Twenty-three.

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Ero rimasto paralizzato quando la madre di Drey, se così poteva essere definita, aveva pronunciato quelle parole con una cattiveria tale da farmi accelerare il battito cardiaco.
Le mie emozioni, in quel momento, erano miste: ansia, timore, ribrezzo.
Il mio cervello non riusciva a metabolizzare tutto ciò che stava accadendo, sembrava un incubo terribile.
Era ancora lì, seduta su quel divano ed era soddisfatta, lo capivo dal sorrisetto sghembo e malvagio che aveva stampato in volto.
Lanciai uno sguardo veloce a Lori, anch'egli era praticamente immobile, con il viso pallido ed il labbro inferiore tremolante, segno che era agitato.
Passai più volte una mano tra i capelli e presi a torturare la piuma del mio lobo sinistro, scuotendo la testa incredulo.
«Tu non puoi farci questo» sussurrai dopo secondi interminabili, osservando la donna dinnanzi a me.
«Filippo, sarei capace di tutto» ridacchiò, come se quella fosse una cosa divertente.
Ma non lo era per niente.
«Se lo facessi, lasceresti in pace Drey?» lei annuì alla mia domanda, porgendomi la mano.
«Hai la mia parola» ammiccò, tenendo il braccio disteso in attesa della mia risposta.

Lori posò una mano sulla mia spalla e si piegò sulle gambe per arrivare alla mia altezza, dato che ero seduto. «Non mi fiderei» mormorò al mio orecchio.
Felia udì quella frase e scosse la testa. «Sarò spregevole, ma i patti sono patti. Sono una donna d'affari di una certa importanza, mantengo ogni cosa che dico.»
Sospirai frustrato e, dopo secondi interminabili, strinsi la sua mano. Un patto col diavolo.
Ma dovevo salvarla, preferivo vederla star male per un po' piuttosto che vederla morta; io avrei sofferto come non so cosa, ma avrei dato la vita per lei.
«Giulia sa già tutto, la mandai io da mia figlia» disse poi, sollevandosi dal divano «Tornerai con lei, così sembrerà tutto molto vero. Fai quel che devi, dolcezza» concluse, prima di lasciare l'abitazione.

«Non ho intenzione di stare a guardare» sputò il ragazzo, quando restammo da soli. «Audrey non lo merita, Fil!»
«Non so, preferisci vederla morta, Lorè? No, perché io sono alle strette. Se poi vuoi vederla in una bara, me lo fai sapere» urlai, percependo i nervi a fior di pelle.
Lo sguardo del mio amico era assente, mi guardava come se stesse guardando un mostro.
Scossi la testa e, dopo essermi alzato ed aver camminato avanti e indietro per una manciata di minuti, sferrai il pugno chiuso contro la parete.
Non meritavamo tutto ciò, non meritavamo di star male, di soffrire ancora.
«Porca puttana!» sferrai un altro colpo «Che cazzo ho fatto di male per meritare questo, eh?» chiesi, più a me stesso che al giovane.
Egli si avvicinò prontamente a me e mi fermò, stringendomi in un abbraccio: non mi resi conto che stavo praticamente singhiozzando, avevo le guance bagnate e la mano sanguinante.
Mi sentivo a pezzi.
Così vuoto da non avere nemmeno le parole per esprimere i propri sentimenti; Avevo il cuore frantumato, ma sfortunatamente la mia mente era ancora intatta. Il che mi portava a realizzare fino in fondo quanto fossi devastato.

***


Two days later.

[ DREY ]

Oggi finalmente si ritornava a scuola, ero agitatissima sia per il serale sia per il fatto che avrei rivisto i miei compagni e, principalmente, Irama.
Il treno sfrecciava tranquillo sulle rotaie provocando quel suono metallico che mi trasmetteva calma, senza sapere precisamente per quale ragione.
Ero quasi giunta a destinazione, lo capii dalla voce che fuoriusciva da uno degli altoparlanti: Prossima fermata, Roma Tiburtina.
Mi affrettai a recuperare il mio zaino da uno degli spalti reggenti e restai in piedi, lasciando vagare gli occhi che, curiosi, osservavano le persone dividersi in diverse parti per poter prendere i loro bagagli.
Sembravano confusi e felici, soprattutto una figura sulla quale mi concentrati ulteriormente: quella donna avrà avuto, più o meno, sui settant'anni. Reggeva tra le mani un pacco enorme di una pasticceria ed aveva gli occhi così luminosi da far invidia alle luci dell'alba; immaginai stesse andando da qualcuno di speciale, magari dai suoi figli o dai suoi nipoti.
Mi piaceva guardare chi mi circondava, riuscivo sempre ad immaginare la loro storia navigando nella mia fantasia.
Il treno si fermò ed io sgattaiolai fuori dal vagone, restando qualche minuto ad inspirare l'aria primaverile di Roma; poco dopo, fui distratta da qualcosa: la donna di prima era avvinghiata ad un uomo della stessa età e si dedicavano baci puri e limpidi, come fossero la cosa più preziosa del mondo.
Non ci pensai due volte a prendere il mio cellulare per scattargli una foto; erano così naturali da mettere i brividi.
«Drey!» voltai lo sguardo verso la voce che mi richiamava e ridacchiai quando vidi Nicole correre verso di me, come se non ci vedessimo da anni.
La raggiunsi a passo svelto e la strinsi in un abbraccio, lasciandomi andare in una risata.
«Che stavi facendo con quel cellulare?» domandò quando sciolse l'abbraccio per potermi guardare.
Indicai con un cenno della testa le due persone e lei sorrise, scuotendo la testa. «Sei un'inguaribile romantica» affermò, prendendomi sottobraccio ed iniziando a camminare.
Raggiungemmo velocemente il nostro, ormai, ritrovo; ci accomodammo nel tavolo più nascosto del chioschetto ed ordinammo i nostri soliti frullati.
«Beh, come è andata?» chiesi, riferendomi all'incontro della sua famiglia con Alessandro.
Mi guardò con un'espressione vaga che, ovviamente, nascondeva la felicità. «Alla grande, i miei lo amano, mia sorella soprattutto» rispose, ridacchiando.
«Tanta ansia per nulla!» la punzecchiai, con una smorfia divertita in viso, per poi ringraziare il barista che aveva appena portato le nostre bibite.

Tornerai da me. [ IRAMA ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora