bella.

Antonio ed Eleonora, rispettivamente di venti e quindici anni, adempivano al loro ruolo di figli cadetti alla perfezione: Eleonora era fin troppo familiare a Galatea perché potesse attrarre la sua attenzione, benché fosse vestita quasi come una duchessa; Antonio, invece, era una presenza fugace, silenziosa e spesso insignificante. Nessuno si aspettava granché da lui e per questo nessuno gli metteva pressione per il futuro, nonostante avesse già compiuto vent'anni. C'era, in effetti, chi aveva avanzato per lui la carriera negli alti gradi ecclesiastici, ma non se ne era fatto nulla, dato che il ragazzo non aveva una predisposizione particolare per lo studio.

Predisposizione che invece si era ritrovata precocemente nel terzo figlio maschio, Ottavio, allora sedicenne, che era stato subito affidato a un collegio di gesuiti e quasi dimenticato là, tanto che nessuno sapeva con precisione da quanti anni il duchino non mettesse piede a palazzo. E anche in quell'occasione, in cui tutti facevano a gara sfoggiando l'abito migliore del guardaroba, Ottavio si era presentato nella sua tunica nera da seminario, con un sottile colletto bianco che faceva capolino a spezzare l'austerità della sua figura.

Seguivano le due figlie più giovani, Livia e Maria Teresa, teneramente mano nella mano. La più grande aveva dieci anni, l'altra ne aveva otto. Indossavano vestiti da adulte e scarpe con un leggero tacco. Poco importava in quel momento che una delle due sarebbe rimasta in monastero tutta la vita.

Il duca e la duchessa aprivano il corteo in abiti meravigliosi. Le fanciulle, assiepate con altre nobildonne, rimasero talmente affascinate da credere per un momento che neanche le ricchezze dell'imperatore potessero reggere il confronto. La duchessa in particolare sfoggiava al collo un magnifico gioiello regalatole dal futuro suocero francese in vista del matrimonio dei rispettivi figli.

Dietro alla famiglia c'erano i principali ministri e i confessori del duca, della duchessa e dei figli maggiori. Padre Saverio era tra questi e camminava con il suo passo solenne avvolto dalla solita tunica nera.

Ancora dietro i paggi del re, in cui Galateacercò con impazienza un volto. E Bice, con un colpetto di gomito e un ditoimpudente puntato, glielo indicò prontamente. Risero, arrossirono, poi sifecero zitte. Era il momento dei discorsi dei ministri.

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