Normila

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Mi piacerebbe dire che ho perso così tanto tempo perché preparavo il capitolo, però la verità è che m'ero proprio dimenticata dei due capitoli che vi avevo promesso.

Non potevo ancora credere al fatto che Normani sarebbe venuta da me. Aveva detto che prima di andare a Miami, si sarebbe trattenuta ad Orlando almeno per un giorno, così che potessimo passare del tempo insieme.
Avevo sentito la sua mancanza, l'ammettevo. Gli impegni di entrambe ci impedivano pienamente di sentirci anche telefonicamente, ed un messaggio veniva riposto con ore di ritardo. Non mi aspettavo che all'improvviso, quindi, mi dicesse che sarebbe passata per venire a trovarmi prima delle vacanze estive. Diceva che nessun posto era come Miami in estate, perciò ci ritornava in estate per passare le giornate a mare, insieme a Dinah. Tuttavia, proprio perché anche lei si era resa conto che non avevamo molto tempo per tenerci in contatto, aveva deciso di anticipare la sua partenza per passare un po' di tempo con me.

I miei genitori non mi avevano ancora comprato una macchina, perché il trasferimento e tutto, aveva portato via parecchi soldi. Non volevo che sprecassero del denaro per me, sopratutto tanto denaro per una macchina. Quindi, papà mi accompagnò a prendere Normani in aeroporto quel sabato mattina.
Avevo già deciso dove portarla e cosa fare: un locale che avevo conosciuto grazie a Taylor. A Normani sarebbe piaciuto perché si ballava, e inoltre, il dj sceglieva qualcuno da far salire sul palco per lasciare che mettesse in mostra le sue mosse di danza. Ero convinta che avrebbe scelto proprio Normani, perché nessuno ballava meglio di quella ragazza. Mi aveva inviato un video girato in classe, e c'era da restare a bocca aperta. Era perfetta mentre si muoveva a ritmo di musica, molto di più di quanto lo facesse prima di trasferirsi a New York.

<<Eccola!>>, dissi, appena la vidi arrivare verso di noi. Sorrisi, alzando una mano. Prima di rendermene conto, mi ritrovai stretta in un abbraccio.

<<Ehi, ciao Mila!>>, esclamò.

<<Ciao, Mani>>, risposi. Mi poggiò le mani sulle spalle, guardandomi con attenzione.

<<No...ancora bellissima>>, mormorò, facendomi arrossire.

<<E tu sei ancora una stupida adulatrice>>, risposi, alzando gli occhi al cielo.

<<Solo con le ragazze carine>>, ribatté, facendomi l'occhiolino.

<<Salve, signor Cabello>>, disse, notando mio padre che ci aveva lasciato un po' di spazio.

<<Normani, è un piacere rivederti. E per favore, chiamami Alejandro>>, disse lui, allungando la mano per prendere la valigia di Normani. Lei fece per fermarlo, quindi iniziò una discussione perché mio padre voleva la sua valigia e lei non voleva che si disturbasse più di tanto.  Alla fine, mio padre vinse, "rinfacciandole" il fatto che aveva prenotato una stanza d'hotel e non era venuta a casa nostra, sopratutto perché sarebbe rimasta solo per un giorno. 

Per tutta la giornata, ci aggiornammo di quello che succedeva nelle nostre vite. Le parlai dei miei amici, lei mi parlò dei suoi. Mi raccontò un po' com'era la vita a New York- "ci si sente un po' come un granello di sabbia nel deserto. Tutti corrono indaffarati avanti e indietro, troppo spaventati di fare ritardo a lavoro e a malapena si rendono conto di chi li circonda", e poi io le raccontai com'era la vita qui. In confronto a quello che diceva lei, mi sembrava solo di annoiarla. Quindi, decisi di dirle dove l'avrei portata quella sera stessa. Siccome era la nostra serata, non avevo invitato gli altri, perché sentivo che c'era tanto altro che dovevamo dirci ancora.

Tra una chiacchiera e l'altra, quindi, giunse la sera. Non sapevo se fosse la stessa cosa, però io passai la maggior parte del tempo a scegliere il vestito. Normani era una donna bellissima, molto di più di quanto ricordassi. Ogni cosa che indossavo, perciò, mi faceva sentire fuori luogo. Temevo che potesse mal interpretare il mio messaggio se avessi indossato qualcosa un po' troppo scollato, oppure poteva sembrare che non volessi darle l'idea sbagliata perché temevo che potesse fare qualcosa di stupido...Mi si crearono milioni di pensieri per la testa, e alla fine, decisi di indossare una gonna che arrivava al ginocchio ed una camicia con un fiocchetto intorno al collo. 
Mi truccai leggermente, sempre per lo stesso discorso del vestito, mi sistemai i capelli e tirai finalmente un sospiro di sollievo, perché la parte più difficile era passata. Mio padre ci avrebbe prestato la sua macchina. Anche se non avevo una macchina mia, non significava che non avessi la patente, oppure sapessi guidarne una. I miei genitori volevano darmi un po' di indipendenza, perché credevano che mi pesasse chiedere la loro macchina ogni volta che volevo spostarmi. Li ringraziavo per il pensiero, ma finché non ne avrebbero avuto l'opportunità, mi accontentavo di quelle poche volte in cui potevo usare la loro macchina.

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