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Indietreggio, cercando di mettere più distanza tra me e lei.
Dentro di me urlo due lettere: N.O.
Le gambe stentano a sostenermi e con le braccia cerco un appiglio che non trovo. Mi piego su me stessa, certa che un attacco di panico avrà ben presto la meglio sul mio autocontrollo. Mi sforzo di ricordare ciò che la dottoressa mi ha insegnato su come gestirli, così mi appoggio una mano sul petto e comincio a contare.
A ogni numero corrisponde un respiro.
Respira Millie, respira.
Uno.
Due.
Tre.
Quattro.

Sembra tutto inutile, il cuore rischia di scoppiare e la mente è in allerta, pronta a combattere contro la scarica di adrenalina che sento sta per irradiarsi nel mio corpo.
«Millie, amore, stai bene?» La sua voce. La sua maledetta voce mi riporta sull'attenti. Ho ancora il respiro affannato, ma ciò non mi vieta di raddrizzarmi e guardare quel viso, quella bocca che afferma di essere mia madre.
Lei è morta.
Lei non esiste.
«Io non ce l'ho una madre e lei non dovrebbe permettersi di ficcare il naso nella mia vita. La smetta di seguirmi, di importunarmi, oppure sarò costretta a denunciarla» dico con voce fredda e guardandola dritto negli occhi. La vedo sobbalzare, solleva lo sguardo e infine lo abbassa. Posso captare la sua vergogna e il senso di colpa, ma questo non mi impietosisce, anzi mi rende felice.

Il suo viso ora sembra privo di espressione, se non fosse per la lacrima che le sta scorrendo lungo la guancia, scommetterei che non stia provando nulla.
«Ti ho cercata tanto. E infine eccoti qui. Mi odi, posso capirlo. Dammi solo la possibilità di spiegarti, di raccontarti cosa è accaduto. Ti chiedo solo questo.» Pronuncia queste parole con la voce incrinata.
«Non ci credo. Non ti credo!» urlo con tutta la forza che ho. Su una cosa ha ragione: la odio.
Come può pretendere che voglia ascoltarla? Non dopo tutto quello che ho passato per colpa sua. Se anche fosse mia madre, per me resterebbe sempre e solo un'estranea, perché io una madre non la voglio, ora. Ho passato troppo tempo a chiedermi come la donna che mi ha portata in grembo per nove mesi, che mi ha nutrito con il suo sangue, a cui ero legata da un cordone ombelicale possa essersi sbarazzata di me senza farsi più viva. Lei avrebbe dovuto prendersi cura di me, attaccarmi al seno e nutrirmi, facendo in modo che crescessi e avessi sempre le guance rosa.

Una mamma è questo, è colei che ti ama senza limiti, è colei che ti porta nel cuore, che ti insegna a camminare e a rialzarti quando cadi, che ti spiega che un ginocchio sbucciato è solo una delle tante ferite che la vita ti infliggerà ma che presto diventerà solo una cicatrice dalla quale dovrai trarre insegnamento.

Ma tutto questo io non l'ho mai vissuto.
A me tutto questo è stato negato.
E adesso non m'interessa più scoprire cosa l'ha spinta a lasciarmi lì, inerme e completamente sola.

Potrei ascoltarla, raccontarle della mia vita vissuta nella solitudine, di tutto ciò che ho subito, farla sentire così in colpa da scappare via immediatamente, ma non ne ho la forza. Voglio solo fuggire lontano e dimenticarmi di questo incontro.
«Se... se deciderai di ascoltarmi te lo dimostrerò» insiste, facendo qualche passo nella mia direzione. Stringo i pugni così forte da farmi male con le unghie. Mi allontano tanto quanto lei si è avvicinata, così si arresta. Leggo la delusione nei suoi occhi. Mi viene quasi da ridere al pensiero che potesse aspettarsi una reazione diversa.
Credeva, forse, che le avrei lanciato le braccia al collo? Dopo tutti questi anni, come può pretendere di avere anche solo un contatto con me?
Mi tornano in mente le parole di Finn, quando eravamo seduti sulla scalinata: “Non sai cosa può essere successo”.

Ma lui sapeva e non mi ha detto nulla.
«Cosa c'entri con Finn?» chiedo d'istinto. La sua espressione si addolcisce, costringendomi a distogliere lo sguardo.
«È il figlio del mio compagno. Si è offerto di aiutarmi a cercarti. È stato lui a trovarti, io volevo venire subito da te ma lui ha pensato che non fosse una buona idea, così...»
«Basta!» grido.
«Non voglio sentire più niente.» La rabbia che mi scorre nel sangue passa velocemente nel mio cuore spezzato.
«Millie, lui è un bravo ragazzo e se c'è qualcuno che deve pagare qui sono io» asserisce, mettendosi una mano sul petto. Respiro profondamente, poiché sto rischiando di perdere il controllo.
L'unica certezza che ho è che devo allontanarmi da lei, da lui.
Il dubbio più grande è che per quanto mi sforzi di farlo sarà maledettamente difficile dimenticare entrambi.

«Tu non sei mia madre e se anche lo fossi non ti voglio.» Questa volta sono io ad avvicinarmi a lei. Le sono solo a pochi passi di distanza, da qui posso vedere perfettamente le rughe sotto gli occhi tristi e intorno agli angoli della bocca piegati all'ingiù.
Sparisci.
«Non dire così» piagnucola, coprendosi il viso con le mani.
«È così invece. Non la voglio una madre, non più.» Ripeto queste parole scandendole piano, ma il motivo per cui lo faccio è che voglio sentirle davvero anch’io.
«Ti prego, ascoltami» implora cercando di afferrarmi una mano. Indietreggio.

«Sparisci» ripeto e, voltandomi, mi allontano a passo svelto.

Black Eyes ~ FillieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora