Capitolo 42

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~Alaska~
"Mamma, papà vuole bene ad Artù?" Domanda improvvisamente Hazel, osservando i due attraverso il monitor del TARDIS. Le sue piccole braccia attorno al mio collo e le gambe avvinghiate al mio ventre.
"Certo, tesoro."
"E Artù vuole bene a papà?"
"Più di quanto dia a vedere." Rispondo.
"Devi sapere che entrambi darebbero la vita l'uno per l'altro."
"Guarda! Stanno rientrando." Esclama lei.
Spingo via lo schermo e mi volto verso le porte, un istante prima che si aprano.
Artù è il primo ad entrare. Gira su se stesso guardandosi intorno a bocca aperta.
"Sire, vi ricordate del Dottore, non è vero?" Dice Merlino, entrando a sua volta.
Artù esita ma poi annuisce.
"È un piacere rivedervi, sire." Interviene il Signore del Tempo.
"State bene, Artù?" Domando, guardandolo un po' barcollante.
"Sì, sì, scusatemi. È tutto un po'... disorientante. Questo posto mi lascia ancora sconvolto."
"Vi abituerete." Esclama il Dottore, dandogli una pacca sulla spalla.
"Artù, sembrate stremato." Sussurro, posandogli una mano sul viso.
"Purtroppo le persone che vengono detenute in centrale non ricevono un trattamento lusinghiero, questo lo so. Però ho un'idea per farvi sentire meglio. Andiamo a casa di Merlino. Lì potremo stare tranquilli. Vi preparerò qualcosa di caldo e vi spiegherò il piano. Potrete riposarvi e rimettervi in forza. Che ne pensate?"
"Mi sembra un'ottima idea." Interviene Merlino, sfilandosi la cravatta.
Artù si limita ad annuire e il Dottore si mette ai comandi del TARDIS. In un battito di ciglia siamo nel giardino dell'appartamento.
Hazel saltella fuori precedendoci e correndo verso la porta, in attesa che Merlino la apra.
Una volta dentro, mi sento immediatamente avvolta dalla famigliare sensazione del focolare domestico e spero che sia così anche per Artù. Sarà la mia natura empatica ma mi pare di percepire sulla mia pelle la stanchezza e la frustrazione che starà sicuramente provando il re.
"Seguitemi sire. Vi presto dei vestiti più comodi." Dice Merlino, conducendo Artù nella sua camera.
Intanto Hazel, il Dottore ed io ci dirigiamo in cucina.
"Che ne dite di una bella cioccolata con la panna?" Propongo.
I volti di entrambi si illuminano come se non avessero mai sentito parole più belle.
"Sì, sì, sì!" Urla Hazel saltellando intorno alle mie gambe.
E tutti e due si mettono a tamburellare sul tavolo esclamando a ritmo: "Cioc-co-la-ta! Cioc-co-la-ta."
"Ok, ok. Cioccolata sia." Ridacchio, estraendo il latte dal frigo.
Mentre mescolo il liquido scuro e profumato che si addensa lentamente scaldato dalle fiamme bluastre del fornello, Artù entra lentamente nella stanza con addosso una felpa rossa e dei pantaloni in cotone neri. Cammina impacciato, un po' a disagio in quegli abiti per lui così inusuali.
"Sedetevi pure, sire. La cioccolata è quasi pronta." Dico.
"Cos'è la cioccolata?" Domanda perplesso, sedendosi accanto ad Hazel che, a quella domanda, strabuzza gli occhi.
"Tutti sanno cos'è la cioccolata." Esclama impertinente.
Artù arrossisce, visibilmente imbarazzato.
"Hazel!" La rimprovera Merlino. "Non essere scortese."
"Scusatemi, sire." Borbotta lei, chinando il viso.
"Vedrete però, vi piacerà. È la cosa più deliziosa che assaggerete!" Esulta poi, eliminando ogni traccia di pentimento.
Merlino si avvicina a me, mentre Hazel procede a descrivere per filo e per segno il sapore della cioccolata, parlandone come se fosse una bevanda paradisiaca. Si rimbocca le maniche, prende una ciotola e comincia a montare la panna.
"Come sta?" Dico a voce bassa, per non farmi sentire dagli altri.
"È sconvolto. È come se non si fosse ancora del tutto svegliato da un incubo."
"Non possiamo biasimarlo. Per lui tutto questo deve essere molto peggio di come è stato per noi. Insomma, per noi è stato un cambiamento graduale. Lui è stato scaraventato dal medioevo ad oggi in un battito di ciglia. Chiunque rimarrebbe come minimo spaesato."
"Spero che questa storia finisca presto. Mi mancano i nostri amici e mi manca casa."
"Lo so. Mancano anche a me."

Serviamo le tazze a tavola. Hazel tuffa il cucchiaino nella montagna di panna come se non mangiasse da giorni. Artù è più riluttante.
"Fidatevi di me, sire. Vi sentirete meglio dopo che l'avrete assaggiata." Dice il Dottore, convincendolo.
Con fare sospetto avvicina la calda bevanda alle labbra e, quando finalmente deglutisce, i suoi occhi si spalancano in un'espressione di stupore e incredulità.
"Non ho mai assaggiato niente di simile in tutta la mia vita. Deve essere una merce esotica, non esiste niente di simile a Camelot." Esordisce.
Merlino fa spallucce: "L'ho comprato al supermercato l'altro giorno. Era in offerta."
Artù lo guarda come se stesse parlando in aramaico antico.
"In effetti per voi, sire, è merce esotica. Nonostante ora sia un bene comunissimo, l'Europa non conobbe il cacao finché non vennero scoperte le Americhe. Se non sbaglio fu proprio Cristoforo Colombo il primo europeo a scoprirlo in uno dei suoi viaggi." Dico. Ovviamente Artù continua a guardarmi basito.
"Ah, il caro vecchio Cristoforo. Un tipo stravagante, sapete? Mi piaceva. Sempre in cerca d'avventura. Per essere un navigatore però aveva un pessimo senso dell'orientamento. Quando è approdato era convinto di aver scoperto l'India e non l'America. Io continuavo a dirgli che era incorretto chiamare quei piccoli roditori "porcellini d'india", ma lui si è rifiutato di chiamarli "porcellini d'america". E comunque non è mai stato un grande amante della cioccolata." Parla il Dottore, assorto nei ricordi.
Hazel lo osserva con fare annoiato, molto più concentrata sulla cioccolata che sulle sue parole. Io invece provo un senso di malinconia nell'ascoltarlo. Mi chiedo se viaggerò ancora con lui o se le sue visite si faranno sempre più diluite nel tempo, fino a diventare solo un nostalgico ricordo.
Artù posa il cucchiaio e fissa la tazza per qualche secondo, poi alza lo sguardo e dice con voce pacata: "Dovevate parlarmi del vostro piano..."
"Giusto." Sussurra Merlino, raccogliendo le mani sul tavolo.
"Ma forse è meglio chiarificare come siamo finiti qui, così che voi possiate capire meglio cosa sta succedendo." Intervengo.
L'uomo si irrigidisce, contraendo la mascella e muovendosi a disagio sulla sedia. Merlino lo nota e propone di uscire per prendere un po' d'aria.

Qualche istante dopo ci ritroviamo nel giardino. Il vento freddo inizia ad alzarsi, portando con sé imponenti nuvole nere. Mi stringo nelle spalle, osservando Hazel correre e giocare con il Dottore. I capelli mossi dal vento mi solleticano le guance. Respiro l'aria autunnale a pieni polmoni prima di voltarmi verso Artù. Le sue goti sono arrossate dal freddo e il viso contratto in un'espressione rigida e cupa.
"Sire, ricordate quando avete viaggiato nel TARDIS per la prima volta?" Chiedo.
Lui sposta il suo sguardo ceruleo su di me ed annuisce in silenzio, poi aggiunge: "È stato quando Hazel stava per nascere e quelle strane ombre ti hanno rapita. Non mi avete mai detto cosa è successo realmente."
"È il momento che conosciate tutta la verità, sire." Sussurra Merlino, senza spostare gli occhi dall'orizzonte.
Comincio io a spiegare: "Poco dopo che vi sposaste, quando scoprii di essere incinta, ricevetti una lettera proveniente dal futuro. Fu proprio Hazel a scriverla e con essa mi chiedeva di cambiare gli eventi riguardanti la sua vita. In seguito venimmo a conoscenza di un'antica profezia che la riguardava."
"Questa profezia, dettata dalle sacerdotesse della religione antica, parlava degli enormi poteri con cui sarebbe nata Haz." Continua Merlino. "Era conosciuta tra creature magiche e di tutto l'intero creato come "l'Erede della Magia" in quanto ereditò non solo i miei poteri, ma anche quelli di Alaska. Secondo la profezia, la bambina sarebbe stata la creatura più potente mai esistita. Appena si sparse la voce del suo imminente arrivo, forze oscure si radunarono. In particolare, venne creato un esercito: l'esercito delle ombre."
"Loro mi seguirono e studiarono per nove mesi, diventando sempre più forti, finché mi rapirono per portarmi dal loro padrone. Quando Hazel nacque, la portarono via da me. La trovammo in una torre dove quella donna che controllava le ombre la teneva prigioniera.
Quando riuscimmo a portarla via da lì, ingenuamente sperai che fosse tutto finito, ma così non fu. A Camelot fu vittima della crudeltà e dell'avarizia di coloro che volevano appropriarsi dei suoi poteri."
"Dopo la vostra morte, Artù, tornai a Camelot e il giorno stesso decidemmo di sottrarle i poteri per sempre. Ma le ombre ce lo impedirono."
"L'unico modo per sconfiggerle, fu creare un paradosso. Ed Hazel era il paradosso perfetto. Concepita in un epoca in cui io non dovevo esistere e nata secoli dopo, su un altro pianeta. La bambina che non apparteneva a nessun luogo e nessun tempo."
"Non capisco. Cosa intendi quando dici che non dovevi esistere?" Domanda Artù, sempre più scioccato dal racconto.
"Io non sono nata a Camelot, sono nata nel ventunesimo secolo. Ho viaggiato nel tempo con il Dottore e solo dopo aver conosciuto Merlino ho deciso di fermarmi."
"Per tutto questo tempo ho creduto di conoscerti. Invece non so niente di te. Di voi."
"Artù, siamo sempre noi, sempre gli stessi. È vero, vi abbiamo tenuto nascosto alcune cose, ma siamo sempre stati vostri amici. Ad ogni modo, ascoltate il resto della storia."
Merlino riprende a raccontare: "Qualcosa andò storto e tutti noi fummo scaraventati in una realtà fittizia alla quale non apparteniamo. Tutto ciò che vedete è sbagliato. Dobbiamo far ricordare agli altri la loro vera identità, il loro passato per poterli riportare a Camelot. Dopodiché tutto tornerà alla normalità."
"Ma questo vuol dire che io morirò di nuovo."
"No, sire. Il grande drago mi disse che quando Albione ne avesse avuto bisogno voi sareste risorto. Ed è quello che è successo. Tutti noi ora abbiamo bisogno di voi."
"Come facciamo a farli ricordare?"
"Questa è la parte difficile." Intervengo. "Avremo bisogno di attirarli in una zona appartata, dove potrete parlargli e convincerli della vostra e della loro identità. Ricordate la loro nomina a cavaliere? Loro vi giurarono fedeltà eterna. Ebbene, quella fedeltà esiste ancora nei loro cuori, è solo celata. Fate appello a ciò e loro saranno in grado di riscoprirla."
"Ho capito, quando iniziamo?"
"Subito! L'unico problema ora è trovare il modo di attirarli tutti nello stesso luogo." Risponde Merlino.
"A questo ci penserò io. Spero solo che funzioni, altrimenti perderò il lavoro." Sospiro, alzando le spalle, "Intanto salite in macchina, so dove andare."

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