Capitolo 22

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Aaron

-Ce la fai?- mi chiese Caleb una volta chiusa la porta di casa.
-Sì, tranquillo. Quelli lasciali nel corridoio.- dissi riferendomi agli zaini.
-Siediti, vado a prendere qualcosa di utile.-
Feci come mi aveva detto solo perché mi piaceva da morire che si preoccupasse per me in quel modo. Appena mi sedetti, sparì. Tornò in salotto dopo pochi minuti con una bacinella d'acqua, delle pezze di seta pulite, un asciugamano e dell'acqua ossigenata.
-Dopo prendo il ghiaccio, così lo metti sul naso e sulla tempia.- disse sistemando tutto sul tavolo, per poi sedersi di fronte a me.
-Non starai esagerando un pochino?- chiesi sorridendo. Si voltò lanciandomi un'occhiataccia, ma quando notò la mia espressione, il suo sguardo si addolcì.
-Togliti almeno il giacchetto.- insistetti.
-Li togliamo dopo, tanto si sta bene. E adesso sta' zitto. Hai ancora il viso sporco di sangue.- disse mentre immergeva una pezza nell'acqua, per poi sbattermela letteralmente sulla faccia.
-Hey!-
-Ti ho fatto male?- chiese improvvisamente preoccupato.
Non potei fare a meno di sorridere di nuovo.
-No, è che l'acqua è fredda.-
Mi osservò per un attimo, poi si mise a ridere.
-Stupido.-
Mi prese il mento con una mano, per poi spostare lentamente il mio viso, per pulire il collo.
Era così vicino che non riuscivo a non fissarlo, bello com'era. Mi sarei fatto prendere a pugni molto prima, se avessi saputo che sarebbe finita così. Incrociò i miei occhi, e quando distolse lo sguardo, allontanandosi con la sedia, arrossì.
-Non c'è niente che vorresti chiedermi?- chiesi osservandolo mentre strizzava la pezza nella bacinella, sporcando l'acqua pulita di sangue.
Fece per mordersi il labbro inferiore, ma poi cambiò idea.
Prese l'asciugamano e avvicinò di nuovo la sedia a me. Aveva una gamba tra le mie. Iniziò ad asciugarmi la pelle con delicatezza, poi mi guardò negli occhi.
-Perché non l'hai negato? Perché hai inventato quelle cose?- chiese poi.
Un attimo di silenzio, nel quale mi limitai a guardarlo negli occhi e a trovare il coraggio di rispondere.
-Solo una parte era inventata.-
"Purtroppo", avrei voluto aggiungere.
Assunse un'espressione confusa. Presi un respiro profondo.
-È vero che sono bisessuale.-
Si allontanò lentamente, senza smettere di guardarmi, poi sbattè le palpebre più volte. Si girò a posare l'asciugamano sul tavolo.
-Non me lo avevi mai detto.- disse poi voltandosi di nuovo verso di me.
-Non l'avevo mai detto a nessuno. Barb l'ha scoperto poco tempo fa.- dissi alzando le spalle.
Prese l'acqua ossigenata e la aprì con lentezza. Sembrava stesse riflettendo.
-Quando l'hai capito?- chiese voltandosi di nuovo, stavolta con tutto il corpo.
-Diciamo l'ultimo anno delle medie.- dissi distogliendo lo sguardo.
Rimase fermo a osservarmi per un istante, poi avvicinò di nuovo la sedia e mi prese una mano.
-Scusa, brucerà un po'.- disse buttando qualche goccia di acqua ossigenata sulle nocche.
Sì, bruciava. Ma non era niente in confronto al timore che stavo provando.
-So che anche a molte persone omosessuali danno fastidio quelli come me... Sei... disgustato?- chiesi osservandolo.
Si fermò, poi alzò la testa.
-Non la devi neanche pensare lontanamente una cosa del genere.- disse serio, guardandomi dritto negli occhi.
Mi rilassai almeno un po' a quelle parole.
-Sono solo sorpreso.- aggiunse alzando le spalle, posando il disinfettante e prendendo la pezza bagnata, passandola sulle ferite.
Non aveva idea di cosa stava creando quel contatto al mio corpo. Eravamo così vicini. La mia pelle a contatto con la sua, la sua gamba che toccava le mie, il suo viso davanti al mio.
Dopo qualche secondo di silenzio alzò la testa, forse sentendosi osservato.
-Che c'è?- chiese sorridendo.
Aveva di nuovo le guance rosse. Non avrei potuto chiedere visione più bella.
-Ti ricordi quando ci siamo conosciuti?- chiesi senza smettere di osservare ogni parte del suo viso.
Si mise a ridere.
-Sì che me lo ricordo. Che domanda è?- disse poi, prendendomi l'altra mano.
Avrei dovuto dirgli tutta la verità, una volta per tutte. Ero pronto ormai. Strinsi i denti, mentre una marea di ricordi mi attraversavano la mente. Tanto valeva raccontare le cose dal principio.
-Io sono entrato in classe, tu eri seduto in fondo, e ci siamo guardati. Ma non è stata quella la prima volta che ti ho visto.-
Feci una pausa, e lui alzò gli occhi su di me.
-Eravamo tutti nel cortile, ad aspettare che iniziasse il primo giorno di scuola. Io ero da solo. Mancavano dieci minuti al suono della campanella. Quando mi sono girato, ti ho visto. Per la prima volta. Sei sceso dalla macchina di tua madre e ti sei messo subito a districare gli auricolari. Li hai attaccati al telefono, hai fatto partire la musica, poi hai iniziato a camminare. Le mani in tasca e lo sguardo rivolto a terra. Poi hai trovato un punto dove non c'era nessuno. Sei andato lì e ti sei poggiato contro il muro. Sei stato tutto il tempo fermo, a guardare dritto davanti a te, completamente perso nella tua musica. O forse avevi solo sonno, ripensandoci.- spiegai ridendo.
Caleb aveva un'espressione indecifrabile. Non era confuso. Sembrava più che altro sbalordito e incredulo, ma felice. Forse gli stavo dicendo cose che neanche lui ricordava, ma ormai avevo deciso di dirgli tutto, a costo di sembrare ridicolo.
-Ti ho fissato per tutto il tempo, sperando almeno di incrociare il tuo sguardo. Ma niente.- dissi ridendo, mentre scuotevo la testa, incapace di smettere di guardarlo negli occhi.
-Aaron...- sussurrò quasi, ancora con la mia mano nella sua.
-Per questo quando sono entrato in classe e ti ho visto, mi sono seduto subito vicino a te. Perché volevo conoscerti. Anche se ci ho messo un po' a trovare il coraggio di parlarti, dopo averti raccolto la matita... Tu hai reso tutto più facile.- dissi sorridendo.
Guardandolo mi tornò in mente anche un'altra cosa.
-Non avevo mai visto degli occhi belli come i tuoi.- mormorai.
Spalancò quasi gli occhi, diventando ancora più rosso, poi mise la pezza sul tavolo, distogliendo subito lo sguardo. Era imbarazzato, ma sembrava anche lusingato e stupito. Come se non avesse il coraggio di ammettere a se stesso che quello che stavo dicendo era reale. Mi resi conto che stava per lasciarmi la mano, così gliela strinsi. Spalancò di nuovo le palpebre, voltandosi a guardare prima le nostre mani e poi me. Iniziò a tremare, e la cosa non fece altro che procurarmi un tuffo al cuore. Mi guardò in un modo che non avevo mai visto, provocandomi come delle scosse lungo la spina dorsale, le farfalle nello stomaco.

Don't fade awayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora