24-Sole, pesca e una bella idea.

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Alberi, suoni della natura, il sole nascosto tra le fronde che si riflette sui finestrini un po' aperti. Tiro fuori il naso e prendo una boccata d'aria fresca e pulita, scende giù con gioia e i miei occhi si fondono con il verde delle foglie.
Non riesco a stare proprio fermo sul sedile; continuo ad affacciarmi e a perdermi al di là del paesaggio, talvolta Freddie mi indica dei punti e ci divertiamo a rincorrere con lo sguardo gli animali pronti a nascondersi di nuovo.

Ci voleva una giornata senza pensieri.

Gli ultimi giorni della settimana sono stati un inferno: Mirko ha messo il broncio e non c'è stato quasi contatto tra di noi, solo occhiate fugaci nel vedere chi fosse disposto a cedere per primo.
Io no di certo, nossignore.
Sono testardo, un difetto di cui farei volentieri a meno, unito all'orgoglio di portare in alto la bandiera e non lasciarla cadere. Mi ripeto di deporre le armi, però poi torna in gioco il mio brutto carattere, ogni tentativo fallisce e mi chiudo in un silenzio offeso.

Ma lo sono davvero? No, ovviamente, ho capito di non esserlo il secondo dopo in cui abbiamo litigato.
Stupido, stupido, Daniel.
E adesso Mirko mi manca terribilmente e non posso farci nulla se non attendere lunedì quando lo vedrò a scuola.

Forza, concentriamoci su altro e godiamoci una giornata di pesca con la famiglia Reyes. Sono stati tanto gentili a invitarmi con loro, Freddie non la smetteva più di parlarne e, alla prima occasione, ha trovato un posto per me e Roberta.

Mi sento emozionato anche solo per il fatto di andarmene via dalla mia solita routine, se poi ci mettiamo in mezzo la visione del lago e la natura, abbiamo creato un'accoppiata vincente.
Una canzone in lingua spagnola si solleva dalle casse laterali e Gustavo, il padre del mio amico, la canta a squarciagola.
Non capisco una singola parola, però a orecchio somigliano tanto alla nostra lingua, solo che a volte c'è una s di troppo.

«Ci vuole cuore, Danièl» grida sopra le note e mi fa ridere il suo modo di chiamarmi: manda in alto la e del mio nome, quindi lo fa suonare diverso, lo rende speciale.

Mi sporgo oltre il sedile e lo guardo, ci chiacchiero e sento di aver creato un legame con quest'uomo.
Perché mio padre, invece, non mi apprezza?
So essere amabile anche con gli adulti, ogni tanto credo di riuscire a fare dei discorsi importanti e interessanti, ma lui si rifiuta di vederlo e chiude la porta a priori, mi impedisce persino di mettere un piede al di là della soglia.

Un po' fa male, lo ammetto.
Da qualche parte nella mia memoria ricordo dei viaggi assieme ai miei genitori, forse diretti verso un parco giochi pieno di giostre in cui mi pare fossimo anche felici, però è sfocato e non riesco a riportarlo a galla.

Meglio così.
Meglio non andare a caccia di dolore.

«Chiamami Gus» mi rimprovera per l'ennesima volta e io annuisco, fisso la strada e il mio occhio cade inevitabile sullo specchietto. Scruto i lineamenti della sorella maggiore di Freddie e noto la grande somiglianza tra loro: hanno entrambi due occhi grandi e scuri come la notte, il naso stretto e le labbra sottili.

Mi sa che non l'ho sentita emettere un singolo suono da quando siamo partiti. Ha salutato con un cenno distratto del capo e poi via, chiusa nel suo prezioso silenzio fatto di sguardi fuori dal finestrino e di dita torturate senza sosta.
Non saprà parlare? O magari è timida, tutto il contrario di Roby, che macina fiato e parole al pari di una macchina perfetta creata solo per questo.
Oh, be', magari non ha ancora trovato nessuno con cui chiacchierare.

Chi, meglio di me?

«Ti piace la pesca?» dico rivolto a Coraline e torno con la schiena attaccata al sedile.

Le sue ciglia vibrano, lo sguardo si muove lento e si posa sul mio viso, osserva e scruta come se fosse la prima volta, poi corruga la fronte.
Quale domanda si sarà affacciata nella sua testa? Perché quell'espressione ha chiesto qualcosa, un indizio sfuggito alla mia comprensione.

Il suono della mia PauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora