Febbraio 1670 pt. 4 **

1K 82 4
                                    

Galatea si svegliò di soprassalto e scrutò nell'oscurità della stanza alla ricerca di qualcosa di indefinito. Gli occhi, però, non erano in grado di distinguere nulla, nemmeno i contorni dei pochi e poveri mobili di quella camera di osteria. L'abate l'aveva lasciata poco prima, benedicendola con una piccola croce tracciata sulla fronte e un augurio cui forse nemmeno lui credeva fino in fondo.

Era in allerta, i sensi tesi a catturare il minimo segnale di pericolo; poi il rumore che l'aveva svegliata si ripeté e lei capì che doveva trattarsi dell'inquilino di un'altra stanza vicina, una delle poche dell'edificio. L'osteria sorgeva all'interno di un piccolo borgo con qualche bottega: un panettiere era proprio dietro l'angolo e il profumo di pane appena sfornato indicava un orario vicino all'alba. Indecisa se tentare di riaddormentarsi o stare semplicemente a riflettere, Galatea finì fatalmente con il ripensare a Ottavio e prese a domandarsi dove fosse, se fosse in salvo, al sicuro. Chiuse gli occhi, sentendo che il petto cominciava a sussultare di singhiozzi, e udì una voce familiare che le parlava con tono sereno: «Figlia di mercante – la apostrofò teneramente – Cosa ti turba?»

Lì per lì, sorpresa, Galatea non seppe come rispondere a un'osservazione tanto scontata.

«Ti prego, Prudenza, – disse alla fine – Dimmi che tu sai dov'è»

«Io so che è in pericolo, ma dove, mi spiace, non ne posso avere idea» confessò, nel suo modo piano e pacifico. Galatea sbuffò, passandosi una mano sulla fronte.

«Speravo che voi lo sapeste»

«Fortuna certamente lo sa, ma non te lo direbbe. Te lo lascerebbe intuire»

«Non avrei mai la certezza di aver capito bene»

«Questo non ha poi tanta importanza, non credi? In fin dei conti la Fortuna non ha così gran potere quanto vorrebbe far credere»

Galatea corrugò leggermente le sopracciglia: «Cosa vorresti dirmi?»

«Nulla che tu non sappia già – ammiccò Prudenza – Nulla che tu non possa avere già chiaro dentro di te»

«Parla, ti prego»

«Ci sono due modi di vivere per i mortali: farsi governare dalla Fortuna o imporle una propria strada. Noi parliamo del secondo caso, che si complica in altri due modi di intendere la missione: assecondare la Fortuna benigna o contrastare la Fortuna maligna»

Galatea scosse il capo: «Evidentemente il primo caso è molto migliore del secondo e offre più possibilità di riuscita. Mi sembra anzi più che ovvio che la Fortuna sfavorevole è una delle peggiori maledizioni»

«Tuo marito, da quello che dici, sarebbe quindi un maledetto»

Sospirò stringendosi nelle spalle: «Perché lo dici?»

«Inutile illudersi: tuo marito si avvia ad affrontare una Fortuna che gli porge la nuca rasata e lo guarda torva»


Ottavio scese dalla carrozza. La scorta cardinalizia gli aveva assicurato il passaggio dei cancelli dorati ed ora era ai piedi della scalinata che conduceva all'ingresso principale del palazzo. Era notte fonda e le persone ancora in giro erano veramente poche, soprattutto guardie e servi. Al suo apparire, inizialmente, nessuno parve riconoscerlo. Si abbottonò la giacca ostentando calma e indifferenza e, quando si sentì pronto, poggiò il piede sul primo gradino. Accanto a sé vide due soldati della scorta, uno per lato: a destra Marco Lenzecchi detto la Pulce e a sinistra Giovanni da Cremona, due dei migliori. Rinvigorito nello spirito dalla loro compagnia, salì il secondo e il terzo gradino. Al quarto, un mormorio lo avvisò del fatto che l'avevano riconosciuto. Ciononostante non distolse gli occhi dal proprio cammino.


«Forse avrei fatto meglio ad insistere per andare, partire insieme a lui» singhiozzò.

«Si sarebbe opposto. Lui vuole che tu sia al sicuro»

«E perché io non dovrei volere la stessa cosa per lui? Io posso sentirvi, parlarvi... Potrei essergli d'aiuto»

«Non confidare così tanto nelle tue forze, figlia di mercante, e lascia spazio ad armi che non sono le tue. Potrebbero rivelarsi più adeguate contro un nemico che non se le aspetta»

«Parli della Fortuna?»

«No. Parlo del principe Ferdinando»


Ottavio si ritrovò alla porta principale: le due guardie poste ai lati con le alabarde e l'uniforme lucida rimasero sbigottite a guardarlo, come se avessero appena visto un fantasma.

«Sua Altezza è sotto la protezione di Sua Eminenza il cardinale. Abbiamo l'ordine di condurlo ai suoi appartamenti» affermò il capitano della scorta. Non avendo ricevuto ordini contrari, le due giovani guardie cedettero il passo, prima che una di loro corresse dal superiore ad avvertirlo del fatto inatteso.

Immersi nell'atmosfera ovattata dei saloni illuminati da poche candele, con i tendaggi che piovevano morbidi dal soffitto e si ammucchiavano a terra, con le trame damascate ora indorate e ora adombrate dalle lampade con cui i servi aprivano la strada al loro passaggio, il duchino e la sua scorta attraversarono i corridoi. L'eco dei loro passi sul pavimento di marmi rimbombava tutt'attorno, conferendo un'aria di fascino misterioso agli ambienti che Ottavio riconosceva più grazie alla memoria che non alla vista. Poco era cambiato in quei mesi.


«Era proprio di lui che volevo chiederti di più»

«Cosa ricerchi che tu non possa già sapere o dedurre?»

Galatea fremette: «Di lui so solo che vi vede e che sa che anch'io vi vedo»

«Qui sta il nocciolo: tu credi che lo scontro sia fra voi per via del dono che vi accomuna. Ma ti ripeto: è Ottavio il nemico di suo zio e non solo per via della successione. Presto si scontreranno due strategie, due stili di pensiero, due attitudini di vita»

«Sei così misteriosa, eppure così saggia. Dimmi, allora: cosa deve accadere?»

«Ottavio si avvia a battere forte la Fortuna. E quando dico "battere", intendo "picchiare", "bastonare", fin quasi "violentare". Ferdinando, invece, la blandisce, la vezzeggia, e quando l'ha favorevole approfitta per portare avanti i propri interessi. Guarda in là, Ferdinando, e finora la Fortuna è stata sua compagna. Rare volte l'ha vista imbronciata e forse mai calva. Ottavio invece non andrà per il sottile: ha tutte le virtù necessarie a sottometterla e, se la Fortuna non vorrà essergli seconda, sarà lei a doversi fare una ragione della sconfitta»


Ottavio si ritrovò di fronte lo zio cardinale in abito da camera, svegliato poco prima dai servi corsi ad avvisarlo del suo arrivo. Prima ancora di riuscire a salutarlo secondo le regole della buona educazione, il duchino fu abbracciato con impeto e interrogato e benedetto. Lo zio sembrava molto stanco e invecchiato, come se la permanenza a palazzo avesse affrettato lo scorrere dei suoi anni. Ottavio ricambiò l'abbraccio con rispetto e commozione, sentendosi per la prima volta vivo dopo giorni e giorni in cui non aveva avuto tempo di pensare al calore della famiglia. E lì, d'un tratto, tutto diventava concitato, le parole si scavalcavano l'un l'altra, era difficile portare a termine un discorso senza essere interrotti e senza interrompere. Il capitano riepilogava le tappe del viaggio, il cardinale gli prospettava le prossime azioni da compiere, lui cercava stentatamente di rispondere all'uno e all'altro e intanto di parlare un po' di sé, di Galatea. E tutti ascoltavano tutto e si rispondevano a vicenda, in un quadro molto confuso e pur chiaro a chi ne faceva parte. Presto il duca avrebbe bussato, avrebbe voluto sapere. Bisognava prepararsi al peggio e ognuno l'avrebbe fatto a modo suo.


«Quindi Ottavio avrà successo?»

«Ahimè, figliola, ricorda che è una guerra e tuo marito non combatte solo. Il suo nemico ha una tattica, un obiettivo. E gli manca qualsiasi scrupolo»

Figlia di mercanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora