Capitolo 39

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~Alaska~
L'acqua calda avvolge dolcemente il mio corpo, riempiendo di vapore il bagno. Osservo Lady sfilare sul bordo della vasca come un funambolo cammina sospeso a metri da terra. Posa una zampa dinanzi all'altra con un'eleganza di cui solo un felino è dotato, prestando massima attenzione a non scivolare nell'acqua.
Ripenso al caso in cui mi sono ritrovata coinvolta. Qualcosa in me mi spinge a perseguire il filone di idee per cui ciò che dice l'uomo che afferma di essere Artù Pendragon corrisponda al vero. Ma come è possibile? E quell'uomo con qui ho parlato sul lago non è stato per niente d'aiuto. Ha solo instaurato più dubbi nella mia mente di quanti già non ce ne fossero stati prima.
Immergo il viso sott'acqua e percepisco i capelli sfiorarmi il viso e le spalle. Aprendo gli occhi, scorgo il muso di Lady che mi scruta incuriosita. Ascoltare i suoni ovattati mentre sono completamente sommersa mi infonde pace e tranquillità. Riemergo solo per prendere aria e noto che è apparso un nuovo messaggio sul mio cellulare. Il mittente è un numero sconosciuto ma il messaggio riporta parole chiaramente rivolte a me:
"Alaska Moon, recati all'indirizzo Windorf Road. Troverai una villa disabitata in fondo ad una stradina tra i campi. La porta sarà aperta. All'interno troverai alcune delle risposte che cerchi."
Per un istante l'indirizzo mi suona famigliare, ma non riesco a ricollegarlo a nessun luogo preciso. Ad ogni modo, se andarci mi permetterà di far chiarezza su questa storia, o per lo meno a fornirmi delle informazioni sensate, allora non ho altra scelta.
Mi asciugo e vesto il più velocemente possibile ed esco di casa, lanciandomi in strada, con ancora i capelli umidi. L'aria fredda mi punge le guance e mi brucia gli occhi, facendomeli lacrimare leggermente. Chiamo frettolosamente un taxi che accosta vicino al marciapiede e mi fa salire.
"Dove la porto?"
"Windorf Road, per favore."
L'uomo mi conduce fuori città, in mezzo a campi nebbiosi e freddi. Il paesaggio è piuttosto triste, l'aria è umida e penso che tra poco pioverà. Lui mi rivolge parole di circostanza, cercando di fare discorsi insignificanti e chiacchierare, ma non ho voglia di parlare quindi mi limito ad ascoltarlo e rispondergli con frasi brevi e distaccate.
Esattamente come riportato nel messaggio, percorriamo una stradina sterrata in mezzo a distese di terra arata, alla fine della quale si trova un'enorme villa dall'aspetto un po' tralasciato.
Scendo dalla macchina e chiedo al tassista di aspettarmi. Un po' titubante e poco convinta mi dirigo verso l'ingresso. Afferro la maniglia ed, effettivamente, la porta si apre accompagnata da un fragoroso cigolio. L'interno della casa è buio e polveroso. È evidente che nessuno ci abiti da un po' di tempo. Al piano di sotto si trova un enorme salone illuminato dalla luce che filtra dalle grandi vetrate. I mobili sono tutti coperti da dei teli bianchi. Salendo le scale per raggiungere il piano superiore, vengo travolta da una sensazione strana. Come un deja-vu. Mi sembra di aver percorso questa scalinata, ma non sono mai entrata in questa casa. Superato l'ultimo scalino, vengo subito attirata da una camera in particolare. Al suo interno vi è un letto con un morbido piumone e ricoperto da cuscini. Ci sono libri sparsi ovunque e delle foto sulla scrivania. Prendo in mano una delle cornici e per poco non la lascio cadere a terra per la sorpresa. L'immagine che contiene è una foto raffigurante la mia famiglia e me, quando siamo andati in vacanza in Italia. Prima che morissero. Come può questa foto essere qui?
"Ora ricordi qualcosa?"
Sobbalzo, sorpresa dalla flebile voce appartenete alla bambina dai capelli rossi.
"Se questo è uno scherzo o qualcosa del genere deve finire immediatamente. Sta diventando crudele! Cosa ci fa questa foto qui?" Rispondo, alzando la voce più di quanto intendessi fare.
La bambina sembra rattrista dal mio comportamento, ma non capisco se lo è perché le ho urlato contro o perché non ricordo.
"Questa era la tua camera, mamma." Risponde lei, abbassando lo sguardo.
"Smettila di chiamarmi mamma, non sono tua madre!"
Lei non alza il viso ma va a sedersi sul letto, fissandosi i piedi.
"Tu sei la mia mamma. Però ancora non te lo ricordi." Bisbiglia.
"Penso che mi ricorderei se avessi figli."
Lei si copre il viso con le mani e scoppia a piangere.
"Ho fatto così tanta strada per trovarti. Perché non vuoi ricordare?!" Singhiozza.
Non era mia intenzione farla piangere! Mi siedo accanto a lei e le parlo con un tono più calmo.
"Senti, io non ricordo niente. Ma è evidente che sta succedendo qualcosa di strano e forse tu puoi far luce su tutta questa faccenda. Quindi perché non mi spieghi cosa dovrei ricordare?"
Lei si asciuga gli occhi con le maniche della maglia e borbotta: "Tanto non mi crederai. Tu non vuoi credermi!"
"Ti prometto che lo farò."
Lei mi guarda speranzosa e comincia a raccontare: "Questa era la casa di tua zia. Sei venuta ad abitarci con tuo fratello quando i tuoi genitori sono morti."
"No, io non..." Improvvisamente qualcosa si accende nella mia mente. È vero. Io sono andata a vivere con mia zia Mila. E poi mio fratello è morto. Io ho iniziato a studiare per diventare una detective.
"Ora ricordo. Sì, questa era la mia camera. Come ho potuto dimenticarlo?
Poi io ho preso un appartamento in affitto. Abito lì con la mia coinquilina."
"No. Quando tuo fratello è morto, tu sei andata con il Dottore."
"Chi?"
"Il Dottore è un alieno che viaggia nello spazio e nel tempo. Lui mi ha ritrovata dopo tantissimi anni."
"Un alieno?!"
"Ehi, avevi promesso di crederci!"
"Si, scusa. Continua."
"Tu viaggiavi con lui e un giorno siete andati a Camelot e ti sei fermata lì."
"E perché?"
"Perché hai conosciuto mio padre. Lui era un mago, proprio come te. Ti ha insegnato a padroneggiare i tuoi poteri e vi siete innamorati."
"Aspetta, fammi indovinare. Camelot, un mago... non starai parlando di Merlino?!" Ridacchio.
"Allora ti ricordi!"
"Cosa? No, io stavo scherzando! Aspetta... veramente? Quel Merlino?!"
Lei annuisce.
Mi passo una mano tra i capelli e sospiro.
"Ok. Continua."
"Poco prima della mia nascita, però, siete venuti a conoscenza di una profezia. Io avrei ereditato i vostri poteri magici e sarei diventata la creatura più potente che sia mai esistita. Anche più potente di papà. Per questo molti esseri crudeli volevano farmi del male e portarmi via, tra cui l'esercito delle ombre. Per sconfiggerle avete dovuto creare un paradosso utilizzando me e lo avete fatto grazie al Dottore. Ma qualcosa è andato storto e siete stati sbalzati tutti nel futuro in cui avevi vissuto. Nessuno di voi rammenta niente, perché i vostri ricordi sono stati sostituiti con vite finte. Quello che credete di sapere è tutto falso!"
"Ma quindi... l'uomo che ho investito..."
"Artù si ricorda perché era morto quando tutto ciò è successo. Ma lui è il re eterno, ed è tornato."
"Re una volta e re in futuro... Ma certo, ora comincia ad avere senso."
"Ora dobbiamo far tornare tutto alla normalità e fare in modo che questo velo di menzogne cada dalle vostre vite."
"E come facciamo?"
"Per prima cosa dobbiamo farti tornare i poteri."
"Ma io non ho poteri magici!"
"Sì invece, sono celati dentro te. Posso fartelo vedere."
Detto ciò posa le dita sulle mie tempie e mi mostra delle immagini iniettate direttamente nella mia mente. Vedo me stessa affrontare delle ombre tutte intorno a noi, sconfiggere strane creature, creare fuoco con il solo palmo della mano...
"Io sapevo fare tutte quelle cose?"
"Sì. E ne sei ancora in grado. Devo solo risvegliare i tuoi poteri."
"Puoi farlo?"
"Certo! L'hai dimenticato? Sono la creatura più potente di sempre. Però posso riuscirci solo se tu ci credi veramente."
"Sì, posso farlo, posso crederci."
"Va bene. Allora chiudi gli occhi e apri la mente."
Sgombro la testa da tutti i pensieri. Voglio credere che sia vero. Voglio arrivare in fondo a questa storia. Lei posa nuovamente le fredde dita sulle mie tempie e percepisco una sensazione che assomiglia ad un flusso di energia che mi irradia completamente il corpo. Lentamente, tutto si fa chiaro. Riesco a ricordare il mio vero passato. Tutta la mia vita a Camelot con Merlino, Artù e Ginevra. Ricordo la nascita di Hazel e il suo piccolo, candido, viso paffuto.
Apro gli occhi e scoppio a piangere.
"Hazel! Sei davvero tu! La mia bambina." Dico abbracciandola, con le lacrime che mi rigano il viso.
"Ti- ti ricordi?" Domanda lei sorpresa.
"Sì. Sì, mi ricordo tutto. Tu sei mia figlia, la mia piccola. E ora che ti ho trovata non ti lascerò andare. Te lo prometto."
Lei si stringe tra le mie braccia e mormora: "Sono secoli che aspetto questo abbraccio, mamma."
Le bacio la testa e mi scosto da lei. Hazel mi incita a provare la magia e io apro il palmo, creando un piccolo vortice d'aria, come un tornado in miniatura, per poi chiudere la mano e farlo sparire.
"Fantastico! Ora dobbiamo portare indietro tutti gli altri!" Esclama entusiasta.

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