Ottobre 1669 pt. 2

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Il capitano mosse due passi baldanzosi verso il cavallo di Ottavio. Dimenava ancora le gambe, cercando disperatamente di rialzarsi. Nitriva di paura, gli occhi spalancati e le narici tese. Sbuffava, ansimava; presto perse tutte le energie. Reclinò la testa contro la terra, sventolò un paio di volte la coda, quindi giacque inerte. Il capitano lo guardò meglio: la pallottola gli aveva penetrato il collo, portandolo a una morte dolorosa, ma per lo meno rapida. Bersaglio mancato, dunque: ma forse la caduta era bastata a eliminare il duchino una volta per tutte.

Si sporse verso il dorso del cavallo. Ottavio era riverso sulla schiena, le braccia aperte. Era riuscito a non rimanere schiacciato sotto l'animale, gettandosi giù prima di essere travolto. Respirava ancora, ma aveva del sangue tra i capelli. Il capitano si avvicinò ancora e con la punta dello stivale gli spostò la testa delicatamente. Ottavio socchiuse gli occhi e lo guardò confuso e spaventato. Il capitano ghignò, portando la mano all'elsa.

«Mi sarete grato - gli disse, estraendo la spada - Vi risparmierò un sacco di grattacapi». E Galatea urlò.

Paolo, sbucato da dietro l'albero, si era lanciato su di lei come un avvoltoio. Assicuratosi che non si fosse ferita cadendo da cavallo, l'aveva aiutata ad alzarsi e le aveva chiesto come stesse. Lei, intontita, non si era accorta subito del capitano. Aveva solo pensato che la presenza di Paolo fosse una benedizione, che l'aggressione fosse fallita e che tutto sarebbe andato per il meglio. Poi si era voltata verso Ottavio e l'aveva visto a terra, con il piede del capitano calcato sul petto, inerme, e il capitano pronto a colpirlo con la spada. E aveva urlato. Urlato con tutto il fiato che aveva in gola, così forte che le avevano fatto male le orecchie, ma non le importava un bel nulla di sé in quel momento. Si era slanciata in avanti, per assalire il capitano, ma Paolo l'aveva presa per il braccio e trattenuta. Erano quasi caduti; il capitano li aveva guardati con sufficienza, poi aveva dato un'occhiata alla faccia di Ottavio. Terrea di paura e di sconforto.

«Lasciami!» gridò ancora lei contro Paolo, sferrando pugni alla cieca.

Il capitano ghignò di nuovo, sollevò il piede dal petto del duchino e gli ordinò: «Alzatevi, forza!»

Ottavio, controvoglia, obbedì. Barcollò, ma poi si resse ben ritto, quasi impettito. Fissò lo sguardo su Galatea, uno sguardo desolato e già spento.

«Traete la spada» ingiunse il capitano, colpendolo alla spalla con il piatto della lama. Ottavio, recalcitrante, obbedì di nuovo.

«Vi sfido a questo gioco: se vincerete, la ragazza sarà tutta vostra; se perderete, dovrete vederla con lui. Solo dopo potrete morire»

Ottavio lo guardò con odio e respirò forte, poi fece un passo indietro e si mise in posizione di difesa.

«Perfetto per uno scolaro, Altezza - lo derise il capitano, affondando il primo colpo - Ma in duello non conta la postura» e sferrò un diritto fulmineo, anche questo scansato, ma con fatica.

Il capitano giocava come gioca un gatto che prima di affondare i denti nella gola del topolino si diverta a infliggergli una tortura fatta di attacchi innocui, solo per il gusto di vederlo soffrire. E questa era la condizione di Ottavio, consapevole di non avere speranze, pronto a soccombere sotto il tiro che avrebbe realmente mirato al suo cuore o alla sua gola; e tuttavia combatteva con rabbia feroce, dominandosi a stento per mantenere la lucidità. Era quasi facile parare i colpi che il capitano muoveva con la platealità di un maestro, dispensando consigli e rimproveri come se stesse tenendo una lezione. Ottavio sudava, gemeva, ansimava. Galatea avrebbe voluto parlare, incitarlo, ma sapeva bene quanto lui che sarebbe stato vano e si sentiva impazzire. Paolo la tratteneva ancora e questo contribuiva a innervosirla.

«Vieni, Tea, meglio se non guardi» le disse a un tratto, pronto a trascinarla via.

Galatea si riscosse e finalmente si sfogò su di lui: «Ci hai traditi! Traditore, ti odio!»

Figlia di mercanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora