Jimin tornó a casa alle sei del pomeriggio. Il sole stava già tramontando e la fredda sera cominciava a manifestare la sua supremazia. Il buio dell'ultimo giorno dell'anno lunare.
Jimin si ritrovava con il cellulare pieno di chiamate perse da parte dei suoi amici che lo invitavano alle caratteristiche cene di festa e con il cuore svuotato, seppur saturo di odio. Nessuna chiamata di Jungkook, nessuna chiamata dei suoi genitori, nessuna chiamata di suo fratello. Nessuno sarebbe stato con lui, in quella fredda notte del ventotto febbraio. Si chiuse la porta alle spalle, sentendosi inghiottito da tutto ciò che apparteneva a lui da troppo tempo. La stessa casa che aveva sempre amato lo faceva sentire oppresso in se stesso, il divano su cui si era fatto cadere era come fatto di cemento, la sua anima era pietra e l'aria sembrava soffocarlo. Era tornato tutto come prima, il soffitto era ancora bianco e non nutriva nessuna soluzione al suo dolore, le piante dei piedi gli facevano male per il troppo tempo passato a posate in un set fotografico e la tv era spenta, schermo nero ed opaco. L'unica cosa diversa era Holly che dormiva indisturbato nella sua cuccia in un angolo del soggiorno. Jimin si sentí mancare una parte di sé che era sempre stata latente e che in quel momento se n'era ormai andata, scomparsa in una nube di insicurezze e segreti. Che cazzo aveva combinato con la sua vita? Forse, si disse, aveva amato troppo. Non importava chi, esistono persone che, purtroppo, amavano troppo. E una di quelle era Jimin. Come una lumaca che non trovava più il suo guscio, egli non riusciva più a trovare il se stesso che aveva solcato la porta di V's per la prima volta. Qualcosa che alimentava la tristezza ardeva in lui e lo consumava lentamente, sopra il suo solito divano, dentro la sua solita casa. La medesima domanda gli logorava la mente da quella mattina: cosa voleva dirgli Yoongi?
Da una parte non gli importava più, era come se avesse gettato via mesi interi di sentimenti e ci avesse pestato sopra. Non voleva più amare Yoongi e, possibilmente, nessun altro. Voleva costruire un muro attorno al suo cuore ed estirpare ogni cosa che valesse. Avrebbe voluto ripensare al volto di Yoongi che gli sorrideva sotto la luce della mattina e non provare altro che odio. Ma perché quel maledetto gli impediva di odiarlo? Perché aveva avuto paura di suonare il campanello? E di nuovo, cosa voleva dirgli? Non voleva saperlo, perché una parte di sé gridava che se solo l'avesse saputo, tutto sarebbe di nuovo andato a vuoto. Eppure, c'era ancora una fiamma in lui che lo incitava a continuare a soffrire. E sembrava irrazionale, contraddittorio ed insensato, ma quella frazione di sé affermava che ne valeva la pena, di soffrire per amore. Quella perpetua fiamma lo rassicurava che alla fine di tutto quel viaggio apparentemente sconclusionato ci sarebbe stata la sua eclissi, finalmente indisturbata.
Holly si era svegliato e aveva udito i rumori dei vicinati che si divertivano con gli amici a cena, dunque si era affrettato a saltare sullo stomaco di Jimin per ottenere protezione. Il ragazzo lo guardó impassibile e strinse a sé la creaturina spaventata, come se stesse proteggendo se stesso dalla debolezza che stava prendendo il sopravvento. L'insicurezza di sapere cosa lo avrebbe atteso dopo che tutto sarebbe finito lo distruggeva come le rovine di qualcosa di bellissimo che cadono dopo un sisma.
C'era una possibilità che tutto, ad un tratto, finisse veloce come lo sparo di una pistola?—
In questa parte non intendo incitare a nessun tipo di violenza o promuovere l'autolesionismo in nessun modo. I fatti e i personaggi sono frutto di pura fantasia e il passo seguente si tratta solo di una narrazione che non riguarda in nessun modo la realtà in cui vivo io o persone legate a me. Oltretutto, se siete affetti da queste problematiche in prima persona, oppure sentite che potreste essere facilmente influenzabili vi invito a pensare prima di leggere.
Grazie per l'attenzione.Yoongi era a casa sua, immerso nella vasca da bagno nell'acqua bollente e un libro tra le mani. Una luce calda e soffusa proveniva da una sola lampada a muro dietro di lui e nessun suono lo disturbava. Anzi, forse lo disturbava il suono dei suoi stessi pensieri. Fin da bambino, aveva sempre avuto dei pensieri fin troppo rumorosi. Glielo ripeteva sempre suo padre. «se vuoi fare carriera,» diceva «devi stare zitto e fare tutto come sta a bene a te, perché gli altri ti metteranno sempre i bastoni tra le ruote.» e questo lo diceva anche di sua madre. Lui era un benestante sviluppatore di siti web, lei una semplice cassiera di un supermercato. La sua era sempre stata una famiglia mia nata, una famiglia sbilanciata e senza futuro. Yoongi era soltanto il risultato di un amore malato e violento. Un amore che lo aveva privato di qualsiasi credenza sia religiosa sia morale. Yoongi credeva solo alla morte. Ogni schiaffo che suo padre scagliava sul volto di sua madre lo rendeva insensibile e lo faceva ricredere sull'esistenza dell'affetto tra gli uomini.
Sua madre possedeva dei capelli bellissimi, neri e lunghi. Anche lui aveva i capelli neri, ma quelli della donna che lo accudiva sembravano sempre luminosi e morbidi. Quando era molto piccolo si divertiva sempre ad afferrarli e metterli in bocca. Lei iniziava a ridere e diceva: «Yoongi, insomma, se non la smetti mamma si offende e va via, eh» Allora lui la smetteva, guardava il volto della madre che sorrideva e sapeva che non l'avrebbe mai abbandonato. Sua madre rideva e piangeva sempre con le persone che amava, era una donna stupenda che faceva volgere su di lei tutti gli sguardi quando camminava per le strade. Sua madre, però, aveva la pelle abbronzata. Il suo sorriso congedava con gioia tutti i clienti del supermercato e le amiche bisognose, il suo viso trasmetteva una fresca solarità. Fu Yoongi l'unico che la vide cambiare, piegarsi ad anni di inaudita sofferenza.
Allo scoccare dei suoi quarantacinque anni, prese l'abitudine di riempire il bicchiere di vino fino all'orlo per almeno tre volte durante i pasti, ricevendo oltraggi da parte del marito. Yoongi non capiva perché gli occhi della sua amata madre fossero sempre circondati da aloni scuri. Aveva solo sette anni.
Anno dopo anno, lei inizió a portare in camera delle siringhe, dicendo che si trattavano di medicine per un po' di debolezza causata dalla mezza età che si avvicinava. Per tutta la sua infanzia, Yoongi non riuscì a comprendere cosa fossero i tonfi che sentiva provenire dalla camera dei suoi genitori. Per lui, quella si trattava di pura e semplice normalità. Era soltanto un bambino, non poteva capire nulla.
Gli occhi di lei continuavano, con l'avanzata degli anni, a spegnersi, le sue dita si abituarono al vetro della siringa e sulle braccia esili cominciarono a comparire cicatrici circolari e rosse. Si grattava sempre le braccia e le coscie. Sul volto apparirono gradualmente sempre più rughe e punti rossi e i suoi occhi rimanevano gli occhi di un cadavere. Non sorrideva più, ma i marchi sul suo corpo peggioravano ogni singolo giorno che passava e i tonfi all'interno della sua camera si facevano sempre più rumorosi ogni notte. Suo padre inveiva su di lei, la prendeva per i capelli quando osava contraddirlo oppure semplicemente aprire bocca in momenti sbagliati. «vedi, figliolo, è così che si trattano le donne quando non rispettano noi uomini.» e Yoongi poteva solo abbassare la testa e continuare a vivere la sua infanzia da bambino ricco e felice. Tutto sommato, suo padre era un padre premuroso. Gli comprava sempre il gelato quando lo portava al parco e gli permetteva di accarezzare i cani dei vicini. Si impegnava nella sua istruzione e lo aiutava coi compiti, sorridendogli sempre. Yoongi aveva sempre ammirato suo padre, fino ai suoi tredici anni. A quell'etá si rese conto che i cambiamenti di sua madre non erano normali, che era costretta in quella casa solo a causa di problemi di denaro e che suo padre la picchiava a sangue ogni singola notte. Realizzó che la donna la quale gli prometteva di non abbandonarlo mai solo con un sorriso non riusciva più nemmeno a sorridere. Quando l'eroina le entrava nelle vene restava insensibile nella sua camera, come se fosse un cadavere, immobile sul letto. Una volta l'aveva sentita urlare, un urlo sconnesso e stridente mentre era ancora in quelle condizioni. Yoongi aveva spiato dalla serratura e aveva visto suo padre che la minacciava con un coltello puntato sulla carotide, poi non si ricordó più niente. Si rammendó solo un fiume di lacrime, quelle che aveva trattenuto per tutta la sua vita, e poi ricordò la voglia distruttiva di mettere fine ad ogni cosa. Iniziò ad odiare suo padre e a scoprire cosa nascondeva la casa in cui aveva sempre vissuto. La paura si presentava ogni volta che l'uomo osava sfiorarlo o appena i suoi occhi si posavano sui propri. Quell'uomo era un mostro, la corazza era la sola cosa che lo rendeva ancora un uomo. Ma non sono le fattezze che rendono umani gli esseri umani, non basta la pelle per determinare l'umanità di una persona. Yoongi era sempre stato un bambino con un'intelligenza fuori dal normale, aveva pochi amici che non sapevano nulla della vita che conduceva. A lui andava bene così.
Ogni volta che vedeva suo padre venir lodato dai colleghi provava una fitta e pensava a sua madre, che aveva dovuto lasciare il lavoro e abbandonare la sua vita per un essere ripugnante. In quel periodo, se solo lui avesse perso il lavoro, l'intera famiglia sarebbe finita sul lastrico. E non era l'unico che non poteva permettersi di sbagliare. Yoongi era sempre stato un alunno eccellente, ma un giorno dei suoi quattordici anni, quando aveva portato a casa un'insufficienza, suo padre avanzó le mani anche su di lui, piazzandogli un pugno in pieno viso. E fu quel giorno che inizió a vivere nel più profondo e abissale terrore. Ad ogni errore, suo padre non apriva la bocca, ma alzava le mani. Cosí anche sul suo corpo cominciarono a comparire lividi, seppur meno evidenti di quelli che presentava la pelle di sua madre. Lei non poteva denunciare nulla o l'avrebbe uccisa, lui gliel'aveva detto puntandole il coltello alla gola. Era una donna resa impotente da un uomo che non meritava di essere definito uomo. Yoongi si domandó fin troppe volte come si potesse fare questo alla propria famiglia, ad una madre e ad un figlio. Tramó il suo odio come una tela indistruttibile, pianse fino a morire per poi rinascere il mattino seguente. Inizió a ferirsi di sua spontanea volontà, al fine di provare una minima parte del dolore che riceveva sua madre. Almeno i segni che ricoprivano il suo corpo di donna sarebbero stati anche i propri. Poi non pianse più e si limitò a tagliare e tagliare la sua pelle ogni sera, fino a svenire. Se era privo di sensi, non sentiva i tonfi provenire dalla camera dei suoi. Il sangue che sgorgava lento dalle sue ferite lo rassicurava sul fatto che fosse ancora vivo e che riuscisse a sentire ancora dolore. A volte, desiderava non provare più niente. Una notte d'estate recise le vene verticalmente ed in profondità, guardó il soffitto e sentí il sangue sgorgare fuori dal suo corpo come la sua anima. Il giorno dopo si era ritrovato all'ospedale, con suo padre che lo guardava con una delusione e una rabbia profonda negli occhi. I giorni seguenti alla dimissione, Yoongi sopportó un tortura fatta di calci e pugni, ognuno proveniente dalle nocche e dagli stivali dell'uomo che avrebbe dovuto amarlo incondizionatamente. «non sei buono nemmeno a suicidarti.» aveva detto. «sei una delusione.» continuava all'infinito, fino a quando sua moglie non lo fermava e prendeva il posto del figlio. L'anima di Yoongi si scurì insieme alla vita di sua madre, per sola mano di suo padre. L'uomo che aveva sempre ammirato si era sgretolato ed era diventato un essere esecrabile e crudele. Il tempo era diventato un crogiolo di dolore, scandito dagli orologi sparsi tra quelle quattro mura tra le quali era germogliato l'inferno. Il legame malato e consumato di Yoongi con tutto ciò che lo circondava si fece sempre più flebile, fino a punto di recidersi del tutto. Aveva perso tutto a partire dalla sua nascita. Era stato condannato ad un circolo vizioso di angosce, sangue, tagli e traumi.
Una sera, -se la ricordava perfettamente-, aveva quindici anni e tante lacrime inaridite sparse sul cuscino e si ritrovarono tutti e tre a cena insieme. Sua madre si era riempita il quarto bicchiere di vino fino all'orlo e suo padre aveva sbattuto la mano sul tavolo con tutta la sua forza. Quando si arrabbiava, le sue vene cominciavano a pompare sulle tempie, la faccia diventava rossa, la mascella si induriva e i denti si digrignavano. Il volto di suo padre diventava il volto di un mostro, gli occhi di sua madre estrinsecavano una paura distruttiva e logorante. Yoongi guardó i suoi genitori, coloro che gli avevano donato sangue al posto dell'amore e che avevano reso la loro casa un raccapricciante castello delle torture. Quelle quattro mura impedivano ad ogni suono di uscire, vide solo suo padre scagliare la bottiglia di vino a terra e osservó quest'ultima frantumarsi sul pavimento della loro cucina accessoriata. Yoongi guardó il collo della bottiglia, al quale rimaneva un'estremitá affilata e, mentre il suo cervello attutiva le urla dell'uomo, aggrappó il vetro rotto e si avventó su di lui.
Aveva ucciso cosí suo padre. Il suo corpo inerme cadde a terra e il sangue si diradó dal suo fianco al pavimento come una macchia d'olio: veloce e letale. Una screziatura rossa e scintillante sulle mattonelle bianche della cucina. Ricordó che la mano gli tremava, ma che le dita erano strette alla bottiglia come se potesse infrangerla tra esse. L'arma di un peccato capitale stretta tra le dita di un ragazzo di appena quindici anni. L'estremità acuminata stillava sangue, il sangue del mostro che aveva ucciso lui e sua madre.
Suo padre giaceva accanto a lui, con i denti ancora stretti in un'espressione livida d'ira e la pelle diafana, com'era sempre stata. Gli assomigliava e odiava se stesso per questo. La donna pianse vedendo cadere il suo mondo, con la testa del figlio tra le mani. Yoongi non respirava, non trovava più l'aria tra le fiamme dell'inferno. Il suo corpo si abbandonò tra le braccia martoriate della madre e ci restó per tempo indefinito.
Quella stessa sera, aveva guardato per l'ultima volta sua madre che chiamava la polizia mentre faceva i bagagli e aveva pensato a quando lei gli sorrideva per rassicurarlo che non lo avrebbe mai abbandonato. Quella notte invece lei non sorrideva, perché non sapeva più farlo. Suo figlio non le avrebbe mai chiesto di restare tra le mura che l'avevano distrutta.
Yoongi rimase da solo, con la polizia che entrava in casa e le ginocchia sporche di sangue. Era rimasto lì, tra le grinfie della vita, e quella fu l'ultima volta che la vita lo guardó piangere.
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♔ velvet & silk ♔ yoonmin, vkook, namjin
Fanfic"Comunque, credo che le stelle possano influire nell'animo degli uomini. Se ci pensi, quando guardiamo le stelle, esse si riflettono nei nostri occhi e più questi ultimi sono lucidi, più stelle possono contenere. Quando piangiamo, i nostri occhi div...