Aaron
Dopo più di due ore di allenamenti me ne tornai a casa. Ancora con la divisa di basket addosso, completamente ricoperto di sudore, con una maglietta attorno al collo e una felpa sopra la canottiera per coprirmi dal freddo. Erano quasi le sei di sera, ma guardando il cielo così buio sembrava fosse già notte. Avevo pranzato in mensa con il resto della squadra, poi eravamo andati ad allenarci per la partita che si sarebbe svolta il giorno dopo nella nostra scuola. Mi piaceva allenarmi, mi piaceva andare da una parte all'altra del campo con il fiatone, mi piaceva sentire le goccioline di sudore che mi scendevano dalla fronte, mi piaceva sentire i muscoli doloranti e stanchi, mi piaceva rubare la palla ai miei avversari, mi piaceva giocare senza pensare a nient'altro. Gli allenamenti e la partita erano gli unici momenti della settimana in cui mi rilassavo e riuscivo a non pensare, di solito. Ma non quel giorno. Avevo fatto di tutto per non ricordare ciò che era successo in palestra, ma tutti i miei sforzi erano stati piuttosto inutili. Non potevo smettere di pensare a Caleb, a quello che avevo fatto, all'impressione che gli avevo dato di me, agli errori che avevo commesso ancora. Tentai per l'ennesima volta di scacciare tutti quei pensieri dalla testa. Passai davanti casa di Caleb, dall'altra parte della strada, osservando l'insegna accesa del bar di sua madre, per poi guardare all'interno, notando che quest'ultima era di turno, ma che lui non c'era. Abitavamo a duecento metri di distanza, ma non ci incrociavamo mai per strada. Doveva piacergli molto poco passare del tempo in quel bar, perché non lo vedevo mai, o molto raramente. O forse avevamo solo abitudini e orari molto diversi.
Arrivai davanti al cancello di casa mia, aprii quello piccolo con le chiavi ed entrai, camminando sul lungo viale di sassi alberato. Superai la piscina e finalmente arrivai davanti alla porta di casa, aprendo anch'essa con le mie chiavi. Salii subito al piano di sopra, in camera mia, dove trovai la mia amata domestica che mi sistemava i vestiti.
-Signorino, buonasera.- mi salutò, sorridendomi.
-Hai davvero intenzione di continuare a chiamarmi così, Barb?- dissi ridendo, lasciando cadere a terra lo zaino di scuola e il borsone di basket.
-Certo che sì. Perchè, non ti piace?- chiese mentre continuava a piegarmi le magliette per poi sistemarle nell'armadio.
-No, no. Se lo dici tu va bene. Mi fa solo strano il fatto che sia iniziato per scherzo e invece adesso mi ci chiami veramente...- dissi sorridendo e sedendomi sul letto.
-L'hai chiuso tu il cancello grande?- chiesi dopo un attimo di silenzio.
-Sì che l'ho chiuso. Quante volte ti ho detto di non lasciarlo aperto? Vuoi facilitare il lavoro ai ladri?-
Mi misi a ridere.
-Non mi dispiacerebbe in realtà...sai come ci rimarrebbero di merda i miei?-
Risi di nuovo, immaginando le loro reazioni.
-Non posso darti completamente torto, purtroppo, ma preferirei evitare che qualcuno venga qui ad ucciderti. Se i tuoi genitori sapessero che ti ho dato retta e ti ho lasciato solo in questa casa enorme per giorni senza averti preparto da mangiare e senza aver fatto le pulizie...-
-Non farebbero un cazzo.- dissi, completando la sua frase.
Mi lanciò un'occhiataccia contrariata, e alzai le spalle come a dire "è la verità". Infatti non disse nulla, proprio perchè lo sapeva.
-Li hai sentiti?- chiesi alzando la testa per guardarla.
Ci pensò un attimo prima di rispondere.
-Sì... Ieri ho parlato con tua madre. Ha detto che hanno provato a chiamarti, ma non hai risposto.-
Alzai gli occhi al cielo. Avevano provato solo una volta. Non avevo risposto proprio per vedere se avrebbero riprovato, ma niente.
-Bene. Ti ha chiesto se sono vivo o ti ha solo detto quant'è bello il posto in cui è adesso? Ah, aspetta, fammi ricordare. Era in Italia, o in Grecia?- chiesi divertito.
-Era... era in Italia fino a due giorni fa. Ora è in Francia, ha seguito tuo padre per lavoro, lo sai. Mi ha chiesto di te, comunque.- mi disse, come per difendere mia madre. Alzai le sopracciglia come se fossi sorpreso. Lei scosse la testa, ma poi rise.
La osservai per un attimo. Con i suoi 40 anni, era davvero una bella donna. Aveva due figli, un po' più piccoli di me, e un marito che la adorava. Mi conosceva da quando avevo 7 anni, e cioè da quando i miei genitori avevano deciso che fossi abbastanza grande per rimanere a casa da solo con la domestica, e che potevano concentrarsi sul lavoro, sulla loro azienda. Non avevo mai capito il perchè, ma Barb mi era piaciuta sin da subito. Forse perchè sia fisicamente che caratterialmente era l'opposto di mia madre, era simpatica e ispirava fiducia. Si era presa più cura lei di me, in quasi dieci anni, che i miei genitori in tutta la mia vita. Quando ero più piccolo stavano via al massimo per quattro giorni di seguito, partivano e tornavano in continuazione, o magari, a volte, partiva solo mio padre. Col tempo le cose erano cambiate e avevano iniziato a lasciarmi da solo con Barb sempre di più, fino a stare via per mesi interi. Ma ormai ci ero abituato. Ad un tratto Barb sospirò.
-Senti, Aaron...-
-È tutto okay, puoi tornare a casa, Barb. Vado a farmi una doccia.- dissi alzandomi.
-Tu vatti a fare la doccia, intanto io ti preparo qualcosa per cena, così sto tranquilla.-
-Grazie.- dissi accennando un sorriso.
Dopo aver fatto partire la musica del mio telefono al massimo del volume entrai in doccia, e a quel punto mi divenne impossibile non pensare a Caleb, nonostante il rumore. Non solo avevo scoperto di avergli lasciato dei lividi, ma avevo anche avuto un incontro ravvicinato col suo ragazzo, Mike. Un tipo del genere avrebbe potuto fare il modello, non avevo idea di dove l'avesse pescato. Non che fosse troppo bello per Caleb, però mi sembrava strano che fosse riuscito a fidanzarsi con uno così. O forse ero solo geloso. Sapevo benissimo che Caleb avrebbe potuto avere chiunque al suo fianco, o ai suoi piedi, per quanto era bello, e non solo fisicamente. Ma ammettere che quel di Mike fosse meglio di me sotto ogni aspetto era un duro colpo, nonostante fosse ovvio. Con quell'espressione sicura e quello sguardo di sfida, come a dire "Caleb è mio, non si tocca", mi aveva fatto letteralmente impazzire. Quanto avrei voluto essere al suo posto. L'avevo addirittura insultato, anche se non se lo meritava, anche se aveva fatto quello che avrei dovuto fare io. Poi avevo fissato Caleb in quel modo, avvicinandomi a lui. Forse lo avevo spaventato di nuovo, perchè quando lo avevo guardato negli occhi avevo visto un'emozione che non ero riuscito a decifrare. Sembrava sorpreso, era incazzato con me, ma c'era anche qualcos'altro. Almeno, ero riuscito a farmi guardare negli occhi dopo tanto, tanto tempo, anche se con disprezzo. Anche il disprezzo era meglio del niente, però. Bastava che mi prestasse un po' di attenzione ogni tanto, che non mi ignorasse sempre, come se non fossi mai esistito. Qualunque cosa sarebbe stata meglio del niente, se si trattava di lui. Mi ero sentito quasi felice, mentre osservavo l'azzuro dei suoi splendidi occhi, ma poi avevo notato le loro mani unite, e mi ero sentito uno schifo. Non avrei mai potuto tenergli la mano in quel modo. Non mi sarei mai meritato di essere difeso nel modo in cui aveva difeso il suo fidanzato. Sapevo di meritare solo indifferenza da lui, eppure faceva male comunque. Faceva male da morire, mi sentivo un peso sul petto, e volevo piangere, ma come sempre non ci riuscivo. Era come se tutte le mie emozioni, una volta accumulatesi, implodessero, invece che uscire, continuando a logorarmi dentro.
Cercai di concentrarmi sulla musica e dopo qualche minuto uscii dal bagno asciutto, tranne che per i capelli, e vestito. Scesi in cucina trovando bistecche e patate arrosto sul tavolo. Mi affacciai nel salone, trovando Barb comodamente seduta sul divano che guardava la tv.
-Ehi, hai fatto.- disse appena mi vide, alzandosi.
-Ma ti sei asciugato i capelli?- mi chiese subito, osservandoli.
-No, ora li asciugo.- dissi per evitare che mi sgridasse come un bambino che rischiava di prendere freddo.
-Mh...- mormorò, osservando la mia espressione. Sapeva che stavo mentendo. Si accorgeva sempre di tutto. O quasi tutto.
-Okay, me li asciugo subito.- dissi sbuffando.
-Fermo qui, te li asciugo io.-
-Dovresti andare a casa, hai dei figli e un marito che ti aspettano.-
-E ci andrò, subito dopo averti asciugato i capelli. Metti il tuo bel culetto su quel divano adesso, prima che ci lasci sopra l'impronta della mia scarpa.- disse sorridendo. Amavo il suo modo di parlarmi, così diretto e semplice. Scoppiai a ridere, sedendomi. Mi guardò sconcertata.
-Lo so, la cosa sorprende anche me. Avevo bisogno di ridere, forse.- dissi facendo spallucce.
-Oh santo cielo, devo correre a prendere il phon. Credo che tu abbia già preso freddo. Oppure io devo fare la comica invece della domestica, ma non credo sia il caso.- disse andandosene, quasi parlando da sola.
Sorrisi, osservandola mentre usciva dalla stanza. Sapevo quanto era felice quando riusciva a strapparmi un sorriso o una risata. Ero sicuro sapesse che era l'unica in grado di farlo. Oltre a Caleb, ma quella era un'altra storia.
Tornò con il phon e mi asciugò i capelli senza dire una parola, mentre guardavo un programma in tv, senza ovviamente capire cosa stesse succedendo per via del rumore dell'asciugacapelli. Dopo qualche minuto lo spense e iniziò a pettinarmi.
-Ma che ti è preso stasera? Pensi che io abbia di nuovo 7 anni?- chiesi voltandomi.
-Zitto. Lo so che ti fa piacere che io sia qui.-
Sbuffai.
-Certo che mi fa piacere, ma non sei tenuta a farlo.-
-Tralasciando il fatto che voglio stare un po' con te e che non me ne frega niente se questo è incluso o no nel mio lavoro, i tuoi mi pagano per gestire la casa e per prendermi cura di te. Ed è quello che voglio fare. Anche se loro non sono qui. Anzi, proprio perchè non sono qui.-
Sospirò, poi riprese a parlare.
-Ma come si fa, dico io. Lasciare un ragazzo come te da solo, in questa casa gigantesca.-
-Non importa, Barb. Tanto mi ignorano tutti.- dissi senza pensare.
A quelle parole si bloccò e smise di spazzolarmi i capelli. Si chinò sul divano per prendere il telecomando e spense la tv.
-Okay, ora basta. Adesso mi dici chi è.- disse mentre si sedeva accanto a me, ancora con la spazzola in mano.
Sbattei le palpebre più volte, perplesso.
-Chi è chi?-
-Ma come chi?! Di chi ti sei innamorato? Chi è che ti ignora?- mi chiese, scrutandomi gli occhi con i suoi grigio chiaro.
Mi paralizzai sul divano.
-Ma che stai dicendo?! Sei impazzita?!-
-Eh no, bello mio. Sto dicendo la verità. Chi è la fortunata?- insistette.
Il fatto che dovesse essere per forza una ragazza mi provocò una fitta al cuore. Distolsi lo sguardo.
-Aaron. Intendo chi è la persona fortunata, in generale.- disse dopo un attimo di silenzio, tornando più seria.
Mi girai di nuovo per guardarla. Sapeva che si trattava di un ragazzo? Come era possibile?
Mi accarezzò una guancia.
-Tesoro, non sto dicendo che secondo me sei gay. Sto dicendo che non cambia nulla se è maschio o femmina, non me lo devi dire se non vuoi. Pensavo ti facesse bene parlarne. È da tanto che ti vedo un po' strano, e non avevo mai pensato che fosse per amore finchè mio marito non mi ha dato l'illuminazione. Credevo fossi ancora troppo giovane per queste cose, ma a giudicare dalla tua espressione, direi che ho ragione...È che per me rimarrai sempre quel bambino di 7 anni che mi guardava con sospetto mentre i genitori me lo presentavano. Con quel broncio adorabile.- disse sorridendo.
-Grazie, Barb.- dissi, sinceramente grato per tutto.
Tolse la mano dalla mia guancia aspettando di vedere se avrei aperto bocca per parlarne oppure no.
-È nella mia scuola. Questa persona... sì, questo ragazzo... l'ho conosciuto il primo giorno delle superiori. Eravamo amici, però poi...ho rovinato tutto. E ora non ci parliamo più. Tranne quando lo tratto male e lo prendo in giro.- dissi poi guardando a terra, rimanendo sul vago, vergognandomi. Sperai non si ricordasse di Caleb, visto che anni prima lo aveva conosciuto. Non potevo credere di averlo detto a qualcuno. Che mi stava succedendo?
-Sa cosa provi per lui?-
Scossi la testa.
-E tu ne hai mai parlato con qualcuno, prima d'ora?-
Scossi di nuovo la testa. Mi guardò come se fossi un cucciolo ferito, in modo dolce e comprensivo. E stranamente non mi diede fastidio, anzi.
-Vieni qua.- disse allargando le braccia e attirandomi a sè.
Mi rilassai nell'abbraccio, godendomi il profumo dei suoi capelli, stupito e felice per il fatto che non mi stesse sgridando.
-Non so cos'è successo tra te e questo ragazzo, però deve essere davvero importante se l'hai lasciata entrare nel tuo cuore in questo modo, così tanto da non riuscire a dimenticarla dopo più di quattro anni. Se nessuna delle ragazze con cui sei stato te l'ha fatto dimenticare, forse dovresti tentare. Prova a cambiare atteggiamento nei suoi confronti, fa che capisca almeno perchè hai fatto quello che hai fatto, qualunque cosa sia stata. Non dico che sarà facile o che sicuramente sarai corrisposto, però almeno non avrai rimpianti. Solo perchè hai commesso degli errori, non significa che tu non possa rimediare o che non possa cambiare. Si può sempre diventare una persona migliore.-
La strinsi a me, per farle capire che avevo ascoltato tutto e che la stavo di nuovo ringraziando. Avevo paura di parlare, non sapevo cosa dirle.
-Lo so che pensi che sia tutto inutile e che tanto fai sempre di testa tua, ma pensaci.- disse poi, sciogliendosi lentamente l'abbraccio.
-Okay, Barb. Grazie, di nuovo.- dissi accennando un sorriso.
-E comunque se poi dovesse rifiutarti ci penserò io a spezzargli per bene le gambine.- disse facendomi l'occhiolino. Sorrisi, e lei ricambiò.
-Adesso vai a preparare la cena ai tuoi uomini! Forza!- dissi alzandomi.
-Sì, sì! Me ne vado!- disse prendendo giacca e borsa.
-Se hai bisogno di qualcosa chiamami, non rompere il cazzo. Chiama e io vengo. Subito.-
-Va bene, ti chiamerò.-
-Ciao, bell'innamorato.-
La osservai attraversare il viale, mentre ridevo scuotendo la testa.
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Don't fade away
RomanceCaleb e Aaron si conoscono a scuola, il primo giorno delle superiori. Diventano subito amici, e tra loro si crea un legame profondo. Ma dopo soli pochi mesi Aaron cambia, inizia ad ignorare Caleb e a fare improvvisamente nuove amicizie. Ma perchè lo...