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Passo la notte a rigirarmi tra le coperte, quando suona la sveglia sono già in piedi da un bel pezzo.
Accendo la televisione e la sintonizzo sul notiziario, mi piace fare colazione mentre guardo le notizie dal mondo.
Dopo aver terminato il caffè sciacquo la tazza e la rimetto a posto.
La camera di Lilia è vuota, è di fronte alla mia, la porta è aperta perciò posso sbirciare all'interno.
Corro all'ingresso dove ieri sera ho lasciato la borsa. Che stupida che sono stata, ero talmente presa dai miei pensieri che non mi sono minimamente preoccupata della mia amica. E se le fosse successo qualcosa? Mentre cerco il cellulare l'ansia mi stringe lo stomaco, finalmente lo trovo, c'è un suo messaggio: “Dormo fuori. È tutto ok”.

Mi rilasso, se perdessi anche lei non mi resterebbe nessuno al mondo, è la mia unica famiglia. Dopo cinque minuti torno nella mia camera, oggi è domenica e devo andare a trovare una persona molto importante. Questo è l'unico giorno in cui aprono le porte dell'istituto e voglio fare in fretta così da poter passare più tempo possibile con lei. Quando arrivo di fronte ai cancelli, le sensazioni sono sempre le stesse: un forte disagio e un totale senso di angoscia. Per anni ho provato a cancellare i ricordi, ma non tutta la mia infanzia è stata uno schifo. Ricordo ancora la felicità quando a otto anni, la sera di Natale, mi regalarono una bicicletta rosa di qualche bambina che non ne faceva più uso. Aveva il manubrio arrugginito ma per me era la cosa più bella del mondo. Solo crescendo iniziai a capire: ero stata abbandonata, non c'era nessuno che si occupasse davvero di me. Una lacrima scende senza che me ne accorga. Perché? Cosa avevo di sbagliato? La rabbia cominciò ad arrivare quando una famiglia si mostrò interessata all'adozione di Lilia, non potevo accettare di essere divisa da lei, perciò insieme organizzammo una fuga. Purtroppo non durò molto, già due ore dopo eravamo nel salone principale dell’istituto con le mani rosse a causa delle bacchettate che la tutrice ci aveva inflitto. Da allora diventammo indisciplinate e nessuno ci prese più in considerazione. In fondo eravamo contente così, avevamo perso la fiducia nel genere umano e avevamo raggiunto la consapevolezza di poter contare solo l'una sull'altra.

Arrivo nell'atrio e l'odore di candeggina mi invade le narici, provo un senso di nausea, reprimo un conato e vado avanti. Ad accogliermi c'è la stessa educatrice di quando vivevo qui; è l'unica rimasta, le altre sono andate in pensione.
«Millie, che piacere rivederti.» Si dice che la vecchiaia renda più cattivi ma con lei ha fatto eccezione.
«Ciao Marta.» La saluto con due baci sulla guancia.
«Ti sta aspettando» mi dice, accompagnandomi verso le camere.
Quando entro trovo Bella seduta sul lettino, guarda fuori dalla finestra, ha lo sguardo perso nel vuoto. Conosco quell'espressione è la stessa che avevo io. Bella come me non ha mai conosciuto i suoi genitori, entrambe siamo figlie di nessuno.

«Ciao tesoro.» Mi siedo accanto a lei e le bacio una guancia. Il sorriso che mi rivolge è come un raggio di sole in una giornata d'inverno.
«Sei arrivata» dice, come temendo che le mie visite un giorno possano terminare.
«Come sempre» le rispondo, stringendola a me e cercando di rassicurarla. «Allora, come va?» le domando subito dopo.
«Mi è arrivato il ciclo» risponde abbassando la testa.
«Oh, ma allora sei diventata una signorina.» La stringo forte, so cosa sta provando in questo momento, non oso immaginare la paura che ha sperimentato notando il cambiamento del suo corpo.

Passiamo la mezz'ora successiva a parlare dell'accaduto, le spiego cosa deve fare e come deve comportarsi la prossima volta che le arriverà. Io l'ho dovuto scoprire da sola, ma lei ha me. Non ricordo quando ho deciso di tornare all'istituto, ma avevo bisogno di farlo, di dare una mano e quando ho incontrato gli occhi di Bella ho deciso che, nei limiti del possibile, mi sarei occupata di lei.

***
I pranzi domenicali sono sempre una gioia per grandi e piccini, si mangia qualcosa più del solito e l'atmosfera è quasi sempre allegra, soprattutto all'ora del dolce. Appena finito di mangiare ci spostiamo nell'area giochi, ci sediamo a tavola e iniziamo a colorare un paesaggio primaverile.
«Pensi mai ai tuoi genitori?» chiede Bella sorprendendomi. Le sorrido.
«Qualche volta.» Non è vero: li ho cancellati dalla mia mente e dal mio cuore.
«Cosa pensi?» Dovrò ricordarmi che i bambini vanno dritto al sodo la prossima volta che vengo, così da essere preparata.
«Penso e spero che stiano bene, proprio come me» mento.
«Io invece li odio» afferma con naturalezza mentre torna a colorare.

Le accarezzo la testolina, ha i capelli corti, esattamente come li avevo io, ce li tagliavano per non prendere i pidocchi, da quando sono uscita li ho fatti crescere ma non troppo, mi arrivano alle spalle.
«Alla tua età anch’io provavo rabbia per i miei genitori ma quando crescerai e inizierai a vivere la tua vita sarà tutto più facile.» Mi guarda come per dirmi che questo non accadrà mai. «Come lo coloriamo il fiore?» cambio discorso, sentendomi stranamente a disagio.
«Viola, il mio colore preferito» dice, dandomi un bacio sulla guancia.

L'orario delle visite è finito, così la saluto promettendole di tornare domenica prossima. Lei stenta a trattenere le lacrime così la stringo in un lungo abbraccio. Esco dalla struttura emettendo un lungo sospiro. Il cielo è grigio, si intravedono dei grossi nuvoloni carichi di pioggia; meglio così, adoro l'inverno, è scuro proprio come la mia anima.
Mentre cammino verso il cancello contatto un taxi e comunico la mia posizione, chiamo anche Lilia per avvisarla che sto rientrando.
Risponde al secondo squillo, la sento felice, mi dice che mi racconterà tutto al mio rientro, di fronte a una fumante tazza di tè.
«D'accordo, a tra poco allora.» Riaggancio, il mio sguardo si sposta sulla sinistra oltre il cancello dove noto una macchina nera parcheggiata, ha i vetri oscurati, ma ho come la sensazione che la persona all’interno mi stia guardando.
Finalmente il taxi arriva e salgo di corsa, istintivamente mi volto indietro e mi accorgo che l'auto è proprio dietro di noi.

***
«A quanto pare hai un ammiratore segreto» annuncia Lilia, non appena metto piede nell'appartamento. Mi tolgo il cappotto velocemente, il riscaldamento è al massimo e secondo me ci sono minimo trenta gradi.
«Come scusa?» chiedo abbassando il termostato. Mi mostra la rosa rosso corallo, è la terza che trovo nel giro di una settimana, la prima davanti alla porta, la seconda mi è arrivata tramite un fattorino in negozio e ora questa. L'afferro e cerco il nome del fioraio, nulla. Questa faccenda inizia a preoccuparmi, non solo perché non ho la minima idea di chi possa essere ma perché questa persona sconosciuta sa perfettamente dove lavoro e dove abito.

Torno un attimo indietro, alla macchina nera, sembrava mi seguisse… no, è assurdo, sto diventando paranoica. Metto via il fiore e mi accomodo vicino alla mia amica. Come promesso, ha preparato il tè al limone con tanto di biscotti al burro.
«Lui, mi piace» esordisce, riferendosi al tizio conosciuto in chat. Continuo a soffiare all'interno della tazza, inarco le sopracciglia, questa è davvero una grande novità.
«Sì, insomma, mi piace davvero, Millie. Siamo compatibili praticamente in tutto, amiamo le stesse cose, a letto siamo una forza e…»
«E ti piace» concludo sorridendo.
«Sì.» Mentre pronuncia questa sillaba abbassa la testa.
«È una cosa meravigliosa, Lilia.» Devo confortarla, so cosa sta pensando, cosa sta provando, abbiamo vissuto troppo tempo in solitudine.
«Lo pensi davvero? Ho paura, Millie» confessa titubante.
«Lo so, ma non puoi continuare ad allontanare chiunque si avvicini a te.» Lei ha sempre sognato di avere una famiglia, di essere una mamma attenta e premurosa e una moglie sempre presente, tutto il contrario di quello che voglio io.
«Non voglio farlo questa volta» afferma, scuotendo la testa.
«Brava.»

Non so perché ma mi sento nervosa, se le cose tra loro andassero davvero bene mi troverei di nuovo da sola.
Ma cosa pensi Millie? Lilia si merita il meglio e comunque non ti abbandonerà mai. Non lei.

Ho bisogno di uscire, non importa se fuori ci sono pochi gradi, amo l'aria fredda, mi piace sentire il gelo sulla pelle del viso, è l'unica cosa a farmi provare un brivido. Prendo la metropolitana, scendo qualche fermata dopo e mi avvio verso il piccolo fiume. Il fiume è in piena, l'acqua scorre veloce portandosi via ramoscelli spezzati e foglie secche. Come vorrei che si portasse via anche i miei pensieri.
Non riesco a essere felice. Perché? Ho sofferto molto durante la mia vita, ho visto e ho fatto cose che una bambina non dovrebbe nemmeno conoscere e ne sono uscita vittoriosa, ancora più forte. Eppure mi sento come se avessi un masso sul cuore e lo schiacciasse fino a farlo sanguinare, il peso che mi porto dentro cresce ogni giorno di più. Cosa c'è per me a questo mondo? Chi c'è? Nessuno. Ci sono soltanto io e il mio passato.

Continuo a camminare, i viali sono pieni di gente, entrano ed escono dai bar. È l'ora dell'aperitivo, gruppi di amici si riuniscono per consumare qualcosa insieme, li vedo ridere mi soffermo a guardarli: provo invidia, gli occhi si riempiono di lacrime.
Riprendo la mia passeggiata, mi tiro la sciarpa fino a coprirmi la bocca e piango, svuoto tutta me stessa e mi preparo per una nuova settimana.

Black Eyes ~ FillieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora