Capitolo11

26 1 0
                                    

Appena suona la campana, gli altri si dirigono verso l'uscita mentre io vado verso la palestra. La nostra scuola è dotata di una palestra riservata solo ed esclusivamenta alla danza. E' stata aperta un'anno fa, quando l'istituto ha proposto corsi pomeridiani didattici, però l'anno scorso c'era solamente un corso di danza contemporanea mentre quest'anno anche di danza classica. Vado nello spogliatoio e mentre indosso la calzamaglia penso a quello che mi ha detto Chris dopo averlo chiamato per tornare in classe: "tu pensi di sapere come ci si sente ed invece non sai niente. Vivi sola nel tuo mondo, fuori dalla realtà. Ma è tempo di scendere dalle nuvole Jasmijn e per una volta fare i conti con la realtà. Cresci". Ogni singola parola era detta con disprezzo, rabbia e delusione. Ogni singola parola affliggeva il mio cuore con una tale potenza capace di frantumarlo. Ha ragione. Devo crescere. Ha ragione lui, i miei genitori e Judith, che diceva che Chris è la persona sbagliata per me, e forse aveva ragione. Sono arrabbiata con me stessa e delusa. Lascio lo spogliatoio ed entro per la prima volta nella palestra. Un'ondata di ricordi mi travolge completamente. Il parquet, le sbarre, gli specchi. Mi sembra tutto così surreale. Così chiudo gli occhi e ritorno a tre anni fa, quando per l'ultima volta ho indossato le scarpette da ballo esibendomi in uno degli spettacoli più belli a cui io avessi mai partecipato. Incominciai a danzare con il sorriso stamapto sulle labbra, un sorriso vero, sincero ma soprattutto felice. Ogni singolo passo, ogni singolo movimento era espresso permanente nella mia mente. Volteggio sulle note della canzone suonata dall'orchestra della scuola di ballo che frequentavo che sntivo nelle mie orecchie. Finisco il balletto e sento qualcuno applaudire. Così mi giro verso la porta. Una signora anziana ma non troppo era ferma sulla porta della palestra. Aveva i capelli raccolti in uno chignon e un lungo vestito nero. Avanzava verso me mentre sorrideva. <<ciao, io sono Madam Gigì, la nuova insegnante di danza classica>> dice la donna sorridendomi. <<salve, io sono Jasmijn Catherine Elizabeth Jansen>> dico io presentandomi. <<Jasmijn, balli così bene, non ho mai visto nesuna ragazza così aggraziata e delicata nei movimenti. Da quanto tempo pratichi il balletto?>> chiede lei. <<ho incominciato a ballare all'età di due anni e da quel giorno non ho più smesso, almeno fino a tre anni fa>> dico io sorridendo leggermente al pensiero di quegli anni fantastici. <<si vede, sei perfetta in ogni movimento che fai, anche se c'è qualche imperfezione nel passaggio da un movimento all'altro>>. <<io incominciarei da subito, e tu sei consensievole, anche perchè sei l'unica che ha accettato il corso di danza classica>> esclama l'insegnante. Annuisco felice e mi posiziono davanti alla sbarra come ordinato da Madame Gigì. E così, si inizia l'allenamento. Giuro che no lo ricordavo così difficile. Una volta finito, ritorno nello spogliatoio e mi cambio. Prendo lo zaino, slego i capelli ed esco da scuola incamminandomi verso casa. <<Jasmijn>> sento qualcuno chiamarmi. Mi giro e vedo Chris correre verso di me. <<e tu cosa ci fai ancora qui?>> domando io fredda proprio come lui si è espresso con me. <<ti ho aspettato. Mi hanno detto che stai frequentando il corso danza e sono stato ad osservarti, sei davvero bravissima>> dice lui sorridendomi. <<grazie, adesso devo andare>> dico girando i tacchi e continuando a camminare ma lui mi prende per mano facendomi girare e così, mi trovo fronte contro fronte con Christian. Ci guardiamo negli occhi, riusciamo a sentire uno il respiro dell'altro. <<cosa vuoi Chris>> dico io con voce strozzata dalle lacrime. Cerco di non cedere anche se è difficile. Chris mi piace, e pure tanto. <<scusami. Scusami per come ti ho trattato oggi. Sono stato proprio uno stronzo. E' che avevo bisogno di sfogarmi e sei capitata tu. Non volevo dirti tutte quelle cose, anzi, a dire la verità non le penso nemmeno>> dice lui tenendomi per mano. <<tu mi hai detto quelle cose con una tale rabbia da farmi paura. Tu non mi conosci. Non sai niente di me. Dici che sono viziata a causa dei miei genitori benestanti ma non è così. Sono cresciuta come te, come gli altri>> dico io scoppiando a piangere. Lui mi abbraccia facendomi poggiare la testa sul suo petto. <<mi dispiace...io....non lo sapevo>> dice lui dispiaciuto. <<non potevi saperlo. Siamo compagni di banco ma non abbiamo mai parlato. Come potevi saperlo>> esclamo asciugandomi le lacrime. <<hai ragione....perchè non lo facciamo ora>> dice lui sorridendo ma mantenendo comunque quell'aria da bad boy. <<adesso? Ma devo tornare a casa>>. <<abitiamo nello stesso quartiere o sbaglio?>>. Sorrido e così continuiamo a camminare verso casa. <<allora, perchè ti sei creata questo mondo immaginario?>> chiede Christian. <<perchè era l'unico modo per essere felice. Sin da bambina i miei genitori mi hanno fatto frequentare i migliori istituti di Amsterdam. All'età di quattro anni mi hanno costretto ad imparare il Galateo a memoria. Quindi l'unico modo per essere felice era quello di sognare. E lo faccio ancora con le mie due sorelline e il mio fratellino>> dico sorridendo. <<davvero? Pesnavo che la tua vita fosse bellissima e invece a quanto pare no>> risponde lui. <<eh già. E poi i miei genitori hanno messo sempre al primo posto il lavoro invece che la famiglia. Quindi io e mio fratello, essendo i maggiori abbiamo cresciuto i nostri fratelli cercando di non fargli mancare quell'affetto che invece io e Richard non abbiamo mai avuto>>. Chris rimane in silenzio, probabilmente scioccato dalla mia affermazione. <<e tu invece? Cosa ti ha portato a trasferirti qui?>> domando io. <<sono irlandese ma la mia vita è stata come parallela alla tua. Anche i miei genitori sono stati poco presenti nella mia infanzia e questo li ha spinti a lasciarmi solo>> dice lui. <<in che senso solo?>> domando io. <<nel senso che mi hanno abbadonato. Sono stato affidato a diverse famiglie ma nessuna voleva un ragazzino delinquente. Abitavo in uno dei quartieri dell'Irlanda in cui la delinquenza era quotidianità. All'età di undici anni rubavo gli accendini e le sigarette. Dovevo sfogarmi in qualche modo. Però, tre anni fa, una famiglia olandese trasferitasi in Irlanda, ha deciso di prendersi cura di me ed eccomi qui>> dice lui sorridendo ma si capisce che ciò che dice gli costa molto. <<cavolo, non pensavo avessi un passato così travagliato>> risposi io. <<eh già. Tu sei la prima persona a cui racconto queste cose>> esclama lui. <<devo esserne onorata?>> domando io sarcastica. <<si>> domanda lui avvicinandosi di nuovo al mio viso. Un leggero venticello svolazza nell'aria, scompigliando i miei capelli e quelli di Chis. Il sole sta tramontando e la luna sta sorgendo. Noi ci guardiamo negli occhi rimanendo incantati uno dagli occhi dell'altro. Lui porta le mani sulle mie guance rosee accarezzandole con i pollici. Gli occhi di entrambi si chiudono spontaneamente. Adesso la nostra ragione è messa da parte, a guidarci è solamente il nostro cuore. Le nostre labbra si avvicinano sempre e non appena sono a pochi centimetri di distanza.......

Welcome To My LifeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora