14. Sei Tu La Mia Monetina

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Threequel di "litigio"

Dei passi pesanti. In quella strada, illuminata dalla leggera luce del che il palo permetteva, si sentivano solo i miei pesanti passi contro l'asfalto. Volevo rivederlo, stringerlo a me, sussurrargli quanto lo amavo e che niente e nessuno al mondo ci avrebbe mai separato. Non di nuovo. Volevo vedere la sua sagoma mezza nuda tutte le mattine, girata di spalle, mentre mi preparava la colazione; volevo vedere il mio fidanzato che mi cullava tra le sue braccia nei momenti più brutti e tristi della mia vita; volevo litigare con lui per poi fare pace nella maniera più pura che potevamo permetterci. Ma, tutti quei voleri, quei desideri, andarono a quel paese nel momento in cui lui, il mio Thomas, chiuse la porta alle sue spalle, non facendo più capolinea in essa. Continuavo a correre per quelle strade buie, alcune poche illuminate, mentre dei flashback mi scorrevano davanti agli occhi. Erano dei flashback su di lui, su di Thomas, di lui mentre mi baciava; mi accarezzava; mi cullava; mi faceva il solletico; mi dava il primo bacio di prima mattina; mi assaporava; mi usava come scudo contro mio padre. Tutti quei ricordi, tutti quei momenti racchiusi in un unico flashback, quei ricordi rappresentavano il periodo più bello della mia vita, nel quale una persona speciale era sempre stata al mio fianco, accompagnandomi in nuove scoperte che, se non fosse stato per le sue prediche, di certo non avrei avuto modo di conoscerle e di viverle come se fosse l'ultimo minuto della mia vita. E mentre correvo, immagini di noi due, abbracciati o lontani, quel che era, si susseguivano all'interno della mia mente, facendo ritornare a galla quei momenti che insieme avevamo vissuto. Cominciai a rallentare la velocità della corsa quando mi resi conto di essere finalmente arrivata davanti alla porta numero 250. La sua porta. Il suo numero. Il suo quartiere. Il ragazzo che dovevo riprendermi. Bussai, con mano tremante, per poi cominciare a bussare senza sosta, come se fosse una sfogo. Perché si, era uno sfogo aver perso il mio ragazzo per una semplice litigata trasformata ben presto in un addio molto lontano. Sentì dei passi avvicinarsi sempre di più alla porta, accompagnati dalle urla femminili e dall'abbaio di un cane. La porta si aprì di scatto, rivelando la figura di Ava, la sorella di Thomas, che subito mi strinse in un caldo e bisognoso abbraccio.

-Oh, t/n- mormorò contro la mia spalla, -aiutalo, ti prego. E' in queste condizioni da settimane ormai- mi spiegò Ava, facendomi entrare in casa.

-Lui dov'è?- chiesi, curiosa e bisognosa di sapere dove poteva essere finito il mio ragazzo, ex ragazzo. Lei abbassò lo sguardo, mantenendo un espressione seria sul volto.

-Negli ultimi due mesi non ha fatto altro che rintanarsi dentro quel pozzo senza fine: il cibo- confesso Ava, facendo scappare una lacrima solitaria lungo la sua guancia, per poi affrettarsi ad asciugarla. Ero terrorizza dalla confessione di Ava, visto che Thomas, da giovane, aveva subito grandi crolli emotivi che hanno fatto arrivare il suo peso a una cifra non molto normale per un ragazzino della sua età. Ecco il motivo per cui aveva passato gran parte della sua infanzia e adolescenza da solo. Questa era l'argomento principale che io e Thomas, quando eravamo ancora fidanzati, avevamo affrontato. Mi aveva raccontato per filo e per segno la sua triste adolescenza: bullizzato mentre io me la spassavo con il mio gruppo di cheerleader. Mi ero ripromessa di non far cadere di nuovo Thomas in tentazione, ma la situazione, in quel momento, era troppo diversa e tragica per essere lasciata perdere.

-Dove si trova?- ripetei, visto che Ava non mi aveva risposto, almeno non correttamente.

-In camera sua, ovvio- rispose. Feci per salire le scale diretta verso la camera di Thomas, quando qualcuno mi bloccò per un braccio. -aspetta- aggiunse Ava, -Thomas è stato licenziato dal suo ultimo film ed è ingrassato di tredici chili negli ultimi due mesi. Ti prego, t/n, non lasciarlo di nuovo da solo- mormorò, per poi tornare in cucina. Presi un grosso respiro per poi cominciare a salire le scale, fino a trovarmi davanti a me la porta della camera di Thomas. Bussai ripetute volte, non avendo risposta. Afferrai la maniglia della porta e, piano piano, la spinsi verso il basso. La porta emise un cigolio, si vedeva che era da molto tempo che non la sistemavano. Mi guardai intorno: le pareti blu e verdi erano completamente spoglie, se non ricoperte di piccoli avanti di poster raffigurante la recitazione, che Thomas, sicuramente, aveva strappato dopo aver ricevuto la brutta notizia; c'erano abiti, magliette e biancherie intima e sporca sparse per tutto il parquet; il pavimento era inoltre ingombrato da numerose cornici con il vetro rotto, cornici che raffiguravano me e lui, abbracciati e nel bel mezzo di un tenero bacio. Accarezzai l'immagine attraverso il vetro rotto, facendo così che una scheggia di vetro si conficcasse nella carne del mio dito, facendomi strillare per poi buttare a terra il riquadro.

-Che ci fai qui?- udì una voce fin troppo familiare alle mie spalle. Mi girai e il mio riprese a battere all'impazzata, il mio stomaco cominciò a contrarsi e il gorilla dentro di me stava facendo esercizi di acrobazia. Tutto questo, perché? Perché, davanti alla mia visuale, c'era lui: il torace nudo e ben scolpito (intravedevo comunque quell'ammasso di ciccia formatosi a causa del cibo) dal quale piccole goccioline ricadevano sul pavimento (si era appena fatto la doccia, molto probabilmente), con un'asciugamano legato intorno alla vita e i suoi morbidi capelli sparati all'insù. I miei occhi si riempirono di lacrime e anche quelli di Thomas non tardarono a innaffiare completamente la stanza. Mi buttai tra le sue braccia, abbracciando il suo collo con le mie braccia e circondare la sua vita con le mie gambe, appoggiando il mio volto nell'incavo della sua spalla.

-Oh, Thommy- singhiozzai, in preda alle lacrime. Lui cominciò a asciugarmi con dei baci tutto il volto, anche sulla mascella e sul collo. Mi strinse di più a sé, adagiandomi, piano piano, sul morbido materasso ricoperto da un piumone raffigurante dei delfini. Sorrisi e feci incontrare i nostri sguardi. Mi sembrava di stare dentro una cupola d'acqua, con Thomas. Le sue carezze mi sembrarono dei leggeri sfioramenti di pesci e, quando Thomas unì le sue labbra alle mie, dopo mesi e mesi, buttai fuori l'aria e ben presto affogai nel puro piacere del contatto tra le nostre labbra. Mi mancava, mi mancava così tanto che ogni mio ricordo, il quale nei giorni precedenti mi passava nella mente come un flashback, divenne realtà e, per la prima volta, potevo finalmente rivivere tutti i momenti felici che io e Thomas avevamo passato insieme senza che una lacrima di tristezza uscisse dai miei occhi. Esatto, perché le lacrime che Thomas mi stava asciugando con i suoi baci, non erano di tristezza, bensì di felicità.

-Alla fine- mormorai, staccandomi da lui e osservando i suoi occhioni, -l'hai lanciata la monetina?- domandai.

Sorrise, -sei tu la mia monetina-

𝐼𝑀𝑀𝐴𝐺𝐼𝑁𝐴 - 𝑻𝒉𝒐𝒎𝒂𝒔 𝑩𝒓𝒐𝒅𝒊𝒆 𝑺𝒂𝒏𝒈𝒔𝒕𝒆𝒓 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora