Fermo la bici negli appositi sostegni e mi tengo a loro. Lo spiazzo si capovolge come se avesse appena compiuto una giravolta completa invertendo l'ordine di cielo e terra.
Barcollo verso il gruppo di ragazzi, la sciarpa tirata su fino al naso.
Ho freddo, più di tutti gli altri giorni.
Tossisco nella stoffa, i polmoni pesanti e doloranti.
Ho dormito male, troppo impegnato a tremare e a gettare fuori il fiato, la gola arrochita dalla tosse.«Dani, tutto bene?» si informa Mirko affiancandomi.
Mi specchio nelle sue iridi petrolio e scorgo il mio riflesso in quella patina profonda.Sembro un moribondo, e forse è proprio così.
Non abbiamo il termometro a casa, però sono certo di rasentare almeno il trentotto.
Restare a casa per l'influenza? Impossibile.
Mio padre non me l'avrebbe mai permesso. Lo immagino quasi dire: -Fila a scuola, razza di ingrato bastardo-, o qualcosa di simile.
Sorrido e annuisco.«Sto bene» rispondo in ritardo, filando oltre la soglia della classe.
Quando mi siedo, sospiro felice.
Le mie gambe sembrano percosse dall'interno, un martello pneumatico a scuotere le fondamenta.
Come io sia riuscito a pedalare resta un mistero.
I suoni sono ovattati, la lavagna una macchia sfocata, la matita continua a cadermi dalle dita e a rotolare lontana.
In tutto questo ci si mette la fame. Avevo troppa nausea per ingerire qualcosa, e ho lasciato mangiare a Roberta la mia parte.«Daniel, vieni tu a concludere il passaggio» mi esorta l'insegnante.
Sta sorridendo gentile, o sono io a vedere sul suo viso una smorfia da assassina?
Quasi rido mentre mi faccio forza.
Avanzo, i piedi due mattoni uno dopo l'altro. Con la mano vado a vuoto e manco il gesso tra le sue dita.
Le sue labbra si muovono.
Ma cosa diavolo sta dicendo?«Non la sento» biascico con la bocca impastata, la testa mi ciondola sul petto.
Poco prima di cadere a terra, sento qualcuno chiamare il mio nome.
O magari l'ho inventato assieme al resto.Stringo le palpebre, l'acqua cade dalla pezza sulla mia fronte e viene assorbita dal cuscino.
Dove sono?
Mi sembra di fluttuare sopra un immenso campo vuoto, un manto soffice attaccato al corpo e un profumo gentile nelle narici.«Daniel.»
Sì, questo è il mio nome... giusto?
Il mio petto viene dilaniato da un altro colpo di tosse, mi spezza il fiato e sento il sapore del sangue in gola.
Sto morendo?Chiacchiere, rumori bassi e incomprensibili.
Dischiudo gli occhi e vago, un naufrago alla ricerca di un punto fisso e conosciuto.
Sorrido.
Trovato.«Mirko» mormoro roco e lui risponde con un mezzo sorriso.
«Ehi, ti sei svegliato finalmente. Sei svenuto in classe e ti abbiamo portato in infermeria», rivela, «hai trentanove di febbre. Perché non sei rimasto a casa?» domanda piano curvando le sopracciglia.
Cavolo, è davvero preoccupato per me.«Io... ce la facevo» rispondo debole e per nulla convinto.
Avrei fatto meglio a chiedere una mano ad Adel.
Ho sottovalutato il problema. E se fossi finito sotto una macchina, svenuto in mezzo alla strada?
Dannazione.«Hai ragione, tu sei forte» risponde il mio amico con una lieve risata, e io accompagno il suo suono.
Ride così naturale, quasi come se fosse un canto.
Prende le mie dita tra le sue e mi riserva uno sguardo di rimprovero, imbronciando le labbra.«Non fare così. Sorridi» gli chiedo e, nel mentre, sollevo entrambe le mani fino a raggiungere il mio viso.
Ha una stretta così gentile.
Schiocco un bacio delicato su una delle sue nocche, la pressione delle labbra resta lì per qualche secondo. Poi, se ne va.
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Il suono della mia Paura
General Fiction[SPIN-OFF/PREQUEL DI: "DESTINO"] (Sospesa.) Essere abbandonati dalla propria madre non è un problema; abitare con un mostro ubriaco e manesco neppure; crescere in fretta e tenere sulle proprie spalle la vita di una sorella piccola, neanche. Questo s...