Capitolo 41

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~Merlino~
"Sei sicura che funzionerà?" Domando, osservando Alaska mentre si riveste.
"Beh, non posso esserne del tutto certa, ma è meglio di niente. E poi credo di aver capito come funziona. C'è bisogno di provocare un'emozione abbastanza forte da far riaffiorare i ricordi. Inoltre deve essere qualcosa che li riporti indietro ai tempi di Camelot. Capisci?"
"Certo. In effetti la nomina a cavaliere è stato un momento fondamentale per tutti i ragazzi. Ma come faremo con Gwen e gli altri?"
"Una cosa alla volta. Iniziamo con i cavalieri. Più persone ricordano e più il filtro di percezione che aleggia su questo paese si indebolirà. Ho già chiamato il Dottore. Renditi presentabile, sarà qui a momenti."
Mi vesto velocemente. Giusto in tempo, perché il TARDIS si materializza nel giardino. Alaska mi precede, uscendo per prima e dirigendosi verso la cabina blu. Sento dei piccoli passi correrle incontro ed un'allegra vocina ridere spensieratamente. Raggiungo l'uscio e vedo Alaska abbracciare la bambina, baciandole dolcemente la fronte.
"C'è qualcuno che vorrebbe vederti." Dice poi, indicandomi.
Gli occhi di Hazel si illuminano appena incrociano i miei.
"Papà!" Esclama, correndomi incontro.
Sentendo quella parola, un brivido mi attanaglia le viscere, percorrendomi la spina dorsale. Non potrei descrivere a parole la felicità che provo nel rivederla dopo così tanto tempo.
Mi chino verso lei e la prendo in braccio, stringendola a me. Lei avvinghia le braccia al mio collo e lascia le gambe a penzoloni, dondolandole a destra e sinistra mentre appoggia la testa sulla mia spalla.
"Piccola mia, mi sei mancata così tanto." Sussurro.
Il suo tenero viso si scosta dalla mia spalla e lei mi posa le sue labbra rosee sulla guancia.
Quando la rimetto a terra mi afferra prontamente la mano e inizia a correre verso il TARDIS.
Veniamo accolti dal Dottore che sta rigirando il cacciavite sonico tra le dita.
"Ben tornato tra noi, Merlino. È un piacere rivedervi tutti insieme." Dice lui, con un sorriso che ha del malinconico.
"Grazie." Mi limito a rispondere.
"Alaska mi ha parlato del vostro piano. Ho già preparato l'occorrente. Troverai tutto nell'armadio."
"Ottimo." Mi dirigo all'armadio seguito da Alaska. Lei prende una divisa, degli occhiali da sole e una pistola e me li porge.
Mentre li indosso mi scruta di sottecchi e arrossisce leggermente quando lo noto.
"Cosa devi dirmi?" Chiedo, ma esce più come un'affermazione che una domanda.
Lei prende a fissarsi le scarpe e sussurra: "Sembri nervoso. Qualcosa ti turba?"
Sospiro. Non posso nascondere nulla a questa ragazza.
"Non è niente."
"Bugiardo!" Esclama, voltandosi di scatto.
Mi sistemo la cravatta, rivolgendole una breve occhiata. Vorrei stare zitto e non dire nulla. Parlarne lo renderebbe reale, ma in fondo lo è ed io non posso tirarmi indietro. Dopotutto è ancora il mio destino.
"Si tratta di Artù, non è così?" Mi precede lei, scivolando di fronte a me e abbottonandomi la giacca.
Annuisco.
"Ho paura, Sky."
"Di cosa?"
Esito prima di rispondere. Un peso mi si deposita opprimente sul petto.
"L'ultima volta che l'ho visto, lui... io..."
Non è semplice ricordare la morte del proprio migliore amico senza scoppiare a piangere.
Alaska posa una mano leggera sulla mia guancia e sorride. Quel dolce sorriso comprensivo che pare sussurrare: "Lo so, non c'è bisogno di parlare. Ho capito."
E io so che lei ha capito ma ormai le parole scivolano fuori dalle mie labbra senza che io possa controllarle.
"È morto tra le mie braccia secoli fa. Ma ora lui è qui. Sembra così surreale e io mi sento tremendamente spaesato." Non so dove volessi arrivare con questo discorso, ma Alaska non si aspetta che continui. È incredibile come riesca a leggermi nella mente e sgarbugliare i miei pensieri, quando neanche io sono in grado di trovarne un capo o una coda.
"Non è quello che hai sempre desiderato? Che lui fosse vivo? Artù ora è tornato e noi lo riporteremo a casa e tornerà ad essere il re che conosciamo. Avete portato la pace a Camelot, il tuo destino si è compiuto. Ora dobbiamo solo tornare nel luogo dove tutti apparteniamo, insieme. Ce la faremo e andrà tutto bene. E noi saremo finalmente una famiglia normale. Non dovremo più temere per Haz una volta che tutta questa maledetta storia sarà finita, non è così?"
I suoi occhi marroni risplendono come una stella infuocata e mi guardano insistenti, colmi di una speranza che si diffonde come una melodia in tutta la stanza. La sua positività mi irradia di forza e fiducia. Vorrei baciarla, accarezzarle i capelli e non lasciarla più. Mi avvicino al suo viso e lo circondo con le mani. Lei sorride, io guardo quelle iridi magnifiche che ricordano la terra di un pianeta lontano, scalfita da antiche meteore che hanno lasciato ormai solo la loro ombra dorata. Le sue labbra rosee mi attirano a lei e proprio quando sto per sfiorarle, una vispa voce ci richiama, facendoci allontanare l'uno dall'altra.
"Mamma, papà, il Dottore chiede se siete pronti a partire."
"Solo un attimo, tesoro." Risponde Alaska.
Hazel saltella via.
La ragazza afferra un basco rosso e me lo piazza con noncuranza sulla testa.
"Wow. Sembri così autoritario." Dice con voce maliziosa, passandosi la cravatta tra le dita e tirandomi vicino a lei, per poi posare la bocca sul mio collo.
"La divisa ti rende molto sexy."
Scuoto la testa e sorrido.
"Riuscirai mai a rimanere seria per più di cinque minuti?"
"Non con te davanti vestito così."
"Forza, andiamo. Ci stanno aspettando."

"Allora, tutto chiaro il piano?" Domanda il Dottore.
"Sì, ma..."
"Cosa c'è?" Mi chiede Alaska.
"Beh, ho la divisa, la pistola e tutto, ma dubito che qualcuno crederà che sono veramente un ufficiale della UNIT."
"Lo faranno grazie a questa." Il Dottore estrae dal taschino interno della sua giacca un pezzo di carta bianco.
"Non capisco come questo semplice biglietto vuoto possa aiutare." Controbatto.
Alaska nasconde un sorriso divertito.
"Vedi, questa è una carta psichica. Permette di far leggere alla gente ciò che vuoi che loro leggano. Con questo sarai chiunque tu voglia, ti basterà pensarlo. Forza, leggi ora." Mi incita il Dottore, porgendomi l'oggetto.
"Ufficiale superiore squadra Delta, UNIT." Leggo ad alta voce. Sembra un vero e proprio distintivo, con nome e tutto. Beh, il mio finto nome: Melvin Evans.
Mi passo una mano tra i capelli, nervosamente.
"Non preoccuparti, andrai bene. Devi solo calarti nel personaggio ed essere, beh... autoritario." Ridacchia Sky, rivolgendomi un occhiolino.
"Autoritario... va bene." Borbotto infilandomi gli occhiali.
"Buona fortuna." Sussurra Alaska, mentre mi dirigo fuori.

Raggiungo velocemente la stazione di polizia ed entro. Vengo immediatamente intercettato da Lancillotto che mi domanda come può aiutarmi. Ha un'espressione alquanto sorpresa. Immagino non si aspettasse di incontrare un ufficiale della UNIT.
Mostro il mio falso identificativo, sperando che funzioni.
"Ufficiale superiore squadra Delta. Sono qui per prelevare il vostro prigioniero che si identifica sotto il nome di Artù Pendragon."
"Mi dispiace, ma non ha alcun diritto di farlo uscire. È ancora sotto custodia in attesa che vengano presi provvedimenti giudiziari nonché medici." Risponde lui.
"Ho l'ordine del Primo Ministro in persona di ritirare l'uomo con le buone o con le cattive." Esclamo. Riesco a immaginare la risatina sommessa di Alaska che mi osserva dal TARDIS.
Ad ogni modo mostro nuovamente la carte psichica a Lancillotto. Lui la prende tra le dita e la esamina attentamente, poi rivolge un'occhiata sospettosa a me, guarda di nuovo il foglio e finalmente annuisce, restituendomelo.
"Mi segua." Si limita a borbottare.
Attraversiamo un lungo ed umido corridoio, affiancato da due file di celle di cui solo una è occupata, quella di Artù. L'uomo sta dormendo nervosamente sulla rigida branda, con le braccia conserte raccolte sul petto. Lancillotto batte tre volte un manganello tra le sbarre provocando un gran frastuono che fa sobbalzare Artù. Si drizza di scatto, con i muscoli contratti, pronto a difendersi.
"Sei libero di uscire." Sentenzia Lancillotto, accennando a rimettergli le manette.
"Non sarà necessario." Intervengo.
Artù posa lo sguardo su di me e sbigottisce appena mi riconosce. Sta per dire qualcosa ma le labbra cominciano a tremargli e la voce gli soffoca in gola. Gli rivolgo un sorriso sfuggente ma aspetto di essere solo prima di dire qualsiasi cosa.
Prima di uscire, una donna alla reception mi porge gli "effetti personali" -così li ha chiamati - di Artù. Tra questi vi sono in realtà solo la spada e l'armatura che aveva addosso.
Quando veniamo scortati fuori, mi allontano dall'edificio. Giro l'angolo dove troneggia il TARDIS, ignorato dai passanti ma non da Artù che lo fissa con aria smarrita e spaventata.
"Artù..." Sussurro. Lui mi da le spalle, immobile e rigido come se fosse paralizzato.
Mi tolgo gli occhiali e il cappello e mi passo le dita tra i capelli.
"Artù..." Questa volta lui si gira lentamente. Gli occhi velati dalle lacrime e il viso contratto.
Non riesco a trovare le parole giuste da rivolgergli così mi limito a sorridergli, sperando di tranquillizzarlo. Lui si copre la bocca con il palmo della mano e le lacrime gli scivolano sulle guance, rigandogli la pallida carnagione.
"Sei tu? Sei davvero tu?" Domanda con voce spezzata e roca, come se non parlasse da secoli.
"Sì, Artù. Sono io."
Si copre il viso con le mani e io mi avvicino per posargli una mano sulla spalla, ma lui si slancia in un abbraccio, singhiozzando sulla mia spalla. Non credo di averlo mai visto così fragile e vulnerabile. Artù Pendragon, il cavaliere più forte di Camelot, il re saggio e gentile, ora pare un fragile bambino, sperduto ed impaurito. Non lo biasimo però, come potrei? Infondo non posso neanche immaginare quello che sta vivendo. Catapultato in tutto un altro mondo, da solo, confuso.
"Va tutto bene. Ci sono io." Sussurro.
Lui si scosta da me e si raddrizza, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano, cercando di ricomporsi.
Mi squadra da testa a piedi per poi sentenziare: "Come diavolo sei vestito?"
Non posso che ridere a quella affermazione così schietta e diretta, così da lui.
"Ben tornato, sire."

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