- Cap. 15

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[...]
"Ma ciò che insegui è qui,
se non ti manca
la ragione."
Orazio

POV ALLIE

Arranco lungo il marciapiede, posando di scatto le mani su un muretto familiare. Il peso del mondo sembra schiacciarmi: percepisco la gravità sulla mia schiena e il torpore contro le mie spalle, come se all'improvviso tutta l'infelicità delle persone si stesse riversando su di me, comprimendo la mia anima e facendo a brandelli quella poca filosofia rimasta. Perché ormai non credo di poter parlare più di filosofia, forse ne è rimasto solo un insieme di concetti traballanti e confusi, un pizzico di moralità e dell'arroganza sparsa.

Barcollo fino alla porta, con la sensazione di star attraversando acque e terre, solo quando il mio braccio si attacca al campanello mi lascio scivolare contro la superficie del portone.
Sento dei passi affrettati attraversare il corridoio, qualche imprecazione soffocata e un tintinnio di chiavi.
La porta viene spalancata di scatto, non riesco a sorreggermi sulle gambe e cado in avanti, atterrando contro un corpo caldo e tra delle braccia aperte.
Singhiozzo rumorosamente, aggrappandomi con disperazione a quella figura.
"Allie! Ma che diav-"
Mi stringe a sua volta, posando una mano sui miei capelli e accarezzandoli lentamente.
"È notte fonda, Taylor, che cosa è successo?"
Sollevo lo sguardo, le mie lacrime incontrano gli occhi terrosi del professore e forse sono per lui una spiegazione esauriente.
Mi accorgo di star stringendo con foga eccessiva le sue spalle, il suo corpo è ricoperto solo da una leggera vestaglia che lascia intravedere la linea del petto e la curva profonda dei pettorali.
Un impulso improvviso mi spinge ad affondarci la testa. Lo faccio, nascondendo il volto nel suo petto e inspirandone il profumo caldo e rassicurante. Lo sento sussultare e serrare i palmi attorno alla mia vita quando sfioro la pelle con le labbra.
"Allie, che cosa stai facendo?"
Sussurra con voce rotta, restando immobile sullo stipite; ma oramai la mia mente non riesce più a distinguere cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Soffoco un secondo singulto contro il suo corpo, sono praticamente in ginocchio davanti a lui e con lentezza stringo le mani sui lembi della vestaglia.
Sento le sue mani possenti raggiungermi il volto, posa i palmi sulle mie guance e mi solleva la testa, allontanandola dal suo petto caldo.
La sposto con un gemito, infastidita da quella lontananza e per un attimo incrocio l'espressione di Downey, tiene le labbra socchiuse e mi fissa tristemente. Distolgo lo sguardo e affondo le dita nei suoi capelli spettinandoli sulla nuca. Con un lungo sospiro di piacere mi rendo conto che ho sempre sognato di farlo.
Abbandono la fronte sulla sua spalla e continuo a massaggiargli la cute con i polpastrelli. Sento il professore respirare rumorosamente contro di me, con un gemito fa scivolare le mani sulla mia schiena premendo con forza sulle scapole e raggiungendo poi le spalle: le stringe vigorosamente, facendo aderire l'intero avambraccio sul mio busto. Si lascia sfuggire un gemito quando spingo la sua testa contro di me, senza opporre resistenza alle mie mani audaci incastra perfettamente il profilo del suo volto nell'incavo tra il mio collo liscio e la spalla.
A quel contatto sussulta violentemente, con uno scatto mi preme contro il suo corpo liberando un lamento inarticolato.
"Allie io-"
Tenta di dire qualcosa, forse di ribattere, mentre quasi lo soffoco con quella stretta. Eppure in questo modo l'infelicità sembra pesare meno sulle nostre teste, quel calore sembra attenuarla, quasi niente riesce a sfiorarmi tra le braccia del professore.
"La prego non mi mandi via..." sussurro, scossa dal pianto.
Lui scuote la testa contro il mio corpo, la ferma di scatto e si schiaccia ancora contro di me.
Riesco a sentire i battiti del suo cuore contro il mio petto, rimbombano impazziti attraverso la stoffa dei nostri abiti, agganciandosi e fondendosi con i miei affannati e stanchi.
"Vivo da solo, Allie..." geme contro la mia pelle
"Puoi restare se vuoi."
Annuisco vigorosamente, cercando di placare i singhiozzi e tirando i suoi capelli, lo sento sospirare e strofinare la guancia sulla mia pelle.
Quelle carezze devono piacergli: quasi si contorce contro il mio corpo, tenendomi stretta a lui come se rappresentassi la salvezza. Io stessa non intendo fermarmi e ritirare le mani, per quanto possano essere sbagliati i miei gesti la mente è troppo confusa e stanca per realizzarlo.
"Basta, Allie..."
Nonostante i suoi grugniti di disapprovazione Downey non accenna di volersi allontanare, continuo ad accarezzargli il ciuffo morbido e le spalle, scendo fino al volto percependo la sua pelle ruvida e profumata contro il palmo e la leggera ricrescita della barba.
Di colpo un brivido di piacere lo scuote e quasi di scatto si allontana da me.
Mi accorgo che ha le labbra socchiuse e le gote arrossate.
"Vieni dentro, per favore..." dice con un singhiozzo, aggiustandosi la vestaglia sul petto.
Varco la soglia tremante e lui chiude la porta alle mie spalle. Mi precede con passo svelto in soggiorno, spostando una sedia per farmi accomodare.
"Ti preparo qualcosa di caldo, aspetta, prendo una coperta..."
Si sporge in salotto e afferra il copriletto sulla poltrona. Subito dopo me lo avvolge intorno alle spalle, come una giacca. Odora di fumo e di lui, ma il freddo è sempre insopportabile.
Scuoto la testa, rifiutando la bevanda calda e quasi cado dalla sedia.
"Allie, io non ho una stanza per farti dormire, ti dispiace stare nel mio letto? Io posso benissimo occupare il divano."
"No, professore non importa, va bene il divano per me."
"Sei sicura?"
Mi chiede, mostrando un sorriso sornione, in piedi vicino al tavolo.
Annuisco, sentendomi improvvisamente una stupida.
Il suo cuscino profumato forse mi avrebbe fatto dimenticare il gelo nelle ossa, forse, stringendolo avrei dormito tranquilla; e per un attimo ho la tentazione di chiedergli se posso avere il suo guanciale.
Dio, Allie, smettila!
Scuoto la testa con violenza sentendo il collo schioccare.
"Hey hey, stai tranquilla!"
Downey mi afferra il mento con il pollice e l'indice per fermarmi, ed io, con le lacrime agli occhi, raggiungo il divano scuro con una leggera corsa.
"Stai bene?" chiede ancora, affacciandosi sulla porta.
"Sì, professore, buona notte."
"Va bene, se ti serve qualcosa sai dov'è la mia stanza..."
Scompare per il corridoio, spegnendo dietro di se tutte le luci.
Io mi rannicchio sopra i cuscini e, tirandomi la coperta fin sopra i capelli, tento di soffocare i singhiozzi contro la stoffa.
Con rabbia mi domando perché, ora che vi ero riuscita, ho lasciato che si liberasse dal mio disperato abbraccio.

SPAZIO AUTRICE
PERCHÉ, PERCHÉ, MAAA CHII LOO SAAA!!
Eh vabbè, ma mica rimane su quel divano tutta sola no? No dai, o forse (risata malefica)
Nel prossimo capitolo lo scoprirete
A presto
Minea

No via non ce la faccio e ve lo dico:
Non rimane su quel divano.

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