I miei racconti.

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Tema: Raccontaci la tua vita e i tuoi sogni.                             
Daniel Maset.

C'è il nero nei miei giorni.
A volte, quando sono fortunato, riesco a vedere uno spicchio di luce, però scappa via come se non fosse mai esistito.
Mi chiedo: come può essere capitato a me? Come può il destino gettarsi su un ragazzino della mia età?
Poi però penso di essermelo meritato, non c'è altra spiegazione.
Sono un bastardo, come dice mio padre.

Un bambino non voluto, abbandonato da tutti e due i genitori.
La mamma mi ha lasciato ad essere masticato dalle fauci di una bestia maligna.
Non ho mai avuto bisogno di immaginare un mostro nel mio armadio, come si vede nei cartoni animati o si legge nelle storie.

Il mio mostro è vivo, respira, si sfama della paura e me la soffia contro, cercandone di più.

Quando mi sento disperato, provo a credere al meglio: penso alle nuvole, penso al prato, penso al profumo dei biscotti.
Però è difficile. Io non ci riesco tanto, questo nero è forte ed è peggio della notte più buia.
Non ne uscirò mai.
Il lupo nel corridoio mi sbrana se metto piede fuori quando non vuole, mi picchia con il bastone e mi fa tanto male.

L'altro giorno ho appeso uno scacciapensieri. Prima di andare a dormire lo guardo e spero davvero di salvarmi.
Perché è accaduto? Sono stato forse capriccioso? Ho desiderato il ritorno della mia mamma per troppo tempo?
Piango e basta, anche se la mia vita è fin troppo annacquata e non posso bagnarla più di così, potrei affogare!
È un vortice scuro. Lotto, mi tengo, risalgo, ma alla fine torno sempre giù. Il giù è una parola difficile, è una parola che neppure capisco, ma so che è brutta.

Sogno di tornare a correre nei pomeriggi senza dover guardare l'orologio, di mangiare piano, di tornare a casa e ridere, di diventare grande in fretta.
Sogno di festeggiare il mio compleanno, il Natale, le feste e di scartare un regalo, uno solo va bene. Io non li ho mai ricevuti, perché gli altri bambini sì e io no? Ne hanno tanti e sono felici. E hanno le torte, e i dolci e tanti baci, abbracci e amore.

Io niente.

Lo sa, professoressa, ho paura che morirò da un giorno all'altro e, ciò che è peggio, è che forse sarò io stesso a spegnere l'interruttore.
Non ce la faccio.
Non ce la faccio più di piangere.



Tema: Raccontaci la tua vita e i tuoi sogni.                            
Daniel Maset.

C'è il giallo nei miei giorni.
Quello del sole, dei fiori, della linea dritta sul bianco della mia bici.
Ogni tanto il mio papà prepara dei biscotti, il profumo arriva fino in stanza e io ne mangio troppi e mi fa male la pancia.
Mia sorella mi sveglia per giocare e mi ruba le macchinine e i giochi, e lascia a me le sue bambole. Ma io non le voglio, sono un maschio!

Le amicizie sono importanti.
Ne vorrei sempre di più, una grande piazza di persone da conoscere, con le bancarelle con i pesci e tanti dolci, i fuochi d'artificio nel cielo di stelle.
Vorrei andare in vacanza, vedere l'oceano, ascoltare il suono dei delfini.
Per quando sarò grande sogno una moto tutta mia, di girare il mondo, visitare luoghi lontani e mai esplorati. Un'emozione assurda.
Se scoprissi io una grotta mai esplorata? La chiamerei con il mio nome, senza cognome, però.
Sogno un amico da tenere nel cuore, una persona legata con un singolo sguardo.

Insomma, un migliore amico per sempre.

Vorrei anche un fratello, però mio padre e mia madre si sono lasciati e vivo solo con Roberta, la mia dolce sorellina.
Non fa niente, lei è la migliore, anche se dispettosa.
Per ora non ho bisogno di altro, la mia vita è completa così com'è.

Ho stracciato il primo foglio.
Non potevo permettere a nessuno di leggere il mio cuore.
È stato uno sfogo, e tale rimarrà.
L'ho sostituito con delle parole false, vuote, costruite.
Perché nessuno, neppure la carta, può assorbire il colore nero, né cancellarlo.
Voglio solo smettere di ascoltare il suono della mia paura, e non so quando questo accadrà.

È la mia dannata musica.

La professoressa mi ha chiesto: -Daniel, hai parlato solo dei tuoi sogni, come mai?-

-Perché aspetto il momento in cui sarò grande, e potrò avverarli-, ho risposto.

Lei ha proseguito, dicendo che i miei compagni avevano scritto tante informazioni, alcuni riempiendo tutte e quattro le pagine del foglio doppio.
Invece, io, neppure metà testo.

-Non sono bravo a concentrarmi, mi sono perso-, ho mentito.
Poi ho riso quando lei mi ha detto di avere sbagliato il compito assegnato.
No, non l'ho fatto.
Le risposte giuste c'erano, però il foglio vero è incastrato nella mia tasca, tinto di un inchiostro troppo scuro.

Nella mia vita non c'è niente di bello, non potevo scrivere niente se non qualcosa di inventato e, dopo un po', l'inventiva ha smesso di aiutarmi a costruire un Daniel finto, uno che non sentivo di essere.
Non esiste la striscia gialla sulla bici; non ci sono i biscotti e il loro profumo; neppure i giochi e le bambole.
Il mio unico giocattolo è un peluche di quando avevo tre anni, un coniglio che ho regalato a mia sorella.

Avrei dovuto consegnare il foglio bianco e passare direttamente alla risposta successiva, quella sui sogni.
Perché di quelli ne ho tanti, primo tra tutti chiudere a chiave l'armadio del mio mostro e lasciarlo fuori dalle mie giornate.
Impossibile, per questo li chiamano sogni.

Ci ho provato.
Meglio di niente, no?
Chiudo gli occhi.
Li riapro.

Sono ancora qui?
Sì.
Sono ancora qui.

Non mi resta altro che scrivere e riempire nuovi fogli, fino a quando saranno così tanti da non entrare più nelle mie povere tasche e, stanco di trascinarli, mi farò schiacciare dal peso fino all'ultimo respiro.

Il suono della mia PauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora