in the end, we'll all become stories.

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"Chi è lei, mi scusi?" Chiese una signora sulla quarantina, abbigliata con un camice bianco e dei pantaloni del medesimo colore. Attorno ad essa c'era una stanza circolare, piena di cartelli azzurri appesi al soffitto e sedie occupate ai lati delle pareti rigorosamente bianche. Jungkook sentiva a malapena il pavimento di mattonelle di marmo sotto i piedi, i polsi gli tremavano e il cuore non gli dava requie, battendo tanto forte da spaccare le costole. Percepiva l'aria sopra di sé pesargli sulla schiena più del ferro e i vestiti fargli caldo, anche se era pieno inverno.

"Sono suo fratello minore, gliel'ho già detto. Vi prego, permettetemi di vederlo." Jungkook appoggió entrambe le mani sul bancone anch'esso di marmo, guardando la donna negli occhi.

"Non ha nemmeno un documento?" Quella signora sembrava piegarsi pian piano sotto la volizione di Jungkook.

"No, non l'ho preso nella fretta... la prego di capirmi." Il ragazzo si propendeva sempre più verso la donna, sperando che lo lasciasse passare a visitare il suo peggior incubo.

"Ho capito, per stavolta chiuderò un occhio." Jungkook staccó le mani dal bancone. "È nella stanza trecentoventuno, al secondo piano." Il ragazzo iniziò a correre quasi inciampando sui propri piedi, prese le scale con le lacrime che premevano negli occhi e quasi non cadde appena raggiunto il secondo piano. Il reparto di radiologia era posto su quel piano, un labirinto di corridoi giaceva davanti a Jungkook e miriadi di dottori con camici color glicine, verde acquamarina e bianchi fantasma componevano un paesaggio irrequieto. Le loro scarpe colpivano il pavimento insonorizzato e le loro ombre li inseguivano pigramente, integrate alle pareti intonacate d'avorio. Su alcune porte c'erano attaccate delle figure di fatine e di eroi con prodi cavalli, altre invece erano spoglie e disadorne. Il finto legno marrone sull'uscio di alcune stanze era scorticato o sbiadito, in altre risultava solo lievemente rovinato. In quel reparto non c'era nessun paziente che camminava con lui, erano tutti pietrificati nei loro letti bianchi. I medici e il personale lo guardavano con gli occhi pieni di una malinconica consapevolezza. Vedevano ogni volta parenti e amici piangere e correre verso le stanze dei pazienti come se volassero, eppure i dottori sapevano benissimo che anche i pazienti volavano via ogni giorno con le ali del paradiso. In Jungkook vedevano un semplice ragazzo con i vestiti inzuppati di pioggia, con la felpa che da grigia era diventata scura come gli scogli durante una tempesta e la maglietta bianca grondava d'acqua. Le scarpe scivolavano sul pavimento blu emettendo acuti stridii, le sue orecchie non potevano sentire nulla, nemmeno i dottori che gli gridavano di non correre lungo il corridoio.

La sua mente era in disuso, in quel frangente gli sembrava inutile pensare a cosa stava perdendo, la sua bocca lo aiutava a respirare, la sua saliva si era seccata in gola e le parole si bloccavano in essa. Arrivó alla fine del corridoio, dove la luce si faceva meno intensa e l'unica via d'uscita era un ascensore di metallo lucido, che indicava il secondo piano. Nella porta, invece, c'era scritto solo un numero: trencentoventuno. Era un'entrata scarna, rovinata e spoglia. Le sedie accanto ad essa avevano già sopportato troppo peso ed erano consumate anch'esse, taciturne e colme di innegabile dolore. Jungkook aveva gli occhi lucidi, si sentiva così pesante che per un momento pensó di sprofondare in un mare altissimo e sconosciuto. Poggió una mano tremante sulla maniglia ed entró in quella stanza contraddistinta da tre numeri e millemila lacrime versate. In quella stanza risiedeva il suo peggior incubo.

Le pareti bianche come la neve, fredde come il ghiaccio, tristi come la morte fecero indugiare Jungkook sull'uscio, con gli occhi che già si bagnavano di disperazione. Le mani caddero sulle anche insieme alle braccia lungo i fianchi, i pugni si strinsero come se volessero infrangere un vetro invisibile che confondeva la finzione con la realtà. Le tende della finestra serrata erano chiuse e bianche anch'esse, la stoffa morbida gli ricordó Taehyung con il viso sprofondato tra le sue lenzuola. In quel momento le sue gambe gli parvero dei massi insormontabili da trasportare dietro di sé. Taehyung non riposava più tra le lenzuola del suo letto, bensì periva su quelle altrettanto bianche della stanza trecentoventuno nel reparto di rianimazione.

♔ velvet & silk ♔ yoonmin, vkook, namjin Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora