Capitolo 38

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~Alaska~
Le cose che ho visto questa notte mi hanno tenuta sveglia. Non riuscivo a spiegarmi come tutto ciò potesse essere reale. Non potevo crederci, o per lo meno la mia parte razionale non poteva. Sono giunta alla conclusione di essermi immaginata tutto. In fondo ho preso una forte botta alla testa, potrebbe essersi trattato di una conseguenza del trauma. Eppure ecco di nuovo quella strana, inquietante sensazione. È come un peso sul petto, qualcosa che ho dimenticato... qualcosa d'importante.
Questa volta mi alzo prima di Jenny e raggiungo la sua camera per poi sedermi sul suo letto. Le scuoto leggermente una spalla e lei si rigira nelle coperte tirandosele fin sopra la testa. Borbotta qualcosa d'incomprensibile e sbuffa.
"Sai, mi è successa una cosa strana questa notte..." Dico, ma poi mi fermo, decidendo che forse è meglio non continuare.
"Cosa?" Bofonchia lei.
"Mmmh, non fa niente. Piuttosto, hai dormito bene?"
"Ho fatto uno strano sogno..." Si mette seduta e  si guarda le mani, come alla ricerca di qualcosa. "Ero in un castello, seduta sul trono. Avevo tra le dita un anello con l'immagine di un drago... c'eri anche tu. E c'era tanta gente davanti a me e loro dicevano... dicevano..."
Si gratta la testa e mi guarda stringendosi tra le spalle: "Buffo come i sogni scivolino via. Non ricordo più..."
Le sue parole mi fanno sbiancare. Non può essere. Le visioni, allucinazioni, qualsiasi cosa fossero... ho visto la stessa cosa.
"Tutto bene, Alaska?"
"Io... sì. Mi sono solo ricordata che devo fare una cosa. Ehm... vado a vestirmi."
Travolta da mille pensieri, non mi rendo neanche conto di essermi preparata in fretta e furia e di essere già fuori.
Stringo tra le dita le chiavi della macchina e poi ricordo: "Ah, già..." borbotto. Scelgo di prendere il pullman che ferma all'ospedale. Sono circa dieci minuti di camminata poi per raggiungere la centrale ma, non avendo fatto colazione, decido di fermarmi nello stesso locale del giorno prima. Mi avvicino al bancone dove vengo accolta da Melvin che indossa un grembiule nero con la scritta ~Pub Caffetteria Camelot~ in verde chiaro.
Mi saluta con un sorriso allegro: "Hey! Alaska, giusto?"
Annuisco timidamente.
"Cosa ti servo?"
"Ehm, un caffè macchiato, per favore."
"Un caffè macchiato in arrivo!"Esclama.
La sua vitalità è contagiosa e non posso fare a meno di celare un leggero sorriso.
"Accomodati pure. Te lo porto io."
"Ti ringrazio." Mi siedo in un tavolino isolato vicino alla finestra. Sopra di esso vi è una copia del giornale locale e la mia attenzione viene attirata da una foto della mia macchina schiantata. Leggo l'articolo che riporta a grandi linee la dinamica dell'incidente ed il mio nome.
"Pare che la Detective Alaska Moon fosse alla guida del veicolo al momento dell'incidente e non si sia accorta dell'uomo sbucato dalla vegetazione. Lo sventurato, di cui non si hanno informazioni, è al momento ricoverato al Saint Patrick Hospital."
L'articolo è stato scritto da Margaret Fay, importante giornalista locale. L'ho conosciuta durante un'intervista su un caso di rapimento. Avevamo scambiato quattro chiacchiere e ricordo mi avesse accennato qualcosa sul fatto che sarebbe stato l'articolo più interessante della sua carriera fino ad allora. In effetti, non succede mai nulla di veramente eclatante in questo piccolo paesino sperduto nel nulla.
"È così che ti sei procurata le ferite?"
Sobbalzo quando sento la voce di Melvin, in piedi dietro di me con un vassoio in mano.
Non rispondo ma accantono il giornale.
"Scusa, non sono affari miei. Ad ogni modo, ecco il tuo caffè. Il biscotto lo offro io." Taglia corto con un tono secco.
"È la seconda volta che mi offri qualcosa... il locale fallirà se continui così!" Dico ridendo, cercando di smorzare la tensione che si era creata un attimo fa.
Lui risponde con una risatina sommessa e procede a servire altri clienti.
Vorrei prendermela comoda e godermi la colazione ma ricevo un messaggio da Lawrence:
"Raggiungimi in ospedale."
Preferirei decisamente rimanere qui, tranquilla ad osservare il traffico mattutino scorrere sulle strade e lasciarmi inebriare dal profumo delle brioche appena sfornate ma, svogliatamente, raccolgo le mie cose, pago lasciando una mancia ed esco.
Vengo investita da un'aria fredda e umida. Alzo il cappuccio della mia giacca e mi avvio a grandi falcate verso l'imponente edificio in cui sono attesa.
Entrando vengo immediatamente accolta da Lawrence che m'informa del fatto che il paziente è cosciente e lucido e può quindi essere interrogato.

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