Capitolo 8

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Caleb

Non avevo mai provato tanta ansia in vita mia come in quei giorni.
Ansia per niente, in realtà.
Avevo passato la domenica pomeriggio a casa di Mike: avevamo visto un film, avevamo cenato e mi aveva riportato a casa, stavolta senza fare sesso, perchè non avevo voluto.
Lunedì avevo visto Aaron solo da lontano, nei corridoi, con il suo solito gruppetto al seguito.
Mi avevano ignorato completamente.
Il martedì, in quinta ora, avevo avuto la classe di arte, teoria.
Di solito mi sedevo in seconda fila, vicino alla finestra, mentre Aaron si metteva in fondo alla classe, una fila dopo la mia. Quel martedì era entrato in aula in orario, ci eravamo guardati per meno di un secondo, e poi si era seduto dietro di me. Non mi aveva detto nulla, ma la scia di profumo che aveva lasciato, e il sapere che era così vicino a me, mi avevano fatto battere il cuore all'impazzata per qualche secondo. Non ero riuscito a concentrarmi neanche un po' sulla lezione, ed ero schizzato fuori dalla classe appena era suonata la campanella.
Mercoledì non lo avevo visto per niente, ma giovedì, di nuovo, avevo la lezione di arte in quinta ora, stavolta pratica.
Quando entrai in classe urlai internamente, vedendo che il banco dietro il mio era vuoto, e sperando che Aaron si sedesse di nuovo lì. Ma i minuti passarono, gli altri studenti presero posto, e il banco dietro di me fu sì occupato, ma non da Aaron. Avevo preso in mano la matita da una decina di minuti per iniziare a segnare le linee guida per il ritratto sul quale stavo lavorando, che era piuttosto importante, perchè la prof ci avrebbe assegnato un voto solo in base a quel disegno, quando sentii la porta dell'aula aprirsi per poi richiudersi subito.
-Si è deciso a venire, alla fine, Wolf.-
La voce stizzita della prof e quel cognome mi obbligarono ad alzare immediatamente lo sguardo.
-Può sgridarmi anche da seduto, o devo rimanere qui in piedi?-
Tutta la classe si mise a ridere sommessamente, mentre la prof lanciò ad Aaron uno sguardo furioso. Quanto cazzo era bello.
Non gliene fregava niente di far incazzare gli insegnanti o di far ridere gli altri, anzi, tutto ciò lo annoiava a morte, e si poteva vedere chiaramente dalla sua espressione. Quella frase non gli era uscita perchè voleva fare il simpaticone o il ribelle di turno che andava contro l'insegnate, ma perchè sapeva che il potere e i soldi di suo padre, che molti docenti conoscevano, impedivano al personale scolastico di andargli contro. E la cosa lo aveva sempre fatto imbestialire.
Quel lato di Aaron lo conoscevo benissimo, ed era una delle cose che mi erano piaciute di lui, quando eravamo più piccoli.
Sorrisi istintivamente, ricordandomi che qualcosa del suo carattere non era cambiata per niente, e che io ero l'unico a sapere cosa provasse davvero, almeno sotto quel punto di vista. Per il resto era sempre stato un gran casino capire cosa gli passasse per la testa ultimamente, e ultimamente per me significava "negli ultimi quattro anni".
-Prego, si metta pure comodo.- disse la prof con tono ironico, allargando un braccio e indicando un banco vuoto.
-Molte grazie.- le rispose Aaron, alzando in su gli angoli della bocca e strizzando gli occhi, come a dire "grazie al cazzo", per poi voltarsi verso i banchi e tornare alla sua espressione seria e indecifrabile. La prof continuò a dire qualcosa sulla tecnica per fare un ritratto, mentre Aaron lanciò una veloce occhiata alle mie spalle, senza cambiare espressione.
Stava controllando chi avesse rubato il suo nuovo posto?
I banchi vuoti erano solo due. Quello alla mia destra, e quello dopo ancora.
Si fermò al centro della classe, tra i due banchi, posando a terra lo zaino. Si tolse il giacchetto di pelle nero, rimanendo in piedi, senza fare caso agli sguardi interessati delle ragazze intorno a lui. Guardai con la coda dell'occhio le sue braccia muscolose, scoperte grazie alla maglietta nera a maniche corte e leggermente scollata che indossava, mentre posava il giacchetto sulla sedia del banco più lontano da me.
Non potei fare a meno di soffermarmi ad osservare le vene sulle sue braccia, per poi passare ai braccialetti di cuoio neri e marroni al polso destro, all'orologio digitale sul sinistro, e infine alle mani. E pensare che quelle mani mi avevano toccato e sfiorato qualche giorno prima, anche se per pochi secondi. Alzai lo sguardo sul suo viso quando mi resi conto che, dopo essersi seduto e essersi piegato verso lo zaino per prendere qualcosa, si era improvvisamente fermato. Mi stava guardando, chissà da quanto. Sicuramente si era accorto che lo stavo fissando, perciò si era immobilizzato. Distolsi immediatamente lo sguardo, maledicendomi. Tentai di concentrarmi sul disegno, deciso a non alzare gli occhi da esso nemmeno per un attimo, e per una buona mezz'ora ci riuscii anche. Poi la punta della matità andò a farsi fottere. Era talmente consumata che non riuscivo più a usarla. Mi guardai rapidamente intorno, alla ricerca di un temperino con il contenitore, per non alzarmi. E, ovviamente, non ce l'aveva nessuno. Sosprirai, poi presi in mano il mio temperino e mi alzai, andando verso il cestino. Una volta fermatomi davanti a esso, posai gli occhi sulle verifiche che la prof stava correggendo alla cattedra, anche se erano di un'altra classe. Controllai che la matita fosse appuntita e mi tirai distrattamente su i jeans. Appena mi voltai per tornare indietro, incrociai gli occhi di Aaron, intento a masticare una matita con fare nervoso, mentre teneva l'altro gomito poggiato sul banco e la mano in mezzo al suo ciuffo di capelli. E stavolta fu lui a distogliere lo sguardo in un lampo, riportando la sua attenzione sul foglio. Me ne tornai al posto come se niente fosse, col cuore che andava a mille.
Osservai il mio disegno come se non fossi stato io a crearlo, nei quaranta minuti precedenti.
Avevo disegnato la forma del viso, del collo, le sopracciglia e i capelli, anche se non era quello l'ordine giusto da seguire. Mi bloccai per un secondo.
Mi voltai di nuovo verso Aaron, che si reggeva la testa con la mano destra e faceva girare la matita sul banco con la sinistra. Tornai a guardare il disegno.
Cazzo.
Mi sentii di nuovo osservato e notai con la coda dell'occhio che Aaron mi stava fissando. Non guardando, ma proprio fissando. In quel momento mi ricordai del graffio ancora visibile sul mio collo. Forse era quello che stava osservando con tanta insistenza. Mi morsi il labbro inferiore, e poi decisi di voltarmi di nuovo. E stavolta nessuno dei due distolse lo sguardo. Aveva un'espressione rilassata, per niente sorpresa. Voleva che io lo guardassi, mi aveva provocato. Dopo dei secondi che mi parvero interminabili, una ragazza seduta alle sue spalle gli toccò il braccio, sporgendosi in avanti con il corpo. Si girò verso di lei, interrompendo il nostro contatto visivo solo quando anche la sua testa fu completamente rivolta verso la ragazza.
Tornai a concentrarmi sul mio ritratto.
Lo stavo davvero disegnando senza accorgermene. Sbuffai, poggiando il mento su una mano. Mi voltai di nuovo alla mia destra, ma solo perchè mi resi conto di non essere l'unico interessato a quella scena. Mezza classe era girata a guardare loro. La ragazza prese il braccio di Aaron, come se niente fosse, sorridendo. Prese una penna e cominciò a scrivergli qualcosa sul braccio. Sicuramente il suo numero.
Una volta finito, chiuse la penna con il tappo, masticando la gomma con la bocca aperta, per poi fargli un occhiolino. Aaron spostò lo sguardo dal suo braccio al volto di lei, lentamente.
-Grazie. Ti chiamerò sicuramente.- disse con un sorriso.
Quando si voltò, tornando a guardare davanti a sè, alzò gli occhi al cielo.
Non potei fare a meno di ridere, anche se a bassa voce.
Lui era scocciato e la ragazza dietro era super eccitata, in tutti i sensi.
Sicuramente se la sarebbe scopata comunque, come faceva sempre, ma quella scena mi lasciò una certa soddisfazione, anche se non erano affari miei.

Don't fade awayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora