8-Festeggiare nel bianco.

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Preparo il lancio, metto persino la lingua in mezzo ai denti e sparo la palla di neve verso la finestra della casa di Adel, ridendo poi a gran voce.
Dicembre è passato e siamo quasi arrivati a metà gennaio.

Meraviglie delle meraviglie: quest'anno ha nevicato.
Mio padre ci ha spediti fuori senza tanti complimenti, borbottando qualcosa circa la nostra presenza in casa e maledicendo i nostri gridolini esaltati.
Buon per noi.
Roberta si lancia in avanti e atterra su un mucchietto più alto, affonda per metà corpo ed esce fuori completamente bianca fino ai capelli.

«Coniglietta, copriti bene» la redarguisco avvolgendo per l'ennesima volta la sciarpa attorno al suo collo.
Lei, in tutta risposta, lascia scendere della neve dentro la mia maglia, con un brivido la sento scivolare lungo la schiena.

«Guarda se ti prendo» esclamo ricorrendola e la piazzola davanti all'abitazione si riempie delle nostre voci felici.

«Adel», grido d'un tratto aprendo la porta e invado il tappeto di pedate d'acqua senza però curarmene, «hai per caso una carota?» chiedo affacciandomi oltre la cucina.
Un buon profumo di torta delizia il mio naso e un sorriso genuino colora il mio viso arrossato per il freddo.

Oggi è il compleanno di mia sorella: compie sette anni.

Quale modo migliore di festeggiare se non con un buon pranzo e un dolce pieno di candeline?
Non permetterò al nostro mostro di rovinarle la festa tenendola segregata in casa.
E poi, ha chiaramente detto di non farci rivedere fino a stasera, quindi ho colto al volo l'occasione per mettere su una bella sorpresa.

«Daniel, vai a prendere uno straccio e pulisci il mio pavimento» dice Adel burbera occhieggiando alla scia di macchie che mi porto dietro.

«Un attimo, devo controllare se hai una carota. Vogliamo fare un pupazzo di neve» ribatto frugando nel frigo, trovando solo una zucchina moscia.
«È tutto quello che hai?» mi lamento con una smorfia esagerata vedendola portarsi le mani sui fianchi.

Oh-oh, posa autoritaria.
Meglio scappare finché posso.

«Scusa, come non detto. Ti voglio bene, a dopo» grido scivolando oltre la porta, riprendendo il posto accanto a Roberta.
Salvo per un pelo.

Lavoriamo la neve, i fiocchi candidi ci cadono attorno, i suoni attutiti come se avessimo abbassato di colpo il volume.
Un silenzio surreale.

«Cosa farai da grande, fratellone?» chiede di punto in bianco Roberta attaccando altri pezzi di neve fresca a quella già presente.
Non ci arriverò, il mio libro smetterà di essere scritto tra non molto.

Quello è il mio primo pensiero e mi fa salire le lacrime agli occhi, fortuna che sono quasi coperti dall'ombra del cappello di lana e lei non può vederle.
Tiro su con il naso, la pelle ghiacciata tira e mi fa male.

«Non lo so, c'è ancora tanto tempo» rispondo vago e poi le scocco un sorriso. «Non lo chiedo neppure cosa farai tu» dico e lei intona una canzoncina con le sole labbra, nessuna parola.

La mia principessa.
Alla fine la prendo per le mani e la porto nello spiazzo dove non c'è molta neve, ed è lì che la sollevo e la faccio volteggiare, la neve ci gira attorno come i nostri lunghi capelli trattenuti a fatica dal laccio.

«Sei la mia ballerina di ghiaccio» dico e lei ride emozionata, a volte saltella in cerchio e io mi beo di quella calma apparente.
Un giorno riuscirò a farla volare verso il suo grande sogno e diventerà la danzatrice più brava mai vista su ogni palco.
Ci credo, ci credo davvero.

Mentre continua a muoversi e a saltellare, io rifletto sulla sua domanda. Da un po' di tempo ho iniziato a pensare come sarà diventare adulto. Quante porte possono aprirsi dopo i diciott'anni? Tante, anzi, tantissime.
Forse sarò capace di portare via Roberta e di tenerla al sicuro.

Il suono della mia PauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora