Capitolo 1

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~Alaska~
È una fredda mattina di fine Novembre. Una candida luce illumina la stanza. Mi alzo dal letto pigramente, metto la mia vestaglia violetta e mi affaccio alla finestra. La nebbia si alza fitta dai campi gelati della campagna. Mi infilo le pantofole e scendo in cucina. Sono sola in casa, zia Mila deve essere andata a fare la spesa e questo è un sollievo per me, meno la vedo e meglio è. Mi ha sempre odiata, non so perché. Non le ho mai mancato di rispetto, certo, una volta le ho vomitato sul tappeto nuovo, ma avevo un anno. Vivo da lei dal terribile giorno in cui la mia vita fu sconvolta. Lo ricordo come se fosse ieri. Telefonavo e loro non rispondevano, poi la radiolina di mio fratello passò la notizia di un incidente aereo, era il loro volo, l'aereo era precipitato per cause sconosciute: malfunzionamento del motore? Distrazione dei piloti? Poi quelle due parole rimbombarono nella stanza: "Nessun sopravvissuto". Non riuscivo a respirare, le lacrime che affioravano mi impedivano di vedere chiaro, o forse era il pensiero, il pensiero che loro non c'erano più. Un momento prima i miei genitori erano in volo per Parigi per un week-end romantico e per festeggiare l'anniversario di nozze e un momento dopo non esistevano più, erano morti, in un battito di ciglia tutto ciò che erano e sarebbero stati era sparito, annullato. Non capivo più niente, non poteva essere vero. Eravamo seduti sul pavimento della mia stanza e Maxie si rannicchiò tra le mie braccia piangendo, bagnandomi la maglia con i suoi lacrimoni. Lo abbracciai forte e non lo lasciai andare. Quella sera si addormentò singhiozzando tra le mie braccia e per nessun motivo al mondo lo avrei lasciato. Ora c'eravamo solo io e lui.
Lady balza sul lavandino distraendomi dai miei ricordi. È la gatta di mia zia, è coccolona ma anche un'abile cacciatrice. Mi passa tra le braccia mentre metto su il caffè e lascia scivolare il suo pelo grigio tra le mie dita. Prendo il caffe, lo verso nella tazza e aggiungo un po' di latte e due cucchiaini di zucchero. Mescolo mentre mi dirigo verso la grande finestra della sala. Zia Mila ha una casa enorme, è molto ricca ma anche molto avara. Me ne sto seduta davanti ai finestroni per ore certe volte. È il mio unico momento di tranquillità da quando Maxie mi ha lasciata. La zia mi ha praticamente schiavizzata. Nonostante  potrebbe tranquillamente permettersi una domestica, fa fare tutti i lavori di casa a me. Vedo la macchina sfrecciare sul vialetto sterrato e poco dopo zia Mila entra in casa. "Alaska!" mi grida, "vieni subito a sistemare la spesa!" "Arrivo" le rispondo. Torno verso la cucina passando per l'ingresso dove mi aspettano tre grandi buste da svuotare. La zia si sta togliendo il cappotto, non mi rivolge neanche uno sguardo e se ne va in salotto. Io prendo le buste con fatica e inizio a riordinare la spesa. "Cosa vorresti mangiare?" Le chiedo sapendo già che anche oggi cucinerò io. "Fai lo stufato e questa volta metticelo il sale!" Mi risponde lei bruscamente. Sbuffo e inizio a mettermi ai fornelli. Poco dopo sento un rumore che arriva dal giardino. È il suono più bello che abbia mai sentito, il suono della mia salvezza, è il rumore del TARDIS che atterra. Dalle porte esce il Dottore e mi vede dalla finestra. Io li faccio segno che arrivo tra cinque minuti e lui annuisce. Corro in camera mia per vestirmi. Opto per un paio di leggins neri, una maglia grigia scura e un lungo maglione porpora che adoro, pettino velocemente i capelli e scendo. Conobbi il Dottore quando avevo 16 anni. Mio fratello Maxie era morto da sei mesi per una malattia incurabile. Vivevo già dalla zia al tempo ed ero molto depressa. Volevo parlare con uno psicologo o con qualcuno che mi aiutasse ma la zia non voleva spendere soldi per me. Avevo pensato anche al suicidio ma poi mi sono sentita così patetica, dovevo resistere per mamma e  papà e soprattutto per il mio fratellino. Una sera, verso il tramonto, stavo passeggiando nel bosco come faccio spesso quando ho bisogno di riordinare i pensieri e fui incuriosita da un suono che non avevo mai sentito. Poco più avanti, tra gli alberi comparve qualcosa di inusuale. Una cabina della polizia blu. Mi avvicinai lentamente fino ad arrivare a mezzo metro di distanza dall'oggetto. Le porte si aprirono e io sobbalzai. Ne uscì un uomo di bell'aspetto anche se vestito in modo strano. Aveva una giacca marrone scuro e indossava un farfallino. Mi disse: "siamo circondati". Io ero leggermente basita e risposi:" C-circondati? Da cosa?" L'uomo mi rispose: "Dagli alberi". "Dagli alberi? Certo che siamo circondati da alberi, siamo in un bosco!" Ribattei io e lui senza scomporsi mi disse:" gli alberi che intendo io sono vivi, si muovono, letteralmente, camminano e..."
"E?"
"E ringhiano."
"Ringhiano?" Gli risi in faccia, pensavo fosse pazzo ma poi il suo sguardo si sposto verso l'alto, guardava dietro di me, qualcosa molto, molto più grande di me. Io mi girai lentamente e lo vidi. Un enorme albero mi stava fissando e ringhiò fortissimo alzando le foglie da terra, sollevando un polverone e smuovendo gli alberi. L'uomo mi prese la mano e disse:"Corri!" Mentre correvamo gli chiesi: "chi sei tu?"
"Sono il Dottore"
"Dottore chi?"
"Haha solo il Dottore!"
"Okaaay e cosa sono quei cosi, ehm gli alberi rabbiosi?"
"Alieni"
"Oh fantastico, alberi rabbiosi alieni"
"Lo so! È così eccitante!"
Trovai strana quell'ultima frase ma ancora più strano era il fatto che era davvero eccitante! Voglio dire alberi alieni che ti inseguono, quante volte nella vita può succederti? Tirò fuori uno strano aggeggio lo puntò verso la creatura ed esclamò: "Maledizione, perché non funzioni sul legno?!"
Ovviamente il Dottore riuscì a salvarci tutti come al solito e mi propose di viaggiare con lui. Come avrei potuto rifiutare tutto il tempo e lo spazio? Così accettai. Il Dottore mi salvò dalla depressione. Gli raccontai tutto di me, persino dei miei poteri magici. Si perchè non mi bastano tutti i problemi che ho dalla scomparsa della mia famiglia, ma devo anche nascondere questi, non saprei come definirli, ehm queste capacità di bhè spostare o far volare gli oggetti e anche di vedere a rallentatore come se tutto intorno a me si fermasse o quasi. Inoltre certe volte il tempo cambia secondo il mio umore: se sono triste piove, se sono arrabbiata spesso compaiono letteralmente dei tuoni a cel sereno. È un po' spaventoso ma non so come controllarli. Solo la mia famiglia sapeva di questa cosa e anche zia Mila, forse è per questo che mi disprezza così tanto.
Arrivata alla porta d'ingresso prendo il mio cappotto rosso ed esco correndo. A zia Mila non interessa dove vado e quando torno, a volte pensa che sia a farmi le canne nella vecchia stalla dove prima lo zio teneva i cavalli. Hanno divorziato e lei si è tenuta la casa mentre lui i cavalli. Da piccola giocavo spesso con zio Albert, mi ha insegnato lui a cavalcare e anche ad usare la spada. Era molto bravo infatti lo chiamavano sempre per la festa medievale che si svolgeva ogni anno in città.
Appena raggiungo il Dottore lo abbraccio forte e poi entriamo nel TARDIS. "Allora, dove vuoi andare oggi?" Mi chiede.
"Non lo so" rispondo io infilando le mani in tasca. C'è qualcosa in una di queste. Lo tiro fuori, è un volantino pubblicitario di un nuovo pub che ha aperto da poco in città. "Pub Camelot" si chiama. "Mmmh che ne dici di Camelot?" Gli dico rivolgendogli un enorme sorriso.
"Camelot? Ma..."
"Oh ti prego" gli faccio gli occhi dolci ai quali non può resistere, lui mi guarda e dice:"oh e va bene, ma non rimanere delusa se non la troviamo!" Gli sorrido e mi siedo sulla poltroncina vicino alla console mentre lui corre avanti e indietro, tirando una leva di qua e spingendo un pulsante di là. Il TARDIS si smaterializza e finalmente atterra. Io salto in piedi e con un fremito di eccitazione corro verso la porta e la apro. Rimango spiazzata. La vista è bellissima. Siamo sopra ad una collina e da qui si vede il castello e la cittadella illuminati dai raggi del sole. Semplicemente fantastico. Corro fuori come una bambina di cinque anni che si dirige verso un'altalena ma il Dottore mi dice di aspettare così mi fermo e lui mi raggiunge con in mano un ciondolo, una specie di pietruzza viola da mettere al collo. Mi dice che è un filtro di percezione, serve per non dare nell'occhio dato che Uther, re di Camelot ripugna tutto ciò che sembra magico. "Quindi anche me" penso dentro di me. Gli sorrido e gli chiedo se possiamo andare. Lui annuisce e mi dice di stare attenta e non fare niente che possa attirare l'attenzione. Raggiungiamo la città bassa, è così medievale e rustica ma anche molto accogliente. È piena di bancarelle di ogni genere e piccole botteghe. Vi sono molte persone che vanno avanti e indietro, sono tutti paesani dai vestiti semplici, probabilmente molti di loro sono servitori. Raggiungiamo poi la cittadella e infine il castello, così imponente. Vi sono cavalieri ovunque. Non abbiamo problemi a superare le guardie, siamo praticamente invisibili. Saliamo le scale ed entriamo. È tutto così bello che non mi sembra vero. Ho sempre amato le leggende Arturiane! Mentre sto ancora contemplando la bellezza del luogo in cui mi trovo, mi rendo conto che il Dottore è già alla fine di un lungo corridoio, sta per svoltare l'angolo, mi guarda e mi dice:"Muoviti, non vorrai perderti." E riprende a camminare a passo spedito. Così inizio a correre per raggiungerlo ma sbatto contro un ragazzo, un servitore credo, che stava arrivando dalla parte opposta alla mia. Entrambi cadiamo a terra e lui perde di mano il mucchio di vestiti sporchi che stava portando. "Sono mortificata" gli dico mentre lo aiuto a raccogliere i panni. "Non preoccuparti" mi risponde lui alzandosi. "Stai bene?" Mi domanda. "Si, credo di si."In quel momento lo guardo in faccia, cosa che non avevo ancora fatto, e mi rendo conto che ha dei bellissimi occhi azzurri. Anche lui mi sta guardando negli occhi. "Alaska" grida il Dottore con tono spazientito. Non riesco a vederlo ma gli rispondo "sto arrivando" senza distogliere lo sguardo da quei bellissimi occhi. "Ti chiami Alaska?" Mi chiede il ragazzo. Annuisco. "Bel nome" continua lui, "Io sono Merlino". Mi porge goffamente la mano cercando di non far cadere la montagna di vestiti. Io gliela stringo timidamente ma dentro di me penso:"Merlino? Quel Merlino?" Ok me lo ricordavo più vecchio e... barbuto. "È meglio che vada" gli dico. "Si, anche io." Risponde "I vestiti del principe non si lavano da soli" Sorrido e mi dirigo verso il Dottore. Prima di svoltare l'angolo mi giro e lo guardo andare via. È alto e magro, ha i capelli neri e la carnagione chiara. E poi quei suoi occhi...
"Ok Alaska, smettila di pensarci" mi dico, "piuttosto concentrati a trovare il Dottore!" Inizio a cercarlo per i corridoi, e finalmente lo trovo. Lui mi guarda e mi dice:"Eccoti qua, andiamo a visitare la città? Annuisco ed usciamo dal castello per avventurarci nella "borghesia" di Camelot.

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