Miami Hospital. Non ci venivo da quando, a sei anni, caddi e mi ruppi la mano. Ricordo di essere stata terrorizzata a quei tempi. Le pareti bianche, le tende bianche, i camici dei medici e delle infermiere...Volevo che ci fosse un po' di colore, e che le persone la smettessero di essere tristi. Non mi piaceva quel posto, e nell'innocenza dei bambini, giurai di non farmi più del male per non metterci piede.
Adesso, non venivo per me, ma per una cara amica ed anche se erano trascorsi quattordici anni, riprovavo le stesse emozioni. Volevo che ci fosse un po' di colore in più in giro, che le persone la smettessero di essere tristi e che smettessero di lamentarsi. Volevo scoprire che era tutto un brutto sogno, che mi sarei svegliata e nulla di tutto ciò sarebbe successo. Avrei chiamato Dinah e lei mi avrebbe fatto scoppiare a ridere, come non faceva da tempo oramai.
Però, siccome giravo con una valigia, tutti mi guardavano ed avevo la conferma che era reale.
Appena me l'avevano detto, ci avevo impiegato un po' per riprendermi. I miei amici si erano preoccupati tantissimo, perché non rispondevo. Quando finalmente avevo reagito, ero scoppiata a piangere tra le braccia di Dua. Dopo, avevo chiamato mia madre per spiegarle la situazione e dirle che dovevo prendere il primo bus diretto a Miami. Purtroppo, non avevo avuto modo di muovermi fino al martedì mattina. Avevo parlato per tutto il tempo con Normani, che nel suo dolore, cercava di tenermi informata. Avevo parlato con i mie professori, spiegando loro come stavano le cose. Fortunatamente, non c'era alcuna materia che avrei dovuto recuperare e mi avevano detto che un paio di giorni di assenza non sarebbero stati un problema.
Forse non capivano che finché non si fosse rimessa Dinah, io non sarei andata da nessuna parte. E no, non parlavo solo di farla uscire dall'ospedale, ma aspettare che si riprendesse mentalmente ed emotivamente.
I miei genitori mi avevano detto che, nel peggiore dei casi, mi avrebbero raggiunto anche loro. Sapevo quanto significava per mamma prendersi dei giorni di ferie- il compagno di Emma l'aveva chiamata per altri progetti-, quindi non volevo che si scomodasse tanto per me. Potevo cavarmela da sola.
Comunque, adesso, però, non sapevo dove sarei andata. Quel pensiero perse importanza quando vidi Normani seduta in sala d'attesa. La testa era piegata in avanti, e dal modo in cui si muoveva il suo petto, immaginai che si fosse addormentata. Il suo volto era corrugato in un'espressione di dolore, come se questa situazione avesse fatto del male anche a lei.<<Mani>>, dissi a voce bassa. Aprì di scatto gli occhi, mostrandomi che non riposava per niente. Si alzò, poi mi strinse in un forte abbraccio. Riuscii a sentire la sua stanchezza, il suo dolore e anche la sua rabbia per questa situazione. Si sentiva impotente e, anche se non aveva motivo per pensarlo, credeva che fosse colpa sua. Gliel'avevo letto negli occhi, quando mi aveva guardato per quella frazione di secondo.
<<Come va?>>, domandai, accarezzandole i capelli. Aveva lasciato che crescessero, ritornando alla lunghezza che aveva quando la conobbi la prima volta.
Non portava trucco, aveva le borse sotto agli occhi e indossava una maglietta bianca con un pantalone. Anche così, però, era bellissima come sempre.<<Ha provato ad ingerire delle pillole. L'hanno trovata prima che fosse troppo tardi. Non parla con nessuno da quando si è svegliata, anche se i medici dicono che ha dei lividi sul corpo e forse, non parla perché ha paura di chi glieli ha fatti>>, spiegò, scuotendo la testa. Si passò le mani tra i capelli, poi tornò a sedersi. Mi indicò di fare lo stesso. Sembrava non essersi proprio resa conto della mia valigia, ed ero contenta che non avesse fatto domande.
<<I suoi genitori sono tornati a casa per riposare un po' e fare una doccia. Lauren è uscita fuori. Suo padre ci deve portare un cambio, perché nessuna delle due è intenzionata ad andarsene da qui, finché non sappiamo cosa le è successo>>, mormorò. Il dolore nella sua voce era talmente forte, che ebbi la sensazione come di qualcuno che mi stritola il cuore. Stranamente, il mio corpo non reagì come avevo immaginato, al suono del suo nome. Non accadeva da un po', ad essere onesta.
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TeenAge Dream
FanfictionCamila Cabello è un adolescente come tutte le altre, che nasconde un segreto che altri come lei nascondono. È lesbica. La sua vita cambia quando incontra Lauren, che dice di essere etero. Ma allora perché la guarda con tutta quella devozione? Perché...