9-Colpire il cuore.

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Grida, mani in alto, applausi.
Tutto questo per una partita di calcio contro una squadra avversaria.
Mi sento schiacciare tra i ragazzi, qualche genitore fischia più del dovuto e incita il proprio figlio a correre di più, o a passare la palla.

Vittoria mi sistema il cappellino sul capo e sorride gioiosa. È normale, suo figlio è il capitano della squadra e decisamente il migliore nel gruppo.
Individuo Mirko tra gli altri.
È così assorto, concentrato, serio.

Mi mordicchio un lato del labbro senza farci caso, nel mentre i miei occhi non lo perdono neppure per un secondo.
Sembra che il vento stesso fatichi a rincorrerlo, le sue gambe si tendono e i muscoli si vedono sui polpacci.
Stringo la mia maglia quando qualcuno gli va contro e prova a buttarlo giù nella speranza di vederlo crollare. Però Mirko è una roccia, difficile anche solo pensare di scalfirlo.

«Tesoro, abbiamo capito che quello è il nostro ragazzo, non devi perdere le corde vocali.»

David, il marito di Vittoria, è molto più calmo della moglie. Prende la passione del figlio con le pinze, o almeno è questo che ripete da quando lo conosco. Crede sia qualcosa di passeggero, eppure io non la penso come lui; Mirko è davvero portato per questo.
Su una cosa però ha ragione: Vittoria urla così tanto da stordirmi. Se riuscirò a mantenere integri i miei timpani, sarà un vero e proprio miracolo.

«Zitto, stupido orso. Mirko vale ogni mia energia» lo rimbecca lei con un'occhiata penetrante. Lui si limita a stringersi nelle spalle e a riportare l'attenzione verso la partita.

Questi battibecchi sono divertenti, la maggior parte delle volte mi ci ritrovo nel mezzo e uno dei due finisce per guardare me in un tentativo di corrompermi per portarmi a favore della situazione. Sebbene io mi mantenga sempre in territorio neutrale, alla fine ci rimedio comunque qualche caramella o dolcetto.
Stavolta hanno trovato subito un accordo. Peggio per me.

La folla applaude con più forza e torno con lo sguardo sul campo, il tabellone segna un nuovo punto per la nostra squadra.

Fanno scintille, sono un gruppo unito e affiatato. Dove spunta uno, ecco che ne arriva un altro pronto a prendere il pallone e a intercettare le intenzioni del compagno.

Solo in questi momenti sogno di farne parte, di segnarmi agli allenamenti e prendere posto in questo mondo estraneo. Poi, però, mi ricordo della pesante catena ai piedi, un carcerato costretto a scontare le proprie pene in una cella a grandezza di una casa.

Così va, e poi il calcio neppure mi piace, quindi non fa niente.
Il primo tempo si conclude e io lascio andare il respiro trattenuto, il corpo avvolto dall'adrenalina.

Odio stare fermo.

Mirko si tampona il viso con un asciugamano, poi solleva gli occhi e li porta su di noi. Il sorriso spunta sul suo viso quando mi vede indossare la maglia e il cappello che portano il suo numero: il dieci.
Sorrido a mia volta e mi blocco quando la mia mente realizza di voler posare il palmo contro le labbra e lanciargli un bacio volante.
Mi limito a portare entrambe le mani contro le ginocchia e a stringere, una presa forte.

Negli ultimi tempi sto facendo i conti con me stesso e con questo stupido calore dentro il mio petto: quello che mi fa desiderare di stare sempre con il mio migliore amico; di tenerlo per mano; di abbracciarlo e inspirare il suo profumo.
Ho dato la colpa ai disegni di Noel e ai suoi dannati fumetti pieni di ragazzi assieme ad altri ragazzi.
Prima della sua comparsa non mi era venuto in mente nessuno di questi pensieri, e adesso, invece, ne ho la testa piena e mi fanno male le tempie a forza di riflettere.

Insomma, siamo solo tanto amici e Mirko è l'unico con cui mi sento al sicuro e in pace. È normale confondere l'amicizia con... be', qualsiasi altro tipo di sentimento.
Non ha senso girare ancora attorno all'argomento; è così e basta.

Il suono della mia PauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora