16-Lei sì che ha capito tutto.

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Forza e coraggio, posso farcela.
Lo devo al mio amico, al mio migliore amico.
Prendo un nuovo respiro, uno che rinfresca i polmoni e fa anche un po' male per averlo trattenuto troppi secondi di seguito.

«Secondo te, come ci sta questo colore qui?» chiede Noel, indica il suo foglio e fa una smorfia poco convinta.

«Sì» rispondo distratto, arrotolo la matita tra le dita e picchietto sul tavolo con il bordo superiore.

Come dirlo? Come affrontare questo discorso?
Cavolo, è peggio di quanto mi aspettassi.
Dovrei essere spigliato, gettare i dadi sul tavolo e guardarli volteggiare per poi posarsi, e infine accettare il verdetto. Certo, la voglia di battere la superficie e vederli cambiare numero è tanta, però so anche stare al mio posto, quando serve.
O almeno credo.

«Sì, cosa?» insiste e muove una mano davanti al mio viso. «Terra chiama Daniel» aggiunge e io sbatto le palpebre, la stanza sembra riprendere tutti i bordi e la mia attenzione si focalizza su di lei.

Ha parlato proprio con me, e deve aver detto qualcosa di importante, altrimenti non mi guarderebbe a quel modo, giusto?
Diavolo, Daniel, concentrati su ciò che hai e non su cosa potresti o vorresti dire.
Tanto alla fine uscirà comunque in un modo o nell'altro, tanto vale attenersi al piano dei dadi, ficcare la testa nel mucchio e rovistare per trovare un compromesso.

«Scusa, pensavo ad altro» mi giustifico con un sorriso e lei alza gli occhi al cielo.

«Come se fosse solo un atteggiamento di adesso», mi getta un'occhiata da sopra gli occhiali, «ultimamente sei strano, e non vuoi dirmi perché.»

Ingoio, spero che la colpa non sia così visibile sul mio volto.
L'ho evitata come un codardo, ma quando i nodi vengono al pettine non è più possibile ricacciarli indietro.
Questo pomeriggio sarà quello fatale: perdere o vincere, nessuno sconto.

Schiarisco la gola in un tentativo di sciogliere quel groppo pesante, il solito che rende il tono roco e più lo butti giù e più sale, sempre presente e minaccioso come se avessi un rospo incastrato e ben piantato sulle pareti, il gozzo pomposo e fiero di sé.
Oh, be', se inizio a pensare di avere un animale nel corpo, parto male.

Parto proprio male.

«In realtà mi trovo un po' nel mezzo di un discorso complicato» esordisco mentre incastro le ultime tre dita, lasciando l'indice e il pollice liberi di colpirsi fra loro e lottare.

«Il fatto è che...», sospiro, fisso un paio di istanti il soffitto e poi torno presente, «... vorrei sapere cosa ne pensi di Mirko.»

Sto girando attorno all'argomento, uno squalo che ancora non riesce ad affondare i denti nel pezzo di carne, anche se lo vede lì e sa di doverlo fare per sfamare i propri dubbi.
Aggrotta la fronte e scribacchia sul suo foglio, traccia i contorni di una linea nuova e scrolla le spalle.

«Un tipo ok. Insomma, esageratamente timido per i miei gusti.»

Ha ragione, Mirko lo è, ma questo fa di lui un ragazzo speciale ai miei occhi. Io, invece, la timidezza non so cos'è: troppo sicuro di me, sfacciato e poco rispettoso, mentre lui ha la capacità di sfiorare l'animo umano con un'occhiata della durata di qualche secondo.

È quindi speciale, non esagerato.

Stringo le labbra e picchietto ancora con i polpastrelli, mi concentro sul suono pur di non rispondere in modo avventato e scrivermi in faccia, come un led brillante: mi piace Mirko, guai a chi lo tocca o prova anche solo a insultarlo.

«Sì, però ha il cuore d'oro, e non sono l'unico a dirlo» ribatto e aggiungo l'ultima frase per rendermi parte del gruppo, e non una voce unica di spicco tra tutte.

Il suono della mia PauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora