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«Sei sicura di voler andare da sola?» chiede Lilia entrando nella mia stanza.
Ieri sera aveva la febbre a trentotto e, anche se ha preso del paracetamolo e adesso sembra sentirsi meglio, non è comunque una buona idea che venga a Chicago. Sorrido prima di voltarmi verso di lei.
«Non andrò da sola, mi accompagnerà Romeo, perciò puoi stare tranquilla» rispondo.
«Quel ragazzo è sempre molto carino con te, dovresti prenderlo in considerazione, Millie» dice, sedendosi sul letto accanto al borsone che sto preparando. La guardo in tralice, come può dire una cosa del genere?
«Ok, scusa, non dovevo dirlo» ammette. Romeo è un buon amico. Uno dei migliori in realtà. La sua vita, come la mia, non è stata facile. L'ho conosciuto mentre facevo una passeggiata nel giardino dell'istituto. Se ne stava lì, seduto sul bordo della fontana situata proprio al centro, con la schiena ricurva e i capelli arruffati.

Quando mi avvicinai mi resi conto che stava piangendo. Le spalle gli tremavano ed emetteva dei versi simili a singhiozzi. Non so perché, ma qualcosa mi spinse nella sua direzione.
«Vattene» esclamò quando si accorse di me. Lo vidi asciugarsi le lacrime con le maniche rovinate del maglione. Abbassai lo sguardo. In quell'istante capii che era solo.
«Mi piace questo posto» risposi, non curandomi di quello che aveva detto. Mi misi a sedere accanto a lui e iniziai a contemplare l'acqua sporca della fontana.
«Allora me ne vado io» disse con sdegno.
«Meglio così. Non mi piacciono i lagnosi» esclamai, guardandolo di sottecchi. Sapevo che la tattica migliore era colpire nell'orgoglio.

Eravamo bambini ma a nessuno di noi piaceva passare per deboli.
«Non sono un lagnoso» sbraitò, incrociando le braccia senza muoversi dal suo posto.
«Se lo dici tu» affermai, continuando a guardare l'acqua. Restammo in silenzio per alcuni minuti, fino a quando non fu lui a rompere il silenzio. Quel giorno scoprii che si chiamava Romeo e che a differenza del mio, il suo nome gli era stato dato dalla madre. L'aveva conosciuta, era cresciuto con lei fino all'età di cinque anni e poi i servizi sociali gliel'avevano tolta. Faceva uso di droghe, mi raccontò. Da quel giorno, almeno un paio di volte a settimana, ci ritrovavamo vicino a quella fontana, parlavamo per ore, a volte fino al tramonto. Certe volte mi chiedo perché non sono scappata. Perché ho lasciato che le persone più importanti della mia vita fossero le stesse con le quali ho condiviso più ricordi brutti che belli. Sarebbe stato molto più facile recidere qualsiasi legame col passato così da poterlo dimenticare completamente. Invece ho deciso di restare e, nonostante tutto, a loro due voglio bene davvero.

«Vado!» Chiudo bruscamente il borsone e me lo sistemo sulla spalla. Ho appuntamento all'aeroporto con il mio amico, ho chiamato un taxi ed è già in strada ad aspettarmi. Lilia mi abbraccia. «Prendi appunti» mi dice scherzando.

***
Contemplo le nuvole, penso siano lo spettacolo più bello che la natura abbia mai creato, lo faccio sempre, soprattutto nei momenti in cui la tristezza mi inonda inaspettatamente. Viste da quassù, sembrano ancora più soffici. L'aereo atterra senza intoppi. Noleggiamo una macchina, ci sembra il modo più economico per muoverci in città. Raggiungiamo l'hotel e io e Romeo, ci dirigiamo verso le nostre stanze. Ho giusto il tempo di lasciare il bagaglio perché il convegno è fissato per le ore dodici. Ci sarà un aperitivo di benvenuto, poi il pranzo a buffet, infine alcuni stilisti e manager di grandi sartorie faranno il loro discorso.

Io sono venuta, principalmente, per ascoltarne uno: colui che ha ispirato la mia crescita professionale. Esco dalla stanza e busso alla porta di Romeo. «Io vado!» urlo prima che apra. Ha insistito per venire con me, ma preferisco stare da sola e, ritagliarmi del tempo per me.
«Ok, ci vediamo più tardi» lo sento rispondere. Il mio amico approfitterà di questo soggiorno per incontrare una sua ex, a quanto pare, non hanno mai smesso di sentirsi. Non sono molto d'accordo, ma è la sua vita quindi può fare quello che vuole.

Entro in ascensore, ho i tacchi da soli dieci minuti e già mi sembra di vedere le fiamme uscire dai talloni. So di essere contraddittoria, adoro gli uomini in giacca e cravatta ma per quanto riguarda me potrei indossare scarpe comode per tutta la vita.

Mi avvio a piedi lungo il ppsto, è vicino a dove abbiamo prenotato l'albergo, dalla borsa sento il telefono vibrare. «Pronto» rispondo senza guardare il numero.
«Millie dove sei?» Mi fermo di scatto, vorrei stritolare l'apparecchio con le mie stesse mani.
«Cosa vuoi?» So che Mark è un tipo testardo ma non pensavo fino a questo punto. Sembra quasi che sia diventata la sua malattia.
«Dove sei? Ho bisogno di vederti» dice arrabbiato.
«Sono fuori Atlanta.» Continuo a camminare.
«Sei con quel tuo amico, vero?» Rallento. Cazzo, che fa? Mi segue ora?
«Lasciami in pace.» Alzo la voce poi riaggancio. Rimango sconvolta dal suo atteggiamento, il timore che l’ossessione che ha per me non gli passerà mai è sempre più forte. Ripongo il telefono nella borsa e continuo a camminare.

Quando arrivo di fronte al palazzo in cui si terrà il ricevimento, noto un viavai di persone che parteciperanno: si riconoscono dal loro abbigliamento impeccabile e dal falso sorriso stampato sul viso. Questo è un mondo in cui vince il più furbo, solo dopo viene la bravura. A me sinceramente importa poco, mi bastano la mia piccola sartoria e i miei clienti che aumentano ogni giorno, anche se non faccio nulla di particolare.

Faccio il mio ingresso nel salone: ci sono sedie disposte al centro, un palco di fronte e di lato un banco apparecchiato con stuzzichini e champagne. Durante l'aperitivo scambio qualche chiacchiera con alcune colleghe di Atlanta. Ci conosciamo un po’ tutte e solitamente ci ritroviamo a eventi come questo. Anche il pranzo si svolge senza che accada nulla di particolare. Finalmente arriva il momento che più aspettavo: il successore di Issey Miyake, fondatore della Miyake Design Studios, sale sul palco. È incantevole il modo in cui parla dei suoi progetti, quelli presenti e quelli futuri. La sua azienda ha lanciato i dolcevita neri, indossati da Steve Jobs. Tra applausi e complimenti l'uomo lascia il palco. Cerco di fare lo stesso con la sala, ormai ho visto quello che mi interessava perciò posso anche andare via. Senza dare troppo nell'occhio mi alzo e mi dirigo verso l'uscita. Mi fermo a ritirare il cappotto e il mio sguardo viene calamitato da due pozze nere come l'inchiostro.
Mi immobilizzo vedendo quell'uomo in smoking, conosco i suoi occhi, la sua espressione... conosco lui.

Black Eyes ~ FillieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora