1-Benvenuto, mostro.

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Le ruote della bici volano veloci sull'asfalto, lo mangiano senza problemi.
Il vento si muove tra i miei capelli raccolti, gli occhi individuano un passaggio laterale e sono subito lì, un tuffo oltre la recinzione di legno.
Stringo forte i manubri ed evito di schiacciare il freno.

Voglio sentirmi libero.
Voglio allentare le briglie del mio cuore e scappare almeno per un istante.

Sorpasso un'abitazione e una donna mi grida dietro qualcosa, forse un rimprovero per averle fatto cadere a terra qualche abito appeso.
Sogghigno e scarto di lato, la gomma produce un fischio potente che si solleva nell'intero quartiere.
Nessuno può fermarmi.
Siamo solo io e il mezzo sotto di me.

Muovo le gambe e mando avanti i pedali con semplicità, nessuna fatica, nessun affanno.
Impenno su di una lamina in salita e mi lancio sotto con un balzo degno dei migliori stuntman.
Rido, un suono che profuma di gioia e felicità.
Non importa se verrà ben presto coperto, sotterrato da strati e strati di paura.
Queste ore sono mie e lui non potrà rubarne i minuti.

«Daniel!»

Un monito al quale non desidero prestare attenzione.
Scusa, Adel, sarà per la prossima volta. La mia bella bimba ha ancora bisogno di usurare le gomme nel viale ruvido.
Un gatto spunta all'improvviso e spalanco le palpebre, lo raggiro perdendo quasi il controllo del mezzo.

«Merda» sbraito con il cuore a mille.

Se fossi caduto a terra con questa velocità, come minimo mi sarei fratturato qualche osso.
Beh, meglio di tutti i lividi attualmente presenti sul mio corpo.
Cadere avrebbe fatto meno male.
Imbocco la discesa dritta e chiudo gli occhi, pieno di beatitudine.
Non un ostacolo sulla mia strada, non un intoppo; solo il tramonto sul viso.

Qualche ciocca di capelli sfuggita al controllo del laccio mi frusta la pelle, il colore caldo del sole trapela dalla fessura delle palpebre.
D'un tratto e senza preavviso la ruota colpisce un sasso e mi costringe a frenare di botto. Compio un giro della morte e mi ritrovo con la schiena contro il terreno e il fiato spezzato.

«Cazzo» rantolo senza respiro guardando il cielo, immergo nell'imbrunire le mie iridi verdi chiaro.

Dopo un primo istante di panico inizio a ridere senza controllo.
Sono vivo.
Dannazione.
Un sollievo per molti, una maledizione per me.

Mi tiro a sedere e osservo con sgomento la maglia lacerata in più punti, un rivolo di sangue cola dai graffi.
Poco male; dolore in più, dolore in meno.
Torno in piedi a fatica e impreco quante più parolacce a disposizione nel vedere la ruota della bici girare a vuoto, un angolo del manubrio piegato in modo anomalo.

«No, no, ti prego, bimba, non puoi esserti rotta» mi lagno rimettendo dritta anche lei, constatando i danni.

Dai, forse un paio di colpi di martello e sarò in grado di rimediare al guaio.
Dio, se lo vede Adel mi farà la pelle.
Inizio a sudare freddo e mi chiudo le palpebre con le dita. Va bene, potrò sempre mettere su il broncio e cavare fuori qualche lacrima, di certo smuoverò compassione nel cuore gelido di quella donna.

Scuoto la testa e abbasso le spalle.
La mia tutrice - per scelta sua e non mia -, è immune ai miei pianti.
Sbuffo e mi avvio per la salita. Credo di aver sentito la schiena scricchiolare, però non ne sono così certo.
E se mi fossi spezzato una costola? Mio padre non mi avrebbe mai portato a rimetterlo in sesto anzi, per lui sarei potuto schiattare su questo cemento, gli avrei fatto soltanto un favore.

È stato un vero miracolo uscire più o meno illeso dalla caduta.
Intravedo la mia abitazione in lontananza e deglutisco, stringendo così forte i manubri da farmi male.

Il suono della mia PauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora