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Dopo aver assaporato un buon piatto di linguine scampi e cognac, e aragosta al forno, io e Finn lasciamo il ristorante.
«Ti accompagno a casa» mi dice. Sono sollevata ma una parte di me è delusa.

Ci dirigiamo in auto verso Viale Libia, ormai la leggera pioggia si è trasformata in un vero e proprio acquazzone con tanto di lampi e fulmini. Chiudo gli occhi e appoggio la testa al sedile, mi affascina il rumore dell'acqua che si infrange su qualsiasi cosa intralci la sua corsa. Mi accorgo che siamo arrivati quando sento la macchina che si ferma.
Mi volto verso Finn con l'intenzione di salutarlo e ringraziarlo ma lui spegne il motore. Rimaniamo al buio, gli unici rumori udibili sono quelli prodotti dai nostri respiri e dallo scroscio della pioggia.
Lo guardo e… Dio se è bello.

Il suo profumo ha riempito l'abitacolo e la sua presenza sembra saturare tutto lo spazio. A un tratto mi manca l'aria, sento i battiti accelerare soprattutto perché ho paura di perdere il controllo.
Non penso di poterlo gestire.
Devo allontanarmi.
Immediatamente.
«Grazie per la serata» dico in fretta, afferrando la maniglia dello sportello.
«Aspetta.» Agguanta il mio braccio.
Tremo a quel contatto, molto più rispetto alle volte precedenti. Mi blocco e, con fatica mi volto verso di lui. La sua presa si allenta e con calma arretra verso il suo posto.
«Non andare. Resta ancora un po’» dice poggiando le mani sul volante. Respiro profondamente, una, due, tre, quattro volte, come mi ha insegnato la mia psicologa. Funziona perché avverto i miei nervi distendersi.
«Ok» cedo. Ma se devo restare, ho bisogno di togliermi il cappotto, altrimenti rischio il soffocamento.

Lo sfilo e sotto gli occhi vigili di Finn lo poso sul sedile posteriore.
«Vivi da sola?» domanda con un leggero sorriso, indicando il mio appartamento. Deglutisco, perché anche lui si sta togliendo il cappotto. «No, con la mia amica Lilia» rispondo.
«Tu, invece, vivi solo? A Chicago intendo» domando, anche se temo che possa dire qualcosa di spiacevole. Dopotutto per me non è semplice fidarmi di qualcuno.
«Vivo solo da due anni. Prima con mia moglie» risponde amareggiato.

Resto in silenzio, non mi aspettavo una simile rivelazione.
«Volevo un figlio, mi piacciono i bambini, ma lei era troppo presa dalla sua carriera. Siamo stati sposati tre anni, poi le nostre vite sono diventate vuote. Non parlavamo più. Non facevamo l'amore. Non ridevamo quasi mai. Abbiamo pensato che la soluzione migliore fosse il divorzio e così ci siamo lasciati.»
«Mi dispiace» commento.
«Davvero?» Alzo lo sguardo e mi accorgo che mi sta fissando serio. Poi mi passa una mano sulla guancia, provocandomi un sussulto e facendomi abbassare gli occhi. Sorrido e quando li rialzo scopro che anche lui lo sta facendo. Nonostante ciò si aspetta una risposta e lo accontento.
«No» ammetto, scuotendo leggermente la testa e godendomi la pressione delle sue dita sulla guancia. Dopo alcuni secondi di silenzio decido che è arrivato il mio turno.
«Sono cresciuta in diverse case famiglia. I miei genitori mi hanno abbandonata, non so in quale ospedale. Non so nemmeno con certezza in che giorno sono nata. Ho cambiato continuamente scuola, insegnati, compagni. La mia adolescenza è stata uno schifo, non ho mai avuto un ragazzo fisso, a parte Mark, ma avevo già compiuto vent’anni. I miei amici
Lilia e Romeo sono la mia famiglia. Solo con loro sono davvero me stessa.» Le ultime parole mi escono in un leggero sussurro.
Parlare con Finn è facile. Mi viene naturale.
«Non hai mai cercato i tuoi genitori?» chiede, spostandomi i capelli dietro l'orecchio.
«No, non mi interessa» rispondo triste.
«Mia madre è morta quando avevo otto anni» confessa. «Siamo due casi disperati.»
«Direi proprio di sì.» La sua mano si sposta dai capelli e torna ad accarezzarmi la guancia. Trattengo il respiro. Lui mi guarda serio ma nel suo sguardo intravedo una scintilla che mi brucia sulla pelle.

Si avvicina al mio viso provocandomi un incendio che si irradia in tutto il corpo.
«In questo momento l'unica cosa che vorrei fare è baciarti» sussurra a un passo dalle mie labbra. Sento il suo alito caldo e mi rendo conto che sto perdendo il controllo.
«Ma non è ancora il momento. Tuttavia, succederà presto e, quando accadrà, sarà perché vorrai essere solo mia. Perché vorrai fidarti di me.»
Mi fissa ancora per qualche attimo, poi si allontana, lasciando che un freddo innaturale mi invada.

«Buonanotte stella» dice alla fine, riaccendendo il motore dell'auto. Con le mani che tremano apro la portiera.
«Buonanotte occhi neri.» Esco e corro verso il mio appartamento.

Black Eyes ~ FillieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora