10-Un piano perfetto.

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Alterno il peso da una gamba all'altra, gli occhi guizzano sulla porta della struttura al vicolo che porta verso il retro.
Sono due giorni che fingo di andare a scuola quando invece trascorro la mattinata al parco, perdo tempo e poi torno a prendere mia sorella per non destare sospetti in nessuno.
Il numero due è perfetto ed è al tre che scatta la domanda: dove sarà Daniel?
Ecco, non voglio proprio arrivarci per non svegliare bruscamente mio padre dalla sua poltrona imbottita, la birra ghiacciata e una qualche sorta di salatino tra le mani, le briciole un tappeto sulla sua maglietta.

Ho sentito il bisogno di ricercare un po' d'aria e abbandonare il caos della scuola.
Tiro su con il naso e torno a fissare il colonnato, sempre più preoccupato.
Perché Roberta ci mette così tanto? Suonerà la campana e tutti i miei compagni usciranno per tornare alle proprie abitazioni.

Proprio tutti.
Compreso Mirko.

Sbuffo. Diamine, è questo il mio vero problema.
Non posso incontrarlo, non dopo gli strani pensieri che mi frullano in testa.
Mi piace, non mi piace, siamo due ragazzi e a lui interessa Noel.
Troppe domande, davvero troppe.

Io penso che un'unione simile sia solo particolare e priva di colpe, eppure piano piano ho iniziato a fare caso ai diversi particolari, quelli dimostrati dalle persone esterne e dagli amici. Perché, adesso l'ho capito bene, i maschi assieme sono degli omosessuali, gay e, nel peggiore dei casi, froci.

Non può esserci invece solo l'affetto o l'amore, invece di chiamare qualcuno con un nome che non è il suo?

Poi, come se non bastasse, ieri mi sono incontrato con Jacopo e i suoi cugini e, tirando fuori l'argomento in questione per pura curiosità, hanno mostrato certe facce piene di orrore e disgusto da farmi sentire piccolo e insignificante.
Sbagliato, dalla punta dei capelli a quella dei piedi.

Insomma, alla fine ho compreso che è una cosa che non si fa, o almeno hanno detto questo utilizzando le solite parole difficili per schernire chi fa scelte simili.
Le loro frasi: "Fanno schifo" e "se dovessi essere così mi andrei a nascondere", si sono stampate sulla mia pelle come un tatuaggio, un promemoria ancora presente; brucia nella sua invisibilità.
Lascio uscire un respiro tremolante e sposto un ciuffo scuro dalla fronte.

«Forza, coniglietta» mormoro pregando di vederla arrivare con le sue treccine avvolte verso il retro del capo a formarne una sola, un po' storta, ma comunque bella da vedere.

Dopo minuti infiniti, ecco che suonano entrambe le campanelle, solo che i bambini sono sempre più svelti perché gli insegnanti gli permettono di prepararsi in anticipo, quindi sono certo di non tardare la mia fuga imminente.
Tuttavia i secondi trascorrono, i suoi amici mi sfilano accanto e qualcuno saluta, beccandosi un paio di cenni da parte mia.

Dov'è Roberta?
L'ho pregata di fare in fretta, perché non ascolta mai?
Sospiro e decido di gettarmi oltre le porte, avanzo verso la sua classe e mi affaccio.
C'è solo la sua insegnante Martina intenta a riordinare i fogli pieni di disegni e scritte.

«Ciao, Daniel» esclama con un sorriso splendente e affettuoso.
Martina è stata la mia maestra per tanti anni, e devo dire che mi ha sopportato quand'ero una grande peste capace soltanto di combinare guai.
Ricordo tutti i miei schiamazzi e le risate mentre lei provava a spiegare le tabelline, lottando con se stessa per non cacciarmi fuori dall'aula un'altra volta.
Alla fine, però, ho imparato ad amare la matematica e il suo mettere i numeri davanti agli altri per vedere se, uniti, creavano qualcosa di speciale.

Scuoto il capo.
Non sono qui per questo, ma per sapere dove diavolo è finita mia sorella.

«Ha visto Roberta?» chiedo posando le mani sullo stipite. La mia posa dice chiaramente: ho bisogno di trovarla e scappare via.

Il suono della mia PauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora