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Correre per Atlanta mi è sempre piaciuto, soprattutto in questo periodo, quando fuori fa freddo e la maggior parte delle persone preferisce stare a casa.
Ho i capelli bagnati di sudore perciò indosso il cappuccio nero della felpa e mi dirigo verso casa. Dopo aver fatto una doccia, mi passo la crema idratante su tutto il corpo soffermandomi un po’ più a lungo sulla frase che ho tatuato sul fianco sinistro:
“Un cuore che cerca sente bene che qualcosa gli manca; ma un cuore che ha perduto sa di cosa è stato privato.”
La lessi per la prima volta quando, ero all'istituto sfogliando “Le affinità elettive” di Goethe, che mi aveva prestato una ragazza. In seguito acquistai il libro e mi feci tatuare questa citazione perché rappresentava alla perfezione la mia anima distrutta e il mio cuore lacerato. È anche per questo che resto lontana dall'amore, perché conosco la sofferenza che può provocare, ti fa diventare pazza e ti distrugge senza pietà.

Appena finito appoggio il tubetto sul lavabo e comincio a lavarmi i denti, mi guardo allo specchio mentre lo faccio e non posso fare a meno di notare i cerchi viola che ho intorno agli occhi. Purtroppo dormo sempre meno, domani farò un salto in farmacia per farmi consigliare qualcosa contro l'insonnia. Ho bisogno di dormire soprattutto perché, quando passo le notti sveglia, il giorno dopo sono poco concentrata sul lavoro e non posso permettermelo.

Anche questa mattina sono da sola, ormai Lilia dorme quasi sempre fuori, così indosso velocemente un paio di jeans, un maglione, scarpe e cappotto e, come tutte le domeniche, esco per andare all'istituto.
Prima mi fermo al bar a fare colazione. Lucy, la barista, mi saluta sorridendo. Abbiamo raggiunto un livello confidenziale che supera la semplice conoscenza, lei mi parla di spesso di sé: dei suoi fidanzati, delle sue amiche, e mi ha anche invitata a uscire insieme qualche volta, ma non ho mai accettato perché esco di rado e solo per spegnere i miei spiriti bollenti.
Questo, però, Lucy non lo sa.

«Buongiorno Millie, caffè?» domanda, asciugando una tazzina.
«Sì, grazie» rispondo accomodandomi su uno sgabello di fronte al bancone. La osservo mentre lo prepara, ha dei lineamenti molto belli, e lo sarebbero ancora di più se non si truccasse tanto. Mi porge il caffè, appena bevo il primo sorso mi rendo conto di quanto lo desiderassi. Nel frattempo do un'occhiata in giro. Ci sono meno persone rispetto ai giorni feriali, qualche tavolo è occupato da famiglie del quartiere ma la maggior parte dei clienti entra, consuma e va via. Mi soffermo su una bambina seduta sulle gambe di un signore, suppongo che sia il suo papà, vorrei tanto avvicinarmi a lei, dirle quanto è fortunata.
«Ti vedo sempre più stanca Millie, non mi piace il tuo colorito» esordisce Lucy, facendomi sobbalzare. Mi passo con una mano i capelli dietro l'orecchio, è un vizio, lo faccio quando sono nervosa e imbarazzata.
La guardo alzando le sopracciglia. «Sei bianca come un lenzuolo» dice, appoggiandosi con i gomiti al bancone.
«Sono solo stanca, troppo lavoro.» È comunque una mezza verità.
«Mmm, non mi convinci» afferma, andando verso la cassa. Sono sollevata da questa interruzione perché quando qualcuno si preoccupa per me mi mette a disagio. Ne approfitto per pagare anch’io.
«Ci vediamo più tardi?» mi chiede la mia amica. A volte passo nel tardo pomeriggio per scambiare due chiacchiere con lei.
«Certo» rispondo sistemandomi il cappotto e la sciarpa, fuori c'è il sole ma fa freddo. La saluto e mi incammino verso la metropolitana, metto le cuffiette, amo camminare tra la gente isolandomi con la musica.

Mentre la voce di Skin intona le prime note di “Purple” alzo gli occhi al cielo e con la mente mi dissocio dalla realtà perdendomi nel mio mondo fantastico, l'unico, sin da quando ero piccola, in grado di regalarmi un po’ di pace.

***
Quando arrivo all'istituto trovo Bella ad attendermi sulla porta. Appena mi vede corre verso di me e mi abbraccia. La stringo forte e le do un bacio sulla testolina.
«Sei in ritardo» mi rimprovera puntandomi con gli occhi vispi. Più la guardo e più penso che un giorno diventerà una donna bellissima.
«Non è vero» controbatto scompigliandole i capelli. Sorride, mi prende per mano e mi porta nella sua stanza.

Passiamo tutta la mattinata a parlare delle ultime cose che ha imparato al corso di inglese. Cantiamo qualche canzone ad alta voce, è fissata con Dua Lipa, come dargli torto. Ah la generazione di oggi!
Dopo pranzo ci rechiamo in sala e lì, come tutte le altre domeniche, ci intratteniamo con colori e acquerelli.

Arrivato il momento di salutarci, un velo di tristezza cala nei nostri occhi; è difficile dirsi “ciao”, sapendo che dovrà passare un'altra lunga settimana prima di rivederci. Ogni giorno che passa mi accorgo che mi sto affezionando sempre di più a lei e non so se questo è un bene o un male, per entrambe. Prima di uscire dalla struttura vengo fermata dalla mia ex tutrice.
«Millie, devo parlarti.» Annuisco e la seguo in una zona più isolata, non ci sono sedie perciò restiamo in piedi. Mi rendo conto di quanto sia minuta, quando ero piccola sembrava un gigante, forse perché ero troppo intimorita da lei, anche se il modo in cui mi sta guardando ora mi riporta indietro nel tempo, a quando doveva darmi una brutta notizia o una brutta punizione.
«Cosa succede?» chiedo in tono forse un po’ troppo agitato.
«Hanno accettato la domanda per l'adozione di Bella, i servizi sociali stanno già esaminando la famiglia richiedente.» Mi si gela il sangue nelle vene, avverto il freddo salirmi dalla punta dei piedi fino alla testa.
«È una buona notizia» afferma distogliendo lo sguardo dal mio. Sa quanto dolore mi sta infliggendo. Sa che anche se dovrei essere felice per lei, non lo sono affatto perché l'unico pensiero che mi sta passando per la testa è che la perderò.

Mantengo, comunque, un certo contegno, non posso di certo sfogare la mia frustrazione su di lei.
«Dove andrà? Li hai già conosciuti? Sono delle brave persone?» domando in tono calmo, ma dentro di me sto scoppiando.
«A Boston. Non preoccuparti, se i servizi sociali daranno l'ok e il giudice acconsentirà all'affidamento, Bella starà bene.» Faccio un cenno affermativo con la testa. «Ora devo andare, cara.» Mi accarezza la spalla e si allontana. A passi veloci mi dirigo verso la porta, devo uscire da qui, se non voglio vomitare sul pavimento.

Appena metto piede fuori, perdo l'equilibrio e sono costretta ad appoggiarmi alla ringhiera in ferro, tutto intorno a me ruota, così tanto da appannarmi la vista; mi si chiude anche la gola e vorrei urlare, ma nessuna parola esce dalla mia bocca.
Sento solo il tonfo del mio corpo che cade a terra.

Black Eyes ~ FillieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora