Capitolo 16 ~ Adrian

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Avete mai guardato una persona e provato la sensazione di volerla guardare per tutta la vita?
Io sì. Fu esattamente ciò che mi successe e... beh, da quell'istante trovai un senso alla mia vita immortale.
La mia è una storia curiosa. Mi trovavo nel giardino del palazzo degli dei con le Muse. Mi piaceva ascoltare i loro racconti sulla Guerra di Troia e immaginare le gesta degli eroi di quei racconti.
So cosa starete pensando: ma se hai detto di essere immortale, non li hai visti con i tuoi occhi?
Ragazzi, esistono anche gli dei giovani. Io sono nato agli inizi del Seicento e ho solo quattrocento anni.
Sì, sono un giovincello alle prime armi, come dice mio padre. Parentesi: il mio adorato papino è Zeus, mister fulmini e saette (vi prego, non ditegli che l'ho chiamato così o potrebbe mandarmi nel regno di zio Ade per sempre... anche se potrei incontrare mia cugina là sotto e non sarebbe poi tanto male stare con lei).
Comunque, mi trovavo con le Muse a divertirmi e rilassarmi come mio solito, quando sentii una voce dolce.
No, non erano le Muse. Era una dea.
Mi alzai dal prato e iniziai a cercare, ma dopo un po' capii che non proveniva dall'Olimpo. Così guardai giù dal Monte Olimpo e avvistai il Campo Mezzosangue proprio sotto di me. Quella voce proveniva dall'infermeria. Riuscii a vedere al suo interno (quando sei un dio puoi fare di tutto): una ragazza stava cantando. Aveva i capelli castani con alcune ciocche sfumate verso il biondo e indossava una maglietta del Campo Mezzosangue.
Teneva una mano sulla fronte di un semidio sdraiato sul letto e cantava. Non riconobbi la canzone, ma rimasi incantato dalla voce della semidea: ti infondeva una sensazione bellissima, come se non avessi avuto niente di cui preoccuparti.
Rimasi lì ad ascoltarla finché non ebbe terminato, poi la vidi uscire dall'infermeria e andare a tirare con l'arco.
-Ehi, fratellino! -era Apollo, che mi scompigliò i capelli. Sapeva che non stavano mai in ordine e che tutte le divinità possibili avevano provato a domare le mie ciocche bionde senza successo.
-Ciao Apollo. -lo salutai spostando un ciuffo che mi era finito sugli occhi con uno sbuffo.
-Che stai guardando? -mi chiese.
Guardai il Campo Mezzosangue, dove la ragazza di prima stava parlando con un'altra semidea.
-La vedi quella ragazza con l'arco? -gli chiesi, furbo. -Carina, non trovi?
Apollo non rispose, così mi voltai verso di lui e per poco non caddi giù dall'Olimpo quando notai l'aura scura che lo avvolgeva.
-È Allison Davis, mia figlia. -disse.
-Oh... -deglutii a fatica e mi spostai per allontanarmi da lui.
Apollo versione papà geloso, chi lo avrebbe mai detto.
-Ehm... ha sicuramente preso da te. -dissi. Il dio del Sole fece un sorrisetto tirato.
-Vieni, fratellino. Parliamo un po', ti va? "Oh sì, che mi va, fratellone". -si rispose da solo con quella che lui riteneva la mia voce, poi mi prese per un orecchio e mi trascinò verso il suo tempio.

Nah, non mi picchiò.
Artemide intervenne in tempo e riuscii a scappare dalle grinfie del dio del sole, che si mise ad intonare i suoi amati haiku nel giardino del palazzo degli dei. Per fortuna (o sfortuna?) dovetti solo fargli un sacrificio per farmi perdonare.
Quella sera, mentre ero sdraiato sul letto della mia stanza sentii dei singhiozzi.
Mi misi seduto e tesi l'orecchio.
Capii che proveniva dal mondo mortale, così uscii sul balcone e allungai lo sguardo verso il Campo Mezzosangue. Usai ancora i miei poteri divini per trovare la fonte di quei singhiozzi.
Era Allison Davis: piangeva rannicchiata sotto le coperte del suo letto nella Casa di Apollo.
Non sapevo perché, ma vederla così mi faceva stare male. Era come se stesse piangendo una parte di me.
Vidi Will Solace, un altro figlio di Apollo, avvicinarsi e chiederle cosa non andasse. Allison si mise seduta e iniziò a raccontare, singhiozzando. Nominò un semidio figlio di Efesto, Leo Valdez, e la ninfa di Ogigia, Calipso. Disse che avrebbero riprovato a stare insieme, che lei era innamorata di Leo e aveva tentato di dirglielo proprio quella sera, ma che ci aveva ripensato per non diventare un peso per lui.
Will la abbracciò.
Dopo quella che mi sembrò un'eternità, Allison si addormentò. Will la mise sdraiata sul letto e la coprì con le lenzuola, poi uscì dalla Casa 7 e tornò dai semidei intorno al falò.
Non fu l'unica sera in cui la vidi piangere: Allison pianse per altre notti e, quando riusciva ad addormentarsi, ecco che un brutto sogno la faceva svegliare e ricominciava a singhiozzare. I suoi fratelli e le sue sorelle della Casa 7 cercavano di consolarla, ma solo Will, oltre che pochi al Campo Mezzosangue, sapeva il motivo di quei suoi pianti. Allison piangeva quando tutti i figli di Apollo si erano addormentati, anche se Will si alzava spesso nel cuore della notte per controllare lo stato d'animo della sorella e per consolarla.
Ad un certo punto iniziai a parlarle nella mente. Cercavo di rassicurarla, sussurravo parole dolci nei suoi pensieri fino a farla addormentare. Speravo di riuscire ad affievolire il suo dolore e rendere più belli i suoi sogni. Chiesi aiuto persino a Ipno per entrare in uno di essi e consolarla lì.
Di giorno, Allison sorrideva sempre e scherzava con gli altri semidei come se niente di tutto questo accadesse. Di notte, invece, singhiozzava fino ad addormentarsi, facendo piangere anche una parte di me.
Una notte, verso inizio agosto, decisi di scendere dall'Olimpo e andare da lei di persona.
Usai i miei poteri e mi teletrasportai al Campo Mezzosangue. Era notte inoltrata e tutti i semidei dormivano.
Entrai nella Casa 7 senza fare rumore e mi avvicinai al letto di Allison, dove la ragazza dormiva supina con una mano sul cuscino accanto alla testa e l'altra sullo stomaco.
Le sfiorai la guancia e capii che aveva pianto di nuovo. Aveva i segni delle lacrime sulle guance, ancora bagnate.
Mi sedetti sul materasso.
Dovevo ammettere che era davvero carina. E aveva anche un nome bellissimo: Allison.
Si mosse nel sonno, voltandosi sul fianco. Le scostai i capelli dal viso e rimasi lì a guardarla per un po'. Dei, mi sembrava così fragile... eppure il suo nome significava qualcosa tipo "combattente gloriosa". Magari mi sbagliavo, ma avevo l'impressione di aver trovato una persona speciale. Non so, era una sensazione che non avevo mai sentito in quattrocento anni di vita.
Quando vidi il cielo iniziare a schiarirsi mi alzai dal materasso e notai che Allison stava sorridendo.
Chissà cosa stava sognando...
Uscii dalla Casa 7 e ritornai direttamente nella mia stanza sull'Olimpo.

Lo stesso pomeriggio ero sdraiato sul prato del giardino del palazzo degli dei con un solo pensiero in mente: il sorriso di Allison.
L'avevo sentita parlare con Will. Gli aveva detto di non aver avuto incubi quella notte.
Ricordando le sue parole mi sentivo benissimo. Era come la stessa sensazione di quando l'avevo sentita piangere, solo che questa volta era con la felicità. Una parte di me era felice. Io ero felice.

E così mi ero reso conto che Allison Davis mi aveva rubato il cuore.
Adoravo vederla tirare con l'arco e sentirla cantare.
Adoravo il broncio che metteva quando la prendevano in giro.
Adoravo tutto di lei.
Per questo continuavo a rifiutare le dee che dicevano di essere innamorate di me.
Le rifiutavo per Allison, ma lei non lo avrebbe mai saputo, perciò iniziai a pensare un modo per conoscerla e per farmi conoscere da lei. Beh, avevo scoperto praticamente tutto sulla figlia di Apollo come se fosse stata lei a parlarmene di persona.
Così qualche giorno dopo andai da mio padre.
-Padre. -gli dissi. -Voglio diventare mortale.

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