18. Sorpresa non gradita

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In cui Thomas ritorna da te dopo cinque mesi e, al suo ritorno, si trova una spiacevole sorpresa.  


L'idea di fare finalmente ritorno a casa, mi rendeva talmente felice. Era da cinque mesi che non la vedevo, che non potevo abbracciarla o condividere con lei la stessa aria. Con il mio lavoro da attore e i suoi studi lontani da me, ci sentivamo solo di raro, e per "raro" intendo una volta ogni tre giorni presso Skype o telefonata da un'oretta buona. Mi mancava così tanto che, negli ultimi mesi, avevo speso una cifra per prenotare un volo e venire da lei per farle la mia sorpresa. Quando arrivai a casa nostra, non mi sorpresi di non trovarla intenta a fare una delle sue cavolate. A quell'ora era sempre ai corsi e, data la sua assenza, avevo tutto il tempo per rendere la mia sorpresa ancora più perfetta. Cominciai ad apparecchiare il tavolo con il servizio che avevo comperato poche ore prima. Aggiunsi anche un vaso di rose bianche (le sue preferite) e, dopo aver sistemato le candele profumate alla vaniglia, cominciai a sistemare i vari petali di rosa nella camera da letto nella quale le avrei dimostrato tutto il mio amore nei suoi confronti. Quando finì, mi accorsi che era ancora presto, così mi feci un altro giro per la casa tenendo un buon occhio in caso mi fosse sfuggito qualche piccolo dettaglio e, infatti, appena aprì la porta dello sgabuzzino, la prima cosa che tirai fuori (e che non passò inosservato ai miei occhi) fu un passeggino azzurro. Il mio cuore si riempì di felicità e la mia mente cominciò a immaginare un possibile futuro come quello: io, lei e un piccolo glader appena nato. Sistemai il passeggino al suo posto e, in fretta e furia, mi precipitai nella camera da letto, sorridendo come un abete. Mi fiondai nell'armadio e aprì i primi due cassetti di esse. Come pensavo: varie tutine azzurre. Il cuore mi si riempì di gioia non solo nel vedere quegli oggetti, ma anche per il suono della porta che sbatte. Sorrisi come un abete mentre mi precipitai fuori dalla stanza. Appena la vidi guardare il tavolo con gli occhi sgranati e con un sorriso da abete sulla faccia, le corsi incontro, abbracciandola da dietro. 

-Sorpresa- sussurrai, mentre annusai il suo odore, per me, buonissimo. Lei, nel sentire la mia voce, si irrigidì, girandosi verso di me per guardarmi in faccia. Si portò le mani alla bocca e notai qualche lacrima sfuggire dai suoi occhi.

-Thomas- mormorò. E lì, mi prese il panico. Perché mi aveva chiamato con il mio nome intero anziché Thommy come faceva in passato? Non mi concentrai sul quel particolare, tutt'altro, misi una mano sulla sua pancia gonfia, desideroso. 

-E' nostro?- chiesi, mentre una scintilla mi attraversava gli occhi. Lei cominciò a singhiozzare, togliendo la mia mano dalla pancia e facendomi segno di sedermi vicino a lei, sul divano. 

-Thomas- disse, tra un singhiozzo e l'altro. Diavolo, l'aveva fatto ancora! Perché non mi chiamava con il mio soprannome, il soprannome che proprio lei mi aveva affibbiato e che diceva sempre nei momenti più dolci che affrontavamo insieme? -io...io sono dovuta andare avanti- e, a quella risposta, il mio mondo crollò. 
Era come se la casa si stesse sgretolando, i muri cadendo e il soffitto cedendo sopra di me. Sembrava che tutte quelle macerie si riversassero sopra di me, affogandomi insieme al mio dolore quando pronunciò quelle parole: -c'è un altro-. In quel momento, la sola unica cosa che desideravo, era quella di scomparire dalla faccia della terra. C'era un altro, ciò significava che lei mi aveva tradito, che era andata avanti, ma che, sopratutto, il bambino non era nostro, non era mio, ma dell'uomo che, nel periodo in cui ero mancato, si era preso cura della mia ragazza, della mia dolce metà, della ragazza per cui ho lottato e sempre l'avrei fatto per riaverla indietro. In quel momento, però, la faccenda era diversa. 


-Cosa...cosa intendi dire?- riuscì a domandare con il poco fiato rimasto e il cuore spezzato. Mi sentì morire dentro, veramente. 

-Non ci vediamo da cinque mesi, Thomas. Poi, hai cominciato a non chiamarmi più e...e io ho perso la testa e...ti prego, Thomas, ti prego non odiarmi per questo- singhiozzò. Ovviamente non la potevo odiare, no, non l'avrei mai odiata, perché il mio amore era in quantità maggiore dell'odio che, nel frattempo, si era accumulato. Però, tutti i momenti passati insieme e i progetti futuri, quelli andarono tutti nel cesso. I nostri programmi s dissolsero e anche l'anello che tenevo nella tasca sinistra della giacca, mi veniva voglia di buttarlo a terra e calpestarlo con i miei stessi piedi. Estrassi la scatolina di velluto rosso e l'aprì, guardando l'oggetto all'interno di esso con le lacrime agli occhi. 

-Oh, Thommy...- cominciò lei, ma il mio urlo di frustrazione venne mischiato al suo urlo nel momento in cui lanciai l'intera scatola e l'oggetto per cui avevo lavorato come un mulo, nel fuoco, mentre guardavo attentamente le fiamme rosse che lo circondarono. 

-Ma che fai?!- urlò lei, precipitandosi verso il fuoco per cercare di estrarre l'oggetto con la palettina in ferro, senza risultati positivi. 

-Lascialo si, è bruciato ormai, come il tuo amore nei miei confronti, giusto?- ringhiai. Lei pianse ancora di più, ma, questa volta, il suono del suo pianto mi rallegrò. 

-Cosa credevi che facessi, eh? Non potevo più vivere così, Thomas- urlò di rimando lei, alzandosi da terra. 
Era vero, era tutta colpa mia. L'immagine di me e lei con un possibile bambino, abbracciati tutti e tre sul divano, si dissolse dalla mia mente, per poi essere sostituita con l'immagine di un me, sporco e malridotto, mentre affogavo da solo nel mio dolore. Lei aveva trovato un altro uomo, un uomo che, molto probabilmente, non l'avrebbe lasciata per cinque mesi da sola, senza compagnia. La suoneria del suo telefono spezzò il silenzio che, nel mentre, si era evoluto tra di noi. Lei rispose quasi subito, sorridendo come un abete nel vedere il nome che apparse  sul suo schermo.

E così, T/n mi lasciò con un semplice "mi dispiace", non prima di avermi chiesto indietro le chiavi di casa.
Perché, si, l'avevo persa, questa volta, però, sul serio.

T/n non si fece più viva e io, a cinquant'anni, ero ancora seduto sul portico della nostra casa, sperando che, prima o poi, quella ragazza di cui mi ero follemente innamorato, sarebbe ritornata da me, stringendomi a sé e promettendomi che non mi avrebbe mai più lasciato. Ma non fu così, tutt'altro, T/n si sposò, ben presto, con un altro uomo, e io ero lì, ad ammirare la mia bellissima ragazza in bianco mentre attraversava la navata, diretta verso un uomo il quale, purtroppo, non ero io.

𝐼𝑀𝑀𝐴𝐺𝐼𝑁𝐴 - 𝑻𝒉𝒐𝒎𝒂𝒔 𝑩𝒓𝒐𝒅𝒊𝒆 𝑺𝒂𝒏𝒈𝒔𝒕𝒆𝒓 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora