Capitolo 16

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"Come mai mi hai portata qui?"

"È sempre stato un posto speciale per me... Questo piccolo fiume mi calma tutte le volte che ne ho bisogno. Forse è perché qui non ci viene mai nessuno..."

Era il suo posto segreto, e l'aveva mostrato proprio a me. Non potevo crederci.

"Sì, è un bel posto" commentai.

Non lo pensavo veramente, lo vedevo più come un piccolo canale attorniato da erbacce, ma se lui ci teneva a stare lì non volevo tirarmi indietro.

Si sedette per terra, e io mi sistemai vicino a lui.

Volevo assolutamente un contatto fisico, così cercai di nuovo la sua mano, che prontamente strinse la mia.

"E come l'hai scoperta quest'oasi?" gli chiesi.
"Io vivo qui vicino" rispose indicando con una mano verso sinistra una direzione che non seppi identificare.
"O almeno... ci vivo dal lunedì al venerdì" aggiunse poi.

Dal lunedì al venerdì?

"In che senso?"

"Come ti ho già detto vado all'università. La mia vera casa non è qui in città, si trova in un paesino in mezzo alla campagna a kilometri e kilometri di distanza da qui... Sarebbe stato impossibile andare avanti e indietro tutti i giorni, così a casa ci torno solo per i weekend. E solo alcuni week-end"

"Vivi da solo quindi?"

Un brivido mi corse lungo la schiena mentre pronunciai quella frase. Forse lui era davvero troppo grande per me se ormai viveva da solo.

Annuì. La conferma.

"Se vuoi ti mostro l'appartamento. È qui a due passi".

Era vero, il palazzo era letteralmente a due passi, tanto che, se non fosse stato per la strada che passava in mezzo, il fiume sarebbe potuto essere considerato parte del giardino.

Mi fece salire fino al terzo piano.

C'era l'ascensore, ma lui andò diretto alle scale.

Mentre girava la chiave nella toppa non sapevo davvero cosa aspettarmi dell'interno.

Finalmente aprì la porta: l'appartamento era molto piccolo, ma in fondo ci doveva vivere da solo.

Il salotto e la cucina erano nella stessa stanza: solo un tavolo con due sedie divideva il piccolo piano cottura dal divano blu e dalla televisione.

Di fronte a me c'era un porta aperta che dava sulla camera da letto, e più in là quello che doveva essere il bagno.

"Che ne pensi?" mi chiese, chiudendo a chiave la porta con uno scatto che mi fece correre un altro brivido lungo la schiena.

Non è che avessi paura di lui, ma qualcosa mi inquietava... Forse il pensiero fisso che potesse farmi del male, visti gli eventi della sera prima.

"È carino" risposi.

"Hai già mentito una volta per il fiume, e adesso ancora. Me ne sono accorto" mi disse.

Eh? Cosa? Che? Come aveva fatto a capirlo?

"No, no... Mi piaceva il fiume".

Mi guardò alzando le sopracciglia.

"Mi accorgo quando le persone mentono. Ma non me la prendo, tranquilla, quel posto non piace a nessuno".

Sorrideva, buon segno.

"L'appartamento però è carino davvero" commentai.

"Ah, sento odore di bugia..." mi disse.

Quel posto mi metteva inquietudine, ma come potevo spiegarglielo?

Probabilmente non era colpa dell'appartamento in sé, ma del fatto che lui fosse lì con me e che ci fosse la porta chiusa.
Non sapevo nemmeno io di cosa avevo paura esattamente.

Cercai di prenderla sul ridere per cambiare discorso: "Nah, non è vero! E poi tu come faresti ad avere questo superpotere di capire se una persona mente?"

"I bugiardi riconoscono gli altri bugiardi"

La mia paranoia costante delle ultime ore era stata pensare che lui stesse fingendo di tenere davvero a me e fosse solo bravo a recitare, e ora lui se ne saltava fuori con frasi del genere.

Non volevo soffrire.

"Ma il meglio è di qua" mi disse trascinandomi nella camera da letto, "qui ho cercato di ricreare il mio mondo".

Le pareti erano tappezzate di poster che raffiguravano band che non avevo mai sentito nominare, e all'angolo della stanza, di fianco alla scrivania piena di libri, c'era un cavalletto con appoggiata sopra una chitarra elettrica.

"Suoni?" gli chiesi.

"Non esattamente. Ma sto cercando di imparare."

"Beh, ti fa onore. La musica è sempre una bella cosa" commentai sedendomi sul letto.

"Avanti, lo so che ti stai immaginando che io suoni una serenata per te" disse ridendo.

Eh eh eh... Mi aveva scoperta.

Risi imbarazzata.

"Ma a me piacciono il rock e il metal. Non esistono serenate metal" continuò lui.

Non sapevo cosa dire, ma il solo pensiero che lui potesse suonare per me mi fece arrossire.

"Non hai paura?" mi chiese poi.

"Di cosa?"

Ero confusa.

"Di stare qui con me... su un letto... dopo quello che ti ho fatto ieri sera".

Mentre parlava si sporgeva sempre più verso di me, tanto da costringermi a indietreggiare con il busto.

"Pensavo fosse acqua passata" risposi.

"Speravo che avresti risposto così"

La sua voce era un sussurro.

Mi baciò, e il contatto mi fece indietreggiare ancora, fino a che non mi trovai distesa sul letto.

Dalla maglietta corta mi si scoprì un tratto di pelle, e lui non esitò a metterci la mano sopra e ad accarezzarmi la pancia, per poi far salire la mano sotto la maglietta fino all'elastico del reggiseno.

Mi mancava il respiro.

"E adesso hai paura?" bisbigliò.

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TUTTO PER COLPA DI UNA FIRMADove le storie prendono vita. Scoprilo ora