Capitolo 16

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Caleb

Una decina di minuti dopo arrivammo davanti ad un ristorante giapponese.
Quando scesi dalla macchina e mi misi il giacchetto, Aaron mi osservò, ma feci finta di niente, anche se il suo sguardo mi metteva un'agitazione e al tempo stesso una felicità indescrivibili.
-Salve. Tavolo per due?- ci chiese la cameriera appena entrammo.
-Sì, grazie.- rispose Aaron.
-Venite.-
Sorridemmo educatamente, seguendola verso il nostro tavolo.
-Prego.- disse lei indicandolo con un braccio.
La ringraziammo e ci avvicinammo.
-Dove...?- chiesi mentre mi toglievo il giacchetto, indicando le due sedie.
-Dove vuoi tu.-
Sorrisi, prendendo il posto vicino alla vetrata.
-Cavolo, fa caldo qua dentro...- disse Aaron ancora in piedi.
-Sì, un pò in effetti...-
Le parole mi morirono in gola quando lo vidi sfilarsi la felpa. La maglietta nera a maniche corte che aveva sotto gli si alzò un po', lasciando scoperta una parte degli addominali, e l'elastico delle mutande nere Calvin Klein. Quando si sfilò anche il collo della felpa i suoi capelli castano scuro erano tutti scompigliati.
Mi impegnai al massimo per non fissarlo a bocca aperta mentre sistemava la felpa sulla sedia.
Sulla bocca aperta riuscii a trattenermi, ma sul fissarlo no.
Si passò una mano tra i capelli per sistemarli, sedendosi.
A quel punto distolsi lo sguardo, mordendomi il labbro inferiore. Mi guardai intorno, notando che un paio di ragazze sedute più in là non si erano perse la scena. E come dar loro torto...
-Hai caldo anche tu?-
Sbattei le palpebre un paio di volte e mi voltai verso Aaron. Deglutii rumorosamente prima di parlare.
-Perchè me lo chiedi?- chiesi, apparentemente tranquillo.
-No, è solo che hai il viso un po' rosso.- rispose, osservandomi con fare premuroso.
Avevo caldo in zone del corpo a cui non potevo far prendere aria, e dovevo pure essere diventato ancora più rosso di prima, ora che se ne era accorto e che mi stava guardando così. Non avrebbe mai capito il vero motivo del mio stato attuale, fortunatamente, visto che era così modesto e inconsapevole della sua bellezza. In un certo senso, quel lato del suo carattere era un vantaggio, per me.
-Anch'io sento po' caldo. Ma ora mi passa.- dissi sorridendo, sventolandomi con uno dei menù che la cameriera ci aveva appena portato. Come se non bastasse, il tavolo era piccolo, e la sua faccia era pericolosamente vicina.
Dopo aver ordinato, mi rilassai sulla sedia. Appena mi allungai sentii le gambe di Aaron, e ritrassi i piedi di scatto. In realtà mi ero accorto che erano le sue gambe solo per la faccia che aveva fatto lui, sennò probabilmente le avrei scambiate di nuovo per qualcos'altro.
-Allora hai imparato a distinguerle, eh?- disse divertito, dandomi dei leggeri calci sotto al tavolo.
Spostai le gambe e i piedi, tentando di contrattaccare.
-Ti eri affezzionato ad essere un poggia piedi?- chiesi sorridendo, iniziando una strana e insolita lotta sotto al tavolo.
Si mise a ridere mentre tentavo di agganciare le gambe attorno alle sue, o almeno di incastrale o bloccarle in qualche modo, senza riuscirci.
Mi spostai più in avanti sulla sedia, avanzando con tutto il corpo.
A quel punto riuscii a raggiungere le sue gambe, bloccando i suoi polpacci tra i miei.
Alzai le sopracciglia soddisfatto, come a dire che avevo vinto io.
Mi lanciò un altro sguardo di sfida e iniziò a divincolarsi. Allentai la presa, rendendomi conto solo in quel momento di quanto fosse stupido quello che stavamo facendo, e pensando che tutto quel contatto fisico avrebbe potuto infastidirlo, specialmente visto che ero gay.
Contro ogni mia aspettativa, liberò solo un piede, cingendo il mio con entrambi i polpacci.
In pratica io avevo un polpaccio tra i suoi e lui uno tra i miei.
-Pari.- disse sorridendo e alzando le sopracciglia, come avevo fatto io.
Scoppiai a ridere, tentando di nascondere l'imbarazzo. Non mi guardai neanche intorno per vedere se qualcuno avesse notato quella scena, ero troppo felice per dare importanza ad altro.
-Stai comodo?- chiese ad un tratto.
-Molto. Tu?- dissi divertito.
Strinse un po' la presa sul mio polpaccio. Sorrise.
-Comodissimo.-
Risi ancora, sperando non notasse le mie guance che andavano a fuoco, stavolta.
Chiacchierammo per diversi minuti facendo commenti sul ristorante, poi parlammo un po' della scuola e dei suoi allenamenti di basket, finchè la cameriera arrivò con il nostro sushi.
Tentai di usare tutta la forza che avevo per separare le bacchette di legno, ma non ci riuscii.
-Faccio io?-
Alzai la testa dalle bacchette e mi resi conto che Aaron mi aveva osservato in silenzio fino a quel momento, con un sorriso divertito sulle labbra.
-Magari...- borbottai, passandogli le bacchette.
Allontanò le mani dal tavolo e le spezzò al primo tentativo.
-Grazie...-
Me le passò e ci scambiammo un sorriso.
-Si vede che non faccio attività fisica.- mormorai ridendo, mentre mangiavo un nigiri di riso e salmone in un boccone solo.
Aaron si mise a ridere, senza smettere di osservarmi. Non sapevo se stava ridendo per quello che avevo detto o per il modo in cui stavo mangiando. Forse per entrambe.
-In realtà non si direbbe, guardandoti.- disse, abbassando gli occhi sul sushi e iniziando a mangiare.
Sbattei le palpebre un paio di volte, per poi deglutire con forza. Lo guardai un momento e poi misi in bocca altro sushi.
-È un complimento?- chiesi con le guance gonfie di cibo, sperando non fossero di nuovo rosse.
Alzò le spalle, sorridendo con fare innocente.
Si rendeva conto di quanto avrei potuto mal interpretare le sue parole e il suo comportamento? Si rendeva conto che il battito cardiaco mi schizzava alle stelle se mi diceva quelle cose?!
Ci fu qualche secondo di silenzio. Eravamo visibilmente molto affammati entrambi.
Lo osservai usare le bacchette in modo impeccabile, come se lo facesse da una vita.
-Mangi spesso sushi?-
-Perchè me lo chiedi?- chiese dopo aver deglutito.
-È che mi sembri molto esperto nell'usare le bacchette.-
-Be', lo ordino spesso quando non ho voglia di cucinarmi qualcosa. O di uscire a mangiare.-
Fece una pausa ad effetto, come se stesse riflettendo.
-Il che succede molto spesso.- concluse poi continuando a mangiare.
Mi misi a ridere, e lui alzò lo sguardo, accennando un sorriso.
Impiegai qualche secondo a formulare la domanda che avevo in mente.
-I tuoi genitori... non sono a casa in questo periodo?- chiesi infine.
Ossevai la sua reazione alle mie parole. L'espressione era rimasta la stessa, ma aveva stretto i denti per un attimo. Scosse la testa, senza guardarmi.
Lo sapevo, non erano cambiati.
-Da quant'è che non li vedi?- chiesi poi, portandomi il bicchiere di coca cola vicino alle labbra.
Assottigliò lo sguardo rivolgendo gli occhi a un punto impreciso fuori dalla vetrata.
Il fatto che ci dovesse pensare significava che non si trattava solo di qualche giorno, e che aveva smesso di contare. Si era abituato a non averli vicino.
-Due mesi più o meno.- rispose poi con tono piatto, sempre evitando il mio sguardo.
Aggrottai le sopracciglia, irritato.
-Due mesi?!- ripetei incredulo, sentendo un pizzico di rabbia.
-Se non sbaglio.- disse, alzando le spalle e continuando a mangiare.
-Una volta stavano via per cinque giorni, al massimo.- dissi, più a me che a lui.
-Gia. Si sono presi più libertà col tempo. Non sono mai stati tagliati per fare i genitori.-
Rimase in silenzio, come se stesse pensando a qualcosa di molto serio.
-Credo di essere stato un errore per loro.- continuò poi, guardando il suo piatto.
Non era minimamente arrabbiato. Sembrava solo stanco e tremendamente esausto.
Cercai di immaginare cosa avrei fatto della mia vita se anche mia madre avesse inziato ad ignorarmi come faceva mio padre. Come mi sarei sentito?
Facile. Uno schifo. Avrei cominciato a chiedermi che senso aveva la mia vita se per le due persone che mi avevano messo al mondo ero solo un peso. Mi sarei sentito solo. Terribilmente solo.
Iniziai a scuotere la testa, e ad incazzarmi.
-Io non capisco. Non...! Insomma... Un genitore... Cazzo, essere genitore dovrebbe essere la cosa più bella del mondo! Come si fa a...! Non...-
Scossi la testa con forza, riempiendomi la bocca di sushi per smettere di sparare cavolate e frasi incomplete. Non riuscivo proprio ad esprimere quello che pensavo in modo tranquillo quando si trattava di lui.

Don't fade awayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora