Capitolo 7

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Malgrado la sua testardaggine, Jeremy Hunt era davvero in condizioni critiche. Se non fosse stato per la chiamata del Sergente Ramsey, probabilmente, sarebbe morto nel Campo di Addestramento del Settimo Distretto.

E non appena i paramedici lo fecero scendere dall'ambulanza per introdurlo nel Dipartimento Medico dell'SRF come codice rosso, anche Acke se ne accorse. Gli bastò un'occhiata, sì: era pallido, sudato, proprio come la prima volta che lo aveva visto steso sul lettino postoperatorio. Perciò restò immobile, gelò sul posto. Con un paio di faldoni stretti tra le braccia e gli occhiali tondi che, scivolati in avanti, si trattenevano a stento sulla punta del naso lentigginoso, osservò il seguito della barella e trattenne il fiato.

Non c'erano solo i membri dell'URC, ma addirittura il Comandante della Terza Armata, Sergej Jackson. Lo sguardo fisso in avanti, puntato lungo il corridoio e verso la porta dello studio del Dottor Howard.

Acke deglutì, certo che quella visita inaspettata fosse tutto fuorché un buon segno. Ma non si mosse, non osò aprire bocca, si spostò appena e rasentò il muro con le spalle. Nelle orecchie percepì lo stridere delle rotelle metalliche e il marciare dei soldati. Allorché rabbrividì, si sentì mancare, seguì l'intera Armata con la coda dell'occhio e socchiuse le labbra quando vide il Capitano dell'URC bussare alla porta del Dottor Howard. «Merda» soffiò.

E il Dottor Howard si presentò sull'uscio con aria assente, preoccupata. Nella mano teneva la cartella grigia di Jeremy Hunt, nella sinistra una tazza bollente di caffè appena versato. «È successo qualcosa?» Domandò, fin troppo conscio della risposta.

«Si accomodi, Dottor Howard.» A parlare fu direttamente il Comandante della Terza Armata. Sollevò una mano con il palmo rivolto verso l'alto e lo indirizzò vero l'interno dello studio. Allora, dopo aver fatto un cenno ai soldati dell'URC, si avvalse solo della compagnia di Daniel Begum per entrare.

«Immagino di sì...»

Quelle furono le ultime parole che Acke sentì pronunciare al Dottor Howard prima di vedergli chiudere la porta. E riuscì a guardarlo in faccia per un istante, a scorgerne il sorriso rassegnato. Deglutì a vuoto, con la gola improvvisamente secca e una strana morsa all'altezza dello stomaco. Poi si concentrò sui restanti membri dell'URC, li guardò da capo a piedi e nemmeno si curò di sembrare schivo o distante.

Parevano Guardie Svizzere, così si disse. Aveva letto di loro da qualche parte, magari in uno dei tanti tomi che aveva studiato nella Scuola di Preparazione, ma stentava a credere che potessero essere altrettanto legate a un qualsivoglia culto. Dopotutto l'intero SRF era dedito all'ateismo, alla scienza, allo sterminio delle minoranze religiose.

«Sei l'assistente del Dottor Howard?» Chiese un soldato dell'URC, fulminandolo a testa alta.

«Sì, sono il suo assistente» rispose spicciolo, riuscendo perfino ad aggrottare le sopracciglia. E la curiosità fu talmente forte da spingerlo ad avvicinarsi. Tuttavia venne fermato a due metri di distanza dalla canna di un fucile e trasalì sul posto.

«Mantieni le distanze, assistente.»

«Non mi sarei avvicinato se non fossi stato interpellato» replicò schietto, rinserrando la presa sui due faldoni. «Perciò potreste benissimo evitare di minacciarmi...»

«Nessuna minaccia» soffiò ancora il soldato dell'URC. «Solo un avviso: non oltrepassare la soglia.»

«Devo consegnare dei fascicoli» obbiettò. La verità era che entrambi i faldoni contenevano informazioni di poca urgenza, ma non lo disse.

«Trattano della recluta che è stata appena scortata qui dal Campo di Addestramento del Settimo Distretto?»

«No» disse.

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