- Cap. 13

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"Nah, è adatto ad una ragazzina."

POV DOWNEY

All'improvviso la luce nei sui occhi si spegne, come una candela nell'acqua, abbassa il volto e cancella con foga ciò che aveva appena scritto sul foglio.
Ho detto qualcosa che non dovevo. Cristo, parlo sempre troppo e spezzo ogni volta tutto. Persino il suo sorriso. Anche quello ho distrutto.
"Ho detto forse qualcosa di sbagliato?" chiedo, ma il mio tono risulta duro e cinico.
Taylor scuote la testa vigorosamente, alzando le spalle e tirando un sorriso.
"No, perché?"
Non mi guarda nemmeno, continua a scrivere china sul foglio, come a volersi chiudere attorno al petto in un guscio.
"Vogliamo sederci sul divano? Sembri stare scomoda..."
Mi alzo, sistemando il libro sotto braccio e invitandola a fare altrettanto. Lei mi segue, lasciandosi cadere sul sofà scuro subito dopo e osservandomi distrattamente mentre mi sistemo sulla poltrona davanti a lei. Indugia sulla linea delle mie cosce nude e sale fino al petto, soffermandosi e deglutendo dopo aver ammirato gli addominali fasciati dalla stoffa.
Sorrido con malizia, non ha mai smesso di fissare il mio corpo seduta a quel tavolo. Mi accarezzo i capelli per farmi notare e vedere che effetto le faccio: mi sento appagato quando mi guarda in quel modo, ed io stesso, non riesco a staccargli gli occhi di dosso.
È rannicchiata attorno ai cuscini come un cucciolo ferito, i capelli le ricadono sul viso spento e infelice, facendone risaltare gli occhi chiari e incorniciandone le forme.
In quel momento mi attraversa un impulso incontenibile, e quasi mi ritrovo a schiacciarla tra il mio corpo e il divano per sentirla tremare di nuovo, come contro i lavandini della scuola.
In realtà ho solo sollevato le spalla dallo schienale, con uno sbuffo attiro la sua attenzione e mi lascio cadere di nuovo sul cuscino.
Cosa cazzo ti prende Robert eh?!
Sei il suo insegnante e ti immagini di sentirla tremare sotto di te?
Con due dita mi schiaccio le tempie per scacciare via quei pensieri.
Dovrei parlarle piuttosto, chiederle cosa c'è che non va, se è ancora triste.
Ma al diavolo, so benissimo cosa prova, non ho nemmeno bisogno di domandarglielo.
È quella sensazione opprimente, quel gelo nelle membra che l'assale, quella immensa solitudine nell'anima e la fatica della mente.
È quel filosofico essere o non essere che ingabbia tutti. Quell'oscillare tra l'aggrapparsi alla vita o lasciarsi andare: perché infondo, niente ha un senso. E Allie lo sa, persino la sua arroganza e la voglia di contraddire ne è a conoscenza. Anche io conosco bene quella sensazione: scandisce i miei giorni e raffredda le mie notti e a volte, mi fa sentire così solo e inutile che l'opzione 'non essere' sembra davvero invitante.
Dio, che cosa sto dicendo...
Se la Peel o il preside venissero a sapere di questi miei pensieri disfattisti mi caccerebbero a calci dalla scuola.
E quella cattedra è importante per me.

"Vuoi che ti legga qualcosa, Allie?"
Sembro risvegliarla dal suo stato di dormiveglia con quella domanda, mi osserva confusa e con lo sguardo spento, con mia sorpresa però subito annuisce.
Mi alzo lentamente e dopo due passi sono seduto sul divano a pochi centimetri da lei. Taylor si volta verso di me traballando sui cuscini, con un sospiro appoggia la guancia sulla mano ed inizia a guardarmi impaziente.
Solo un misero cuscino ci divide, le nostre gambe si sfiorano e il desiderio di sentire il calore del suo corpo sulla mia pelle quasi mi travolge.
Deglutisco cercando di allontanare quella sensazione e inizio a leggere:

"Esser felice è necessariamente il desiderio di ogni essere razionale me finito, e perciò un motivo determinante inevitabile della sua facoltà di desiderare..."

Alzo velocemente lo sguardo dalle pagine: Allie sta fissando le mie labbra con sguardo perso. Una vena di soddisfazione mi attraversa quando lo noto.
Ammettilo Robert: era quello che volevi vero?

"Quello, cioè, in cui ciascuno deve riporre la sua felicità, dipende dal suo sentimento particolare di piacere o dispiacere, e, anche in un solo e medesimo soggetto, dalla diversità dei bisogni che seguono le variazioni di tale sentimento..."

"Professore, lei è felice?"
La domanda mi spiazza. Le parole mi muoiono in gola e stacco gli occhi dalle pagine. Il primo istinto è quello di confidarmi con lei, il secondo è quello di mostrarmi risentito e far emergere la figura di insegnante.
"Sono soddisfatto."
"Ma soddisfatto non è felice, no?"
"No. Non lo è."
Incrocio il suo sguardo e quasi mi perdo nei suoi occhi. Le pupille sono dilatate e luminose.
"E tu Allie? Sei felice?"
Cazzo Robert cuciti la bocca!
"No."
La risposta mi gela il respiro. La temevo ma adesso non so come affrontarla.
"Cosa devo fare per trovare la felicità?"
Non lo so.
Realmente.
E all'improvviso mi sento così impotente. Non posso risponderle. Io stesso ho cercato a lungo la felicità ma non sono riuscito a scovare il suo nascondiglio. Ho visto la soddisfazione nel lavoro e tra le pagine dei miei libri ma la felicità... quella è una parola grossa.
"Ci sono tanti tipi di felicità... quella del corpo, quella dell'anima..." comincio, rispolverando qualche nozione per prendere tempo.
"Credo che quando sarà il momento lei troverà te, non ne vale la pena cercarla sai?"
Annuisce, prendendo per vere le mie parole. Forse lei sarà fortunata e troverà veramente la pace dei sensi; è ancora giovane, non posso farle perdere così la speranza. Io ne avevo ancora tanta alla sua età.
"Devo dirti una cosa, Allie, però non ti arrabbiare ok?"
È confusa.
"Ho telefonato a tua madre mentre dormivi."
"Che cosa?!" si alza di scatto, dando un colpo alla copertina del volume che tengo tra le mani.
"Perché lo ha fatto? Dio l'avevo supplicata!"
Comincia a piangere istericamente, forse, penso mordendomi il labbro, desideravo che accadesse così da avere una scusa per stringerla a me.
"Taylor, ti prego..."
"No! A lei non importa proprio nulla di me! Non doveva chiamare mia madre!"
Respinge la mia stretta, subito preme con le mani sul mio petto e con un colpo mi spinge via.
"Cosa dovevo fare eh? Chiamare i servizi sociali?"
Mi sento irritato. Forse più per il rifiuto che per il suo tono alterato.
"Non doveva interessarsene!"
"Sì certo, far finta di nulla vero? Ora cazzo stai zitta e lasciami parlare!"
Mi accorgo di averla spinta sul sedile del sofà e di sovrastarla. Sto premendo le mani ai lati della sua testa e dalla sua espressione devo apparire realmente arrabbiato. Allie si accuccia, stendendosi sul divano sotto di me con un singulto spaventato. Non so cosa riesca a fermarmi dal mettermi a cavalcioni sopra si lei.
"Ho convinto tua madre. Ti riprende a casa... E!"
Continuo placando i suoi tentativi di interrompermi.
"E se qualcosa non va o ti maltratta tu verrai a dirmelo, hai capito?"
"Così mi spedirà dai servizi sociali! Se lo sogna!" ulula sotto di me.
"No. Non lo farò. Risolveremo il problema insieme, in qualche ci riuscirò..."
Tra un anno sarà maggiorenne e non avrà più problemi di questo tipo. Ma diavolo, andrà ancora a scuola, dove passerà le notti? Chi la sosterrà prima degli esami?
Una vocina mi dice che io non potrò mai essere in grado di farlo. A volte mi dimentico addirittura di mangiare come potrò occuparmi di una ragazzina. La coscienza invece mi domanda come mai abbia affrontato la questione.
Cosa c'entro io? Non sono nessuno per lei; mi sono solo preso la responsabilità di accompagnarla a casa mia per farla riposare un po'! Cosa diavolo ti passa per la mente Robert?
Lei stessa, tremante e con la testa appoggiata sul cuscino sotto il mio corpo sembra domandarsi la stessa cosa.

"Vieni, Allie. Ti accompagno a casa."
Pronuncio, tirandomi su e spezzandole lo sguardo sognante.

SPAZIO AUTRICE
EHHH ROBERTUUUCIOOO
Pensi di non averci niente a che fare he? E invece te ne occuperai eccome (ops spoiler)
Tranquilli, un paio di altri capitoli e poi vedremo da vicino questi due futuri piccioncini perché cappero, sono proprio fatti proprio l'uno per l'altro.
A presto
Minea

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