Capitolo 17 ~ Adrian

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Mio padre non la prese bene, ovviamente.
Iniziò a blaterare qualcosa sul fatto che essere un dio è un'occasione unica blah blah che dovevo esserne grato blah blah che andarsene in giro per il mondo mortale è una schifezza (senti chi stava parlando, quello che andava in giro a cercarsi nuove fidanzate anche nel mondo mortale) blah blah e concluse tutto con "dovresti essere come tuo fratello Jason. Lui sì che è un bravo ragazzo".
Ora, non avevo nulla contro Jason Grace, mio fratellastro semidivino, ma che c'entrava lui con il discorso?
Fatto sta che uscii dalla sala del trono del palazzo con le mani sulle orecchie. Dei, quando Zeus iniziava a parlare non lo si fermava più. Peggio di Afrodite quando parlava della nuova collezione di Armani o di Demetra quando le chiedevi di dirti il perché odiasse Ade, che, parentesi, adoro. È il mio zio preferito! (Senza offesa, zio Poseidone. Sei fantastico pure tu).
Mentre me ne tornavo nella mia stanza, incontrai Eos, la dea dell'alba, nonché mia madre.
Aveva i capelli castano chiaro e gli occhi blu. Indossava sempre una veste dalle tonalità pastello (quel giorno era rosa) e le sue ali erano bianchissime, come quelle di un angelo.
-Ciao tesoro. -mi disse.
-Ciao mamma. -la salutai. Lei mi si avvicinò e mi sistemò il ciuffo ribelle che avevo sulla fronte. Diceva sempre che sembravo rimasto fuori mentre Eolo aveva lasciato liberi i suoi venti.
-Che ci facevi nella sala del trono? -chiese mia madre lasciando perdere i miei capelli. Probabilmente si era arresa: ormai i miei capelli erano una battaglia persa.
Arrossii.
-Ehm io... -iniziai a tormentarmi le mani, imbarazzato. Insomma, era un argomento piuttosto delicato.
Eos mi mise una mano sulla spalla: -Colpa di Eros?
Annuii.
-Di chi si tratta? -mi chiese sorridendo.
-Di... di una semidea... -balbettai.
Mia madre sbatté le palpebre un paio di volte. L'avevo lasciata spiazzata.
-Una mortale? Con tutte le dee che cadono ai tuoi piedi? -mi domandò sorpresa. Beh, avevo preso da lei visto che, da quando Afrodite l'aveva maledetta, si innamorava solo di mortali. Non capivo proprio come avesse fatto ad avere me, dato che sono figlio di due dei. Bah, Eros e le sue frecce scoccate male fanno miracoli certe volte.
-Mamma, ma lei è diversa. -sorrisi pensando ad Allison. -È come una dea scesa in terra. Perfino più bella di Afrodite. E poi ha una voce stupenda. È figlia di Apollo.
Eos sorrise.
Cavoli. Ero peggio di quelle coppiette da film sdolcinati che Ares guardava. Lo so, sembra incredibile. Il dio dello spargimento di sangue che si scioglie per dei film del genere!
Comunque.
-E tu sei andato da tuo padre perché...? -mi chiese.
-Voglio diventare mortale.
Mia madre sospirò: -Adrian, sai che ti ho sempre sostenuto nelle scelte che facevi. Ti ho lasciato libero di fare. Anche questa volta sarò dalla tua parte, ok? Cercherò di far ragionare tuo padre.
Le sorrisi.
-E poi credo che Afrodite sarebbe d'accordo con me. -aggiunse.
-Grazie. -e pensai ad Afrodite che si metteva a guardare le persone innamorate con una tv al plasma. Cosa che era capace di fare.
-Ma. -disse Eos severa.
"Oh no" pensai.
-Devi promettermi che farai attenzione.
Annuii e le sorrisi di nuovo: -Lo giuro sullo Stige.
Si sentì un tuono in lontananza.

Era sera ormai. Eos era uscita da poco dalla sala del trono e mi aveva detto di aspettare che Zeus mi chiamasse, poi era andata a prepararsi per la mattina successiva augurandomi buona fortuna.
Dall'interno della sala provenivano le voci dei dodici Olimpi. Litigavano, ma questa non era una novità: ad ogni Consiglio si mettevano a litigare anche solo per una cosina da nulla (un piccolo esempio: cosa guardare nella serata cinema che avevamo organizzato ogni mercoledì da quando esisteva il cinema nel mondo mortale).
Quando il portone della sala si aprì, io ero seduto con la schiena appoggiata al muro e giocavo con una pallina: la tiravo contro la parete di fronte e per poco non beccai Ares quando spalancò la porta.
Recuperai in fretta la pallina e mi alzai, imbarazzato. Ero il "combina guai dell'Olimpo" e una volta avevo colpito Era in faccia con la mia pallina. Non vi dico che risate.
-Entra. -disse Ares per poi ritornare sul suo trono.
Entrai e come sempre vidi gli Olimpi giganti.
-Adrian, vieni avanti. -mi disse Zeus.
Feci qualche passo verso di lui e mi inchinai.
-Abbiamo preso una decisione. -continuò mio padre. -Diventerai mortale.
Sorrisi.
-Ma ad una condizione.
Gli angoli della mia bocca si piegarono all'ingiù.
-Quale? -chiesi un po' timoroso.
-Ci sarà una scadenza. Se la semidea non ti ricambierà entro il diciottesimo giorno dell'ottavo mese...
-Ossia il diciotto agosto. Puoi parlare in modo decente? -intervenne Ares. -Siamo nel ventunesimo secolo.
-Entro il diciotto agosto... -disse mio padre calcando sulle ultime parole. -Ritornerai sull'Olimpo e sarai di nuovo un dio. Non potrai più provare a conquistare la ragazza.
-Che ha un nome eh. -disse Apollo un po' piccato per il fatto che Zeus approvasse la mia richiesta.
Zeus ignorò l'interruzione: -Questi sono i patti. Accetti?
Mi morsi il labbro. Avevo poco tempo e non ero mai stato bravo a capire il genere femminile. Se avessi sbagliato qualcosa, probabilmente Allison non avrebbe più voluto vedermi.
Ma alla fine annuii: -Accetto.
Vidi Afrodite sorridere. Che vi avevo detto? Inquietante, vero?
-Padre. -intervenne Artemide. -Gli serviranno delle armi per difendersi.
Zeus annuì, così Artemide si alzò e diventò piccola come una ragazzina di dodici anni, il suo "aspetto preferito".
Mi consegnò due anelli.
-Sono due pugnali di metalli diversi. Ferro dello Stige e oro imperiale. -spiegò. -Fanne buon uso.
Misi gli anelli sui pollici delle mani e ringraziai la dea, che si risedette sul suo trono.
-Grazie padre. -dissi. Zeus non rispose ma vidi l'ombra di un piccolo sorriso farsi largo sulle sue labbra.
-Buona fortuna, Adrian. -disse Afrodite.
Poi Zeus schioccò le dita e mi ritrovai a precipitare a una velocità assurda verso il suolo, urlando. Sperai con tutto il cuore di atterrare su qualcosa di morbido...
"Ehi, tu sei figlio di Zeus" mi dissi.
Ordinai ai venti di sostenermi e riuscii a rallentare la caduta.
Ovviamente mi feci un male tremendo. Finii dritto su un albero, per poi cadere giù dai rami e atterrare per terra.
-Grazie papi. -dissi rivolto verso il cielo. -Mi ci voleva proprio una caduta del genere.
Si sentì un tuono ed capii che Zeus se la stava ridendo nel vedermi così.
Cercai di mettermi seduto e sentii un dolore tremendo alla spalla sinistra e alla caviglia destra. Poi vidi tre figure avvicinarsi dalla fattoria ai piedi della collina. Erano due ragazze e un ragazzo, ma con il buio facevo fatica a distinguere i lineamenti.
-Chi sei? -chiese il ragazzo. Aveva una spada legata alla cintura quindi capii che era un semidio.
-Adrian. Figlio di Zeus ed Eos. -dissi.
Il ragazzo guardò le ragazze che erano con lui: -Portiamolo da Chirone.
Loro annuirono.
-Allison, dammi una mano a metterlo in piedi. -disse il ragazzo.
E capii subito di avere davanti la persona per cui avevo lasciato l'immortalità. Guardai la ragazza e pensai che non avevo mai visto nessuno di così bello.
Allison si inginocchiò accanto a me: -Ti sei fatto male? -chiese con un po' di preoccupazione negli occhi color nocciola.
-La spalla e la caviglia. -risposi senza fiato.
-Ora ti portiamo in infermeria. -disse lei.
-Ma Allison... -fece l'altra ragazza.
-Gli serve l'ambrosia. Non hai sentito cos'ha detto? Chirone può aspettare. -ribatté la figlia di Apollo. -Kendall, sono pronta.
Allison e il ragazzo mi misero in piedi, ma urlai di dolore quando mi toccarono la spalla sinistra.
-Coraggio. -mi disse Allison dolce. -Ora ti portiamo in infermeria. Lì potrò curarti.
-No, no... io sto bene. -e, nonostante fossi a contatto con una ragazza persino più bella della dea della bellezza in persona, svenni.

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