- Cap. 7

1.7K 87 10
                                    

"A cosa potrà mai servirmi
questa invincibilità
se non posso condividerla
con nessuno.
Nessuno si sentirà mai
invincible al mio fianco."
Prof. Downey

POV DOWNEY

Lascio andare il dorso sullo schienale della sedia, sento le spalle doloranti e il collo rigido: ho tenuto per troppo tempo la testa piegata, gli occhi mi bruciano, ho letto a lungo.
Sfilo lentamente gli occhiali, tentando più volte di liberare le stanghette da un ciuffo ribelle, li poso sulla cattedra e chiudo il libro con un tonfo, liberando nell'aria una leggera aroma di carta stampata.
Le riflessioni di Kant sul senso della vita mi provocano violenti giramenti di testa, spesso devo sorreggermi per non scivolare sul meraviglioso suono dei concetti e delle parole: mi lascio trasportare dalle stelle e dai sensi, e poi mi dicono che il nirvana è una invenzione dei buddisti.
Caccio un sorriso divertito, portando indietro le braccia ed intrecciando le mani sulla nuca. Chi non vorrebbe trovare la felicità e godere nell'oblio più profondo. Liberare le braccia e smettere di cercare, lasciar scorrere sulla pelle la percezione di essere a casa abbandonando la perenne insoddisfazione.
Porto il braccio in avanti sfiorando la copertina del libro, un brivido attraversa il mio corpo quasi come il caldo abbraccio di una donna. Insoddisfazione di non essere abbastanza e di non riuscire a fare a sufficienza, di morire domani senza aver amato a dovere e studiato ogni galassia.
"... il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell'oscurità, o fossero nel trascendente, fuori dal mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza..."
Le vedo ma non le conosco.
Sentenzio, liberando un nuvoletta di fumo dalle narici e sorreggendo nuovamente la testa con i palmi.
Sono entrambi estranee al mio corpo e alla mia anima, e la mente, troppo limitata, non riuscirà mai a comprenderle del tutto.
Tiro un secondo sorriso soddisfatto, accarezzandomi il ciuffo sulla nuca e sfiorando con l'altra mano l'interno coscia. Sento un fremito provenire da sotto la stoffa dei pantaloni quando muovo il palmo vicino all'inguine.
Mi sporgo sulla cattedra, adagiando il busto, e premo con forza la fronte sulla superficie fredda.
Con un ghigno quasi mi domando se gli interrogativi sulla vita facevano questo effetto ai filosofi tedeschi del 1700.
Scuoto la testa con un sospiro, levando il busto e sistemandomi la cravatta al collo. Forse sono la classe deserta o i cinquantatré anni a farmi venire in mente certe idee.
Ridacchio tra me, sistemando il sigaro tra l'indice e il medio e liberando un secondo miasma.
"Downey! Quante volte le ho detto che non si può fumare a scuola!"
Veronica Peel ha appena spalancato la porta, assalendomi con la sua spiccata parlantina e mostrandomi il suo spaventoso fisico lasso.
"Anche quando le lezioni non sono ancora iniziate?" rispondo, seducendola con un sorriso. Mi perdo ad accavallare le gambe sulla cattedra, non smettendo di fissarla per vedere che effetto le faccio sistemato in quella posizione.
"Sp- specialmente qu- quando non sono iniziate le lezioni... c- che- differenza fa se c'è lezione o meno..." la vedo balbettare indecisa sullo stipite, quasi sembra aver perso il suo irritante vocabolario quando inspiro nuovamente il fumo e lo faccio vibrare tra i denti.
"Ho lezione alla prima ora, lei non ha lezione Veronica?"
"Oh, sì sì, devo andare." chiude si scatto la porta, ingurgitando una eccessiva quantità di saliva prima di sparire.
Getto la testa all'indietro e rido di gusto, non mi ha neanche sequestrato il sigaro questa volta! Bravo Robert! Sei migliorato nell'ultimo periodo eh, hai fatto bene a mettere quello specchio nell'ingresso.
Afferro il libro e lo posiziono davanti al volto, facendo finta di specchiarmi e sistemare il colletto della camicia e la giacca.
"Che narciso..." sussurro tra i denti con un ringhio, ormai non riuscendo più a trattenermi.
Spalanco gli occhi ridendo nuovamente e mi avvio verso il balcone.
I ragazzi sono già accalcati all'entrata, attraverso il giardino con le mani in tasca e il sigaro stretto tra il pollice e l'indice. Pensare che un tempo sedevo anche io sui banchi di scuola, attraversavo baldanzoso i corridoi con La Nausea di Sartre sotto braccio, scoccando occhiate maliziose a tutte le studentesse carine. Non mi affaticavo mai davanti al portone, spingendo per entrare per primo. Dio quanto odiavo quei banchi e la scuola, persino nella grande mela era ripetitiva e noiosa. Terribilmente convenzionale e lontana dal mondo, dalla mia vita e dalle mie idee.
Forse era per questo che mi isolavo da tutti, sfruttando le amicizie solo per soddisfare il mio insormontabile ego, perdendomi tra le pagine dei libri e nelle braccia delle ragazze, sentendo le seconde più distanti e frivole delle prime. Forse era colpa della mia dannata filosofia se avevo respinto ogni possibilità di essere felice, se percepivo il fare l'amore come un semplice sfogo sessuale ben lontano dall'euforia dell'anima. Forse era tutta colpa mia se nessuna donna mi aveva mai soddisfatto a tal punto di farmi innamorare.
"L'amore del sapere..." articolo continuando a fumare.
Che diavolo.
Sento un ghigno formarsi sul mio volto quando mi fermo a riflettere.
L'amore del sapere mi ha fatto dimenticare l'amore per le persone, o forse, più tristemente, non mi ha mai permesso di scoprirlo.
Sollevo le spalle distrattamente, quasi come se quelle riflessioni non riguardassero me ma qualcun altro, ho il manico del coltello tra le mie dita e l'invincibilità dalla mia parte.
Ma a cosa mi potrà mai servire questa invincibilità se non posso condividerla con nessuno. Nessuno si sentirà mai invincibile al mio fianco.

Un gemito mi distrae dal sigaro e dalle riflessioni. Una studentessa è appena crollata a peso morto sul prato, cerca inutilmente di trascinarsi con le braccia ma appare distrutta.
"Allontanatevi! Forza entrate in classe, lasciatele spazio!" mi faccio largo tra la calca di ragazzi curiosi che si è appena radunata attorno alla sua figura.
Appena riesco a scorgerla stesa a terra la mia vista rimane colpita dal lungo ciuffo luminoso e dal fisico longilineo.
Perplesso mi rendo conto di trovarmi davanti Alison Taylor, del primo anno, la ragazza che mi ha fatto impazzire con le correzioni del compito su Aristotele.
Quasi mi dimentico del compito consegnato in bianco quando i miei occhi si posano sul suo fisico longilineo elegantemente disteso sul prato.
Una sincera immagine a dir poco perfetta per rappresentare le affermazioni sulla sensualità di-
Ma che cazzo stai facendo Robert?!
"Ti senti bene? Aspetta, ce la fai a sorreggerti?"
Le afferro i fianchi con decisione, sembra barcollare mentre con delicatezza la sollevo da terra.
"Cosa è successo? Aspetta andiamo in infermieria..."
"No!" mi stringe con forza il braccio, sbattendo sul mio petto per la foga.
"Sto bene, non voglio andare..."
"Non dire cavolate, non ti reggi in piedi... cosa avete da guardare voi? Forza andate in classe è suonata!"
Circondo con il braccio la vita di Taylor, sentendola sottile e liscia a contatto con la giacca: con l'altra mano mando via gli ultimi curiosi dal cortile.
Barcolliamo leggermente insieme, cerco di accompagnarla verso l'infermieria ma improvvisamente mi ferma posando le mani sulle mie spalle.
"Non importa professore, ho solo avuto un giramento di testa..." soffoca un doloroso singhiozzo quando le sue pupille lucide incrociano le mie, mi fermo ad osservarla con sguardo critico insistendo per accompagnarla.
Sembra non volermi ascoltare, con le dita sfiora distrattamente i miei capelli sulla nuca, tenendo il petto premuto contro di me. Riesco a percepire le curve del suo seno contro la stoffa della camicia, il contatto non sembra imbarazzarla ma qualcosa la spinge ad abbassare la testa subito dopo.
Mi accorgo di stringere i suoi fianchi con troppa insistenza e allento la presa.
"C'è qualcosa che non va, Taylor?" sussurro temendo di spaventarla di nuovo.
Sembra rilassata e respira lentamente contro di me, il suo mento rivolto verso gli alberi.
"Tutto ok." risponde indecisa, nascondendo un secondo lamento.
Si aggrappa con più forza sulle mie spalle e per la prima volta quella vicinanza mi appare sconveniente.
"Voglio farla visitare lo stesso."
Mi scosto trascinando il suo corpo con forza, Taylor però si ribella e mi allontana.
"Le ho già detto che non è nulla. Ora vado a casa così riposo un po' e mi passa tutto, non si preoccupi professore."
Annuisco, sfiorando i suoi lineamenti sconvolti e gli occhi stanchi con lo sguardo: sta tremando e ho l'impulso improvviso di stringerla di nuovo a me per rassicurarla.
Per fortuna non faccio in tempo, si volta verso il cancello e raggiunge traballante il marciapiede senza nemmeno rivolgermi un saluto.

SPAZIO AUTRICE
Hey
Prima parte del capitolo esclusivamente dedicato a @i_am_khim | Chiara
Al prossimo
Minea

PhilosophyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora