25-Si risolve tutto con un sorriso.

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«Daniel, cosa ci fai qui?»

Ahi.
Nome completo, non va bene.
Abbozzo un sorriso e tengo il collo bello teso, la testa a cercare di individuare la figura di Mirko nell'ombra, a scorgere almeno una traccia di benevolenza non espressa da quel tono duro.

«Ehi» esordisco e mi sento meno coraggioso di quando ho calcato il prato del mio giardino con le dita incrociate per non essere udito da mio padre.
E ce n'è voluto di fegato.
Adesso è mille volte più difficile fare breccia dentro questo muro di ostilità.
Sono Daniel Maset, però, e niente e nessuno resiste al mio carisma, Mirko compreso.

«Perché non scendi, così chiacchieriamo?» sussurro per non allertare la sua famiglia e lo osservo inclinare il capo.

«Stavo per andare a dormire.»

Secco, conciso e dannatamente arrabbiato.

Va a dormire alle otto per far compagnia alle galline? Cos'è, all'improvviso vive in un pollaio?
Avrebbe potuto trovare una scusa migliore e meno banale, eppure non mi sembra delicato farglielo notare.
Serve il cuore in mano e tutto il sentimento che provo per lui, quello che sento vibrare dentro il mio animo e canta soltanto il suo nome.

«Mirko, mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto di essermi comportato come uno stupido, ma a volte mi lascio prendere dalla mano degli eventi e non rifletto» dico, e cosa darei per essere accanto a lui e tenerlo stretto finché non arriva la mattina.

«La nostra storia è importante, Dani, e non è solo da un lato. Se non ci parliamo per arrivare alle scelte, cosa siamo a fare in due?» replica e stavolta si sporge di poco per essere udito meglio.

Be', sta andando meglio dell'inizio.
Almeno siamo tornati al nomignolo, il che mi fa sperare in una riappacificazione.
Annuisco, non so se riesce a vedermi, ma compio comunque quel gesto.

«Hai ragione. Scusa, per me è un onore stare con te, e volevo rendere Noel partecipe della nostra gioia. Hai tutte le ragioni per essere arrabbiato, però non tenermi più il muso. Non resisto un altro minuto senza di te» lo supplico e poso una mano sul muro, gli occhi immersi nei suoi, in un pozzo reso profondo dalla scarsa luminosità.

«Ti prego» aggiungo ancora e vorrei tanto riuscire ad arrampicarmi fin lassù. Forse potrei in qualche modo replicare la scalata dell'albero davanti casa mia.
Ormai sono diventato un atleta provetto, cosa vuoi che sia una parete a confronto?

Rientra dentro e non aggiunge nulla, mi lascia con un respiro trattenuto e il rumore terribile della finestra chiusa con uno scatto.
Cerco un indizio oltre i vetri, tuttavia la sua figura non torna più a illuminare una sera fredda come questa, il silenzio e l'abbaio lontano di un cane a tenermi compagnia.

Resto in attesa per un buon minuto intero, ma ancora niente.
Deglutisco e affloscio le spalle, un guerriero sconfitto dalla battaglia decisiva ormai perduta.

Un tocco fugace sulla schiena quasi mi fa prendere un infarto, sobbalzo e il cuore compie un balzo completo nella gola, per poi ricadere al suo posto prestabilito.

Non ho tempo per riflettere, neppure un secondo.

Mirko mi attira a sé, stringe come se ci fossimo persi di vista da secoli e abbia bisogno di imprimere sulla sua pelle il mio calco, il capo infossato nell'incavo della mia spalla e i suoi capelli corti e profumati a solleticare la guancia.
Se solo fossi tornato prima, non avrei trascorso così tanto tempo lontano da lui, attimi dove mi è sembrato di sprofondare in un vortice scuro pieno di dolore al pensiero di averlo allontanato con le mie stesse mani.

E non è solo per il fatto di essere fidanzati: Mirko è il mio migliore amico da che ne ho memoria: abbiamo condiviso diversi momenti e camminato sullo stesso percorso, mano nella mano.
Che idiota sono stato, non smetterò mai di ripetermelo.

Il suono della mia PauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora