23-Una corda stretta.

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Ascolto uno sbuffo silenzioso, in seguito percepisco la chiara sensazione di due occhi fissi su di me per nulla intenzionati a mollare la presa.
Sollevo di poco lo sguardo, intercetto quello di Noel e torno impegnato sul dannato problema di geometria, sui suoi stupidi numeri e formule in ogni dove.
La matematica va anche bene, ma il tracciare linee, aree e perimetri è disarmante.
Sono proprio negato.

«Oh, andiamo!» esclama lei d'un tratto e posa entrambe le mani sul mio quaderno, copre le scritte e mi salva per un secondo dalla tortura di un paio di triangoli che proprio non ne volevano sapere di essere misurati.

Be', poco male. Tanto mi andava in fumo il cervello, e in effetti le mie dita stavano iniziando a muoversi in un vortice infinito di spirali sull'intero foglio.
Chissà, magari potrei anche sperare in un premio per la mia dedizione nel disegno ed essere riuscito a trasformare un mucchio di noia in qualcosa di speciale.

«Dimmi qualcosa, Dani. Lo so che c'è, e mi tieni sulle spine da troppo» si lagna in un sussurro quasi disperato.

Cosa vuole?

La fisso intenso e lei ondeggia il capo alla sua destra dove, seguendo la linea immaginaria prodotta dal suo gesto, si trova Mirko seduto a qualche banco più in là.
Sorrido subito, mi perdo a osservare la sua faccia concentrata, il labbro a volte incastrato tra i denti e poi rilasciato subito dopo.

«Che vuoi che ti dica...» inizio e Noel serra le dita attorno alle mie guance, le strizza forte e mi riserva un'occhiata arrabbiata da dietro le lenti degli occhiali.

«La verità.»

Precisa e dritta al punto.
Non sono ammessi saltelli, giravolte o quant'altro attorno al bordo.

Sono pronto a vuotare il sacco? Dopotutto non l'ho rivelato a nessuno, neppure un singolo fiato sulla questione.
Chiamiamola scaramanzia e, per uno che sente di avere appeso sulla schiena un intero tomo di disgrazie, anche solo pensarci è sinonimo di sventura.
Ah, diamine, alla fine mi sono fatto convincere da Adel e le sue bambole spaventose per scacciare il malocchio. Quella "fortunata" ha persino un bottone saltato via che penzola nel vuoto, e fa ancora più paura, perché sembra abbia intenzione di scrutare il più possibile da ogni angolazione.

Fortunata un cavolo, è lei ad attirare i guai.

«Ho smesso di ascoltarti da un po', scusa» ammetto nell'istante in cui torno con i piedi nel mondo reale, molto meno fantastico di quello dell'immaginazione.

Gira di colpo il suo foglio dove, in un angolino, ha disegnato un ombrello stilizzato in stile giapponese con sotto scritto il mio nome e quello di Mirko. Non ne sono un esperto, però una volta è stata proprio lei a spiegarmi l'utilizzo di questa usanza: una roba da fanatici, un po' come intagliare le iniziali dei nomi nei tronchi, più o meno.

«Ecco a cosa devi pensare. Alla tua grande amica e al suo sogno di disegnare la migliore storia d'amore mai stata creata: la vostra» dice e si imbroncia.

Ok, non lascerà perdere facilmente, anzi, non lo farà per nulla al mondo.
In realtà l'avevo immaginata arrivare molto prima a reclamare il bottino; dopotutto è stata lei a spingermi in questa direzione, e senza i suoi consigli non ce l'avrei proprio fatta. Forse si è tenuta al margine per lasciarmi fluttuare in questa bolla di felicità tutto da solo, gustare il dolce sapore e tenerlo per me.

Soltanto per me.

«Poi ne parliamo, va bene? Adesso lasciami finire qui o rischio di impazzire tra i numeri» borbotto e mi concentro il possibile, ma dopo un po' sento la testa martellare a forza di pensare.

Non c'è Mirko a permettermi di copiare il suo compito, hanno visto bene di separarci, e sono in completa balia delle onde. Strizzo le palpebre e mi vedo intento a cavalcarle su una zattera che è un otto girato e la vela uno stupido rombo, mentre il mio uno fatto a remo non è capace di spingermi oltre e superare la sfida.
Andrà comunque male, tanto vale inserire risposte a casaccio e sperare nella buona sorte, o nella pietà dell'insegnante.

Il suono della mia PauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora