Aaron
Alle 23.06 sentii una macchina che attraversava il viale, i sassi che venivano schiacciati dalle ruote, e poi il motore che veniva spento. Le voci dei miei che pagavano e ringraziavano il tassista, il taxi che ripartiva. Le chiavi infilate nella serratura della porta, qualcuno che le girava, il rumore tipico che faceva prima di venire aperta. Eccoli, erano arrivati. Mi alzai, lasciando la televisione accesa e andando verso la porta proprio mentre questa veniva aperta del tutto.
Ecco mio padre.
-Aaron, ciao.- disse sorridendo, ancora la mano sul pomello della porta.
Era il suo solito sorriso studiato, che era abituato ad esibire ogni volta che doveva farsi bello agli occhi di qualcuno. Eppure ogni volta che mi sorrideva in quel modo mi faceva sperare che ci tenesse davvero a me.
-Ciao. Siete arrivati.- dissi sforzandomi di tirare su gli angoli della bocca per ricambiare un minimo il suo, di sorriso.
Non riuscii a dire "papà". Era da troppo tempo che non lo dicevo.
-Tua madre ha qualche problema con i tacchi...- disse poi voltandosi e ridendo.
Osservai le valige dietro di lui, poi vidi mia madre.
-Giuro che prima o poi vado in giro in ciabatte.- si lamentò lei, camminando lentamente sui sassi.
Erano sempre così simpatici tra di loro.
-Aaron, ma sei diventato ancora più alto?- disse entrando, osservandomi con quell'espressione indecifrabile che odiavo.
-È probabile, visto che siete stati via per quasi due mesi.- risposi alzando le spalle.
Avrei voluto tagliarmi la lingua, non solo per quello che avevo detto, ma per il tono che avevo usato, irritato e deluso.
Guardai a terra, incapace di osservare le loro espressioni, ma mi maledii all'istante. Sarebbe stato meglio se li avessi guardati negli occhi, invece. Forse avrei trovato un pizzico di emozione nel loro sguardo, una qualche reazione sui loro volti.
-Mi aiuti con le valige?- disse poi mio padre.
-Sì.-
Andammo tutti e tre di sopra, nella loro camera. Io e lui per posare le valige, mia madre per togliersi le scarpe col tacco.
Pensai che volessero mettersi subito a dormire, così cercai una scusa per evitarlo. Volevo che parlassimo subito, non mi importava quanto fossero stanchi.
-Vi va una tazza di camomilla?-
Si guardarono. Mi sembrarono confusi per un attimo.
-Magari. Grazie, Aaron.- rispose mia madre, sorridendomi.
Era l'unica persona che conoscevo in grado di sorridere con la bocca senza far sorridere anche gli occhi.
-Bene. Vi aspetto giù allora.-
Tornai in cucina, mettendo il pentolino con l'acqua sul fuoco. Osservai il coperchio per dei secondi interi, riflettendo su come avrei dovuto iniziare il discorso. Ero così agitato da sentirmi il cuore rimbombare nelle orecchie.
"Comunque vada ti aspetto qui", risuonò improvvisamente nella mia testa.
L'immagine sorridente di Caleb, il suo tono dolce, e il fatto che fosse a casa sua ad aspettare un mio messaggio, bastarono a tranquillizzarmi.
Scesero anche loro in cucina proprio mentre mettevo lo zucchero nelle tazze di camomilla. Mio padre si era tolto la giacca e la cravatta, le scarpe e i calzini, mentre mia madre si era struccata e si era tolta quegli orecchini dorati che tintinnavano ad ogni suo movimento, insieme agli altri gioielli.
-Com'è andato il volo?- chiesi dopo aver avvicinato loro le tazze, essendo a corto di argomenti.
-Bene, non ci sono state turbolenze o imprevisti.- disse mio padre.
-Già, è stato un volo tranquillo.- aggiunse lei.
Accennai un sorriso, incrociando le braccia al petto e poggiandomi contro il bancone della cucina.
-Com'è andata la giornata?- chiese lui poi.
Deglutii. Se non altro avremmo iniziato presto a parlare di cose serie. Mi venne improvvisamente da ridere, ma mi resi conto che era per il nervoso, e non perchè fossi davvero divertito.
-Stanno bene tutti quando non si va a scuola.- dissi alzando le spalle.
Mio padre diventò più serio, mia madre lo osservò come a dirgli di andarci piano.
-La sospensione iniziava oggi?- chiese.
Lo sapevano benissimo, ma forse voleva essere cauto.
-Già.-
-Che cosa è successo di preciso? È vero quello che ci ha detto la scuola?- continuò.
Sembrava tranquillo. Almeno apprezzavo che non mi avessero puntato subito il dito contro.
-Non so cosa vi hanno detto.-
Posò la tazza sul tavolino, segno che stava per concentrarsi completamente sulla conversazione.
-Qualcuno tra te, Bradley, Spencer e Jake ha iniziato la rissa, che poi è continuata finchè non è arrivato un altro ragazzo a fermarvi.-
Mi colpì il fatto che si ricordasse i loro nomi. Fui grato che non avessero fatto anche il nome di Liam.
-È vero. Però ad essere sinceri, l'ha iniziata Bradley. Dopo si sono aggiunti Spencer, Jake e un altro ragazzo.-
-Un altro ragazzo?-
Strinsi i denti.
-Sì. Non quello che ci ha fermati, intendo un altro ragazzo ancora. Ma non ha picchiato nessuno.-
Rimanemmo in silenzio, a guardarci. Aspettavo la domanda decisiva.
-Credevo che...che foste molto uniti. Perchè avete litigato così?- chiese mia madre.
Rimasi immobile per un attimo, per due motivi. Primo, non mi aspettavo che mia madre prendesse parte alla conversazione, o almeno non così presto; secondo, ora che il momento era arrivato, mi sentivo malissimo. Stavo davvero per dire tutto a due persone che mi conoscevano a malapena?
Ripensai a Caleb.
-Una ragazza aveva messo in giro una voce su me e questo ragazzo. Si era inventata che stavamo insieme, e dato che Bradley era convinto che fosse vero, è venuto a cercarmi. Così abbiamo iniziato a litigare, e poi a picchiarci.- dissi tutto d'un fiato, senza fermarmi.
Una parte era andata.
Mia madre si voltò a guardare mio padre, lui guardò me. Sembrava di nuovo confuso, ma al tempo stesso stupito. Capii che non sapeva cosa chiedermi subito.
-E perchè vi siete fermati poi? È bastato uno sconosciuto?-
Quelle non erano certo le prime domande che mi aspettavo. Mi stava mettendo in difficoltà e non lo sapeva neanche.
-Ci siamo fermati dopo che quel ragazzo di cui parlavo prima è venuto ad aiutarmi, e io ho detto a Bradley e agli altri la verità. Poi è arrivato un mio amico e si è messo in mezzo a noi per farci smettere.-
Anche mia madre posò la tazza sul tavolo, a quel punto.
Sperai avessero intuito già qualcosa semplicemente da come stavo spiegando l'accaduto.
-La "verità"?- ripetè mio padre.
Non avevo mai visto tanta confusione sul volto di una persona in vita mia. Sul suo, poi.
Aprii la bocca per rispondere, ma lui fu più veloce.
-Hai detto che quella ragazza ha inventato delle cose, però Bradley si è arrabbiato molto. E anche gli altri, a quanto pare.- disse incrociando le braccia al petto.
Capii in quel momento che stava arrivando alla conclusione, alla vera conclusione, da solo.
-Devono aver pensato che fosse vero.- aggiunse poi scrollando le spalle.
Deglutii, poi strinsi i denti. Lo bloccai prima che continuasse.
-Perchè era vero.-
Mia madre spalancò gli occhi.
-Cosa?- disse mio padre in tono neutrale.
-In parte era vero.-
Feci una pausa di proposito, per lasciarli sulle spine.
Mentre osservavo le loro espressioni, pensai che forse dovevo farli disperare un po' di più. Non dovevano capire che avevo aspettato quel momento da anni, doveva sembrare una discussione naturale. Così andai in camera da pranzo, mentre li vedevo scambiarsi uno sguardo con la coda dell'occhio. Volevo che facessero i genitori, per una volta. Che andassero dietro al loro figlio scontroso a cercare di capire cosa fosse andato storto, perchè si comportasse in quel modo.
-Aaron, che cosa significa?- chiese mio padre con tono più autoritario, sbucando dalla cucina e mettendosi al lato della televisione, che avevo appena riacceso.
Mi venne da ridere quando notai che mia madre era rimasta appena sulla soglia della porta, tra la cucina e la camera da pranzo, con le braccia conserte ad osservare la scena a debita distanza.
-Che non aveva tutti i torti a pensarla in quel modo.- risposi alzando le spalle, guardando distrattamente la televisione.
Mio padre mise le mani sui fianchi, poi si avvicinò improvvisamente, togliendomi il telecomando dalle mani. Spense la tv, poi posò il telecomando sul tavolino basso di marmo davanti a me.
-Aaron, voglio capire di cosa stai parlando.- insistette osservandomi con le sue iridi nocciola.
Sentii come una scossa in tutto il corpo, simile all'adrenalina. Iniziava a sembrare agitato, e quella reazione mi piaceva. Era una novità.
-Vuoi sapere di cosa sto parlando? Te lo dico subito. Anzi, lo dico ad entrambi. Vostro figlio è bisessuale.- dissi guardando ora lui ora mia madre, allargando le braccia come a dire "non posso farci niente".
-Aaron, cosa...?- iniziò a dire mia madre avanzando verso il divano di qualche passo, con una mano sul petto.
-Sì, sono bisessuale.- ripetei.
Si scambiarono di nuovo un'occhiata. Mio padre lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, la sua espressione divenne più calma. Mia madre si mise una mano davanti alla bocca, ma non perchè era sorpresa. Non sembravano per niente sorpresi. Non capivo. Che cosa stavano pensando?
-Chi è il ragazzo?- disse poi mio padre, tornando a guardarmi.
Eccola, la domanda che avevo tanto atteso. Avevo immaginato di urlargli contro il nome di Caleb, di fare una scenata, o quantomeno di arrabbiarmi, di alzare la voce. Pensavo che me l'avrebbe chiesto con un'espressione disgustata, con un tono deluso e distaccato. Non che me lo chiedesse con tanta naturalezza, come se mi avesse chiesto se volevo un bicchiere d'acqua. Volevo davvero che si arrabbiassero, o volevo che si sforzassero di capirmi? Ero deluso da quelle reazioni, o ne ero sollevato? Non lo capivo.
-Quello da cui mi hai detto di stare lontano quattro anni fa. Te lo ricordi?-
Il mio tono non era irritato come avevo immaginato. Era triste.
Si passò una mano sul viso.
-Aaron...-
-Non mi vedete da due mesi, vi dico che sto con un ragazzo e tutto quello che sai dire è "Aaron"?- dissi imitando il suo tono di voce.
Adesso sì che sembravo irritato.
Si sedette sulla poltrona, a sinistra del divano, e mia madre in un attimo apparve dietro di lui, con un'espressione dispiaciuta. Perchè non erano arrabbiati? Perchè?
-Si chiama Caleb. Caleb Knight. Eravamo migliori amici, ma poi hai scoperto che era gay e mi hai detto di lasciarlo stare. E io vi ho anche dato retta. Te lo ricordi, papà?-
Lo avevo fatto di proposito, speravo di farlo stare male chimandolo "papà" proprio con quel tono di sfida.
-Posso spiegarti tutto, ma dobbiamo parlarne per bene.-
-Oh, sì. "Per bene". Iniziamo da questo, allora: come avete fatto a sapere che era gay?-
Stavolta spalancarono gli occhi entrambi.
-Ma di che stai parlando?- chiese mio padre.
-Sei stato tu a dircelo, mentre litigavamo.- disse mia madre.
Mi sentii mancare il terreno sotto i piedi. Poi però pensai che stessero mentendo.
-Non è vero. Abbiamo iniziato a litigare proprio perchè mi hai detto di stargli lontano!-
-E tu non mi hai dato tempo di spiegarti nulla, hai iniziato a urlare e mi hai subito detto: "Perchè? Perchè è gay?". Io non lo sapevo. Non lo sapeva nessuno dei due. Sei stato tu a dircelo.-
Aggrottai le sopracciglia, mentre sentivo il cuore rimbombarmi nelle orecchie.
-No.- sussurrai quasi, scuotendo impercettibilmente la testa.
-Non è possibile.- insistetti guardando a terra, per poi ridere nervosamente.
-È così Aaron, te lo giuro.- intervenne mia madre.
Alzai la testa per guardarli. Sembravano quasi mortificati. Mia madre aveva posato una mano sulla spalla di mio padre.
-E allora perchè? Perchè mi hai impedito di continuare a vederlo? Perchè mi hai fatto credere che fosse quello il motivo?! -chiesi guardandolo, alzando la voce.
Si passò di nuovo una mano sul viso, poi si sporse in avanti.
-Perchè vedevo come lo guardavi.- disse sospirando, guardando a terra.
Arricciai il naso, come se avessi sentito un odore cattivo.
-Che significa? Pensavi che mi avesse fatto diventare gay, così mi hai detto -
-No, cazzo! Aaron, che ti salta in mente?!- sbottò allargando le braccia, guardandomi.
-Caro...- sussurrò quasi mia madre, accarezzandogli la spalla.
Dovetti deglutire. Forse non lo avevo mai sentito dire quella parolaccia davanti a me.
-Io...era solo...- iniziò gesticolando nervosamente, passandosi una mano tra i capelli, spostando lo sguardo da un punto all'altro del pavimento.
-Avevo capito che non eravate solo due amici. O almeno che lui non fosse solo un amico per te. Eri piccolo, però...Il modo in cui lo guardavi, come parlavi di lui...Ti luccicavano gli occhi ogni volta che ti mandava un messaggio, o che ti chiamava.-
Per un attimo pensai che stesse parlando di un'altra persona. Quando aveva notato tutte quelle cose?
-Ogni volta che eravamo via Barb ci diceva che passavate un sacco di tempo insieme, che ti piaceva andare a casa sua. Avevamo capito che provavi qualcosa per lui, anche se avevi solo quattordici anni.-
Fece una pausa. Decisi di non interromperlo, perchè non capivo assolutamente nulla di quello che mi stava dicendo, non capivo dove stesse andando a parare, e soprattutto non riuscivo a muovermi.
Mi limitai a lanciare un'occhiata a mia madre. Ricambiò il mio sguardo, annuendo impercettibilmente con la testa come a dire "sì, è tutto vero".
-Non lo conoscevamo. L'avevamo visto girare in casa con te qualche volta, ma non avevamo idea che fosse gay. Volevo allontanarlo da te prima che la situazione peggiorasse, prima che...Non lo so, prima che lui se ne accorgesse, prima che qualcuno a scuola iniziasse a prendervi in giro.- ammise guardando a terra.
Sembrava stanco.
Rimase in silenzio per un attimo, poi alzò la testa per guardarmi. Mi venne improvvisamente da piangere. Entrambi mi stavano guardando con un'espressione mortificata, come se mi stessero chiedendo di perdonarli. Poi capii.
Aprii la bocca per parlare, ma le parole uscirono dopo diversi secondi di silenzio.
-Ho quasi perso il mio migliore amico e il mio primo amore solo perchè voi avevate paura del giudizio altrui?- chiesi con tono duro, mentre sentivo una lacrima calda solcarmi il volto.
Mi leccai le labbra, sentendone il sapore salato, combattendo con me stesso, cercando di mandare via il groppone che sentivo in gola, facendo il possibile per non sbattere le palpebre, per impedire che scendessero altre lacrime. Osservai i loro volti con la vista appannata, e mi sembrò che mia madre stesse per scoppiare in lacrime.
-Aaron...Io non credevo che fosse così importante per te.- tentò di giustificarsi mio padre, muovendosi in avanti sulla poltrona come se volesse starmi più vicino.
Allargai le narici, spostando leggermente la testa di lato, senza smettere di guardarlo.
-Ti giuro che l'ho fatto per te.- disse con tono supplichevole.
-Per me?!- urlai quasi con voce rotta, pentendomi all'istante di aver parlato.
Mia madre si portò una mano davanti alla bocca.
Mi alzai di scatto, girando intorno al divano e andando verso le scale.
-Tu non sai quanto possano essere cattive le persone lì fuori, nel mondo vero! Magari ora ti sembra tutto rose e fiori, ma ti assicuro che presto non sarà così!- esclamò mio padre a voce più alta, alzandosi dalla poltrona.
Continuai a camminare, arrivando davanti alle scale.
-Ci sono persone come te che vengono ancora picchiate per questo, uccise! Che si suicidano!-
Mi fermai di colpo dopo quelle parole.
-E allora?! Cosa dovrei fare? Smettere di essere innamorato di un ragazzo, fingere per il resto della mia vita?! E perchè? Per paura?! Per essere "normale"?!- urlai quasi, mentre facevo qualche passo verso di loro, gesticolando nervosamente.
-Cosa avrei dovuto fare?! Stare fermo a guardare mentre ti rovinavi la vita per una stupida cotta?!-
-Qualunque cosa! Avresti potuto fare qualunque altra cosa!-
-Tu non hai mai detto niente! Ti sei arrabbiato per cinque minuti e poi te ne sei andato in camera tua, come sempre! Come se non te ne importasse più di tanto!-
-Caro, basta...-
-No, invece! Hai finto per anni che andasse tutto bene, e adesso ti sei ricordato che è tutta colpa nostra?! Ti saresti potuto rifiutare se per te era tanto importante!-
-Io volevo solo che non mi odiaste!- urlai interrompendolo.
La mia voce era stata come un vetro che si infrangeva in mille pezzi. Un colpo improvviso, che spaventa, e che nessuno si aspetta. Sembrava che un pezzo di vetro fosse entrato nel mio petto, e nei loro.
Non avevo mai visto tanto dolore nei loro occhi. Per la prima volta in vita mia, mi sentii in colpa per aver fatto loro del male.
-Pensavo mi avreste odiato. Per tutti questi anni, non ho fatto altro che fingere sperando che voi vi accorgeste di qualcosa. Che mi parlaste. Se avessimo avuto questa conversazione quando avevo quattordici anni, molto probabilmente oggi non saremo a questo punto.- dissi guardando mio padre negli occhi, per la prima volta da non sapevo neanche io quanto.
Li osservai entrambi un'ultima volta, immobili come statue, poi mi voltai, salendo le scale. Mi sentivo debole come se improvvisamente mi fosse venuta la febbre. Mi tremavano le gambe, però avevo smesso di piangere.
Mi chiusi la porta della camera alle spalle, poi mi buttai sul letto. Guardai il soffitto per qualche secondo. Quando mi resi conto che stavo di nuovo per piangere, mi coprii il viso con le braccia. Cercai di trattenere i singhiozzi, inutilmente.
Avevo odiato me stesso e la mia vita per degli anni interi solo perchè i miei genitori non avevano avuto il coraggio di parlarmi. Avevo sempre pensato che mio padre volesse proteggermi dal "diventare" omosessuale, invece voleva proteggermi dal mondo. L'uomo che non mi aveva mai neanche detto "ti voglio bene" aveva paura che io soffrissi a causa dell'omofobia che c'era nel mondo. La donna che non mi aveva mai abbracciato per più di un secondo era scoppiata a piangere appena avevo alzato un po' la voce. Avevo rovinato la vita della persona che amavo perchè ero stato stupido, per una semplice incomprensione. Ero diventato un bullo, uno stronzo, un ribelle, uno che scopava ogni volta che ne aveva l'occasione, un asociale, un menefreghista, solo perchè non avevo mai parlato con i miei genitori. Perchè loro non avevano cercato di farmi capire cosa sentivano, e io altrettanto. Perciò non riuscivo a smettere di piangere. Tutte le mie convinzioni si erano rivelate false. Tutto l'odio per me, per i miei genitori, e per Caleb, si era rivelato immotivato e privo di senso. Tutto sarebbe andato meglio se solo avessi parlato con almeno uno di loro. Era questa consapevolezza a farmi stare così male, in quel momento. Stavo piangendo sul latte versato, eppure non riuscivo a smettere.
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Don't fade away
RomansCaleb e Aaron si conoscono a scuola, il primo giorno delle superiori. Diventano subito amici, e tra loro si crea un legame profondo. Ma dopo soli pochi mesi Aaron cambia, inizia ad ignorare Caleb e a fare improvvisamente nuove amicizie. Ma perchè lo...