Capitolo 12

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Jeremy aveva la gola in fiamme e lo stomaco che sembrava l'inferno. Stentava a credere che nelle proprie vene scorresse del sangue, perché era quasi certo che quella fosse lava – lava incandescente sotto la pelle, sì. E più si guardava attorno più si sentiva oscillare. Non sapeva se a girare fosse la stanza o lui stesso, tantomeno se i corridoi fossero davvero tali. Era spaesato, ubriaco, accaldato, e man mano che Sergej avanzava, lui si sentiva scivolare in un vortice senza fine.

Alle sue spalle, Daniel aveva tutta l'aria di un mastino ben addestrato: lo sguardo vigile, le orecchie attente, il passo spedito. Sapeva esattamente cosa desiderava Sergej e per questo non poteva fare a meno di detestarlo.

Tuttavia non si azzardò a obiettare quando questi decise di scendere nel seminterrato, né vacillò lungo le scale. Tenne semplicemente la mano destra premuta contro il muro e le labbra serrate, sigillate.

La luce era fioca, ricordava quella del posto cui era stato segregato per mesi dalla setta di pseudo-religiosi che lo aveva apostrofato come Euridice.

Un brivido gli percorse la schiena, lo fece fremere sul posto. Per poco non indietreggiò, non fuggì. Frenò i propri passi a un paio di gradini dal pavimento e guardò Sergej attraverso il velo appannato di lacrime che si ostinava a trattenere.

«Non hai bevuto abbastanza?» Chiese, forse più ironico di quanto avrebbe voluto o dovuto. Gli vide serrare i denti ed ebbe come l'impressione che potesse fare marcia indietro da un momento all'altro. Così sorrise, allungò la mano libera nella sua direzione e cercò di rassicurarlo. «Ho bisogno del tuo incubo» disse piano.

Jeremy vacillò, incespicò sui propri passi e per poco non finì in terra. Ma venne tenuto su dalla presa salda di Sergej. «Grazie» biascicò.

«Aspetta a ringraziarlo» sputò Daniel con fare rabbioso. E restrinse lo sguardo, si rivolse minaccioso a Sergej per poi strattonare Jeremy lontano da lui. Allora deglutì, si mosse verso il centro della stanza e fece vagare lo sguardo. «Non sai nemmeno cosa sta facendo, Hunt» ringhiò vicino al suo orecchio ferito.

L'interpellato aggrottò le sopracciglia, cercò di voltarsi per guardare Daniel, tuttavia lo perse di vista. Girò su se stesso, deglutì, ricacciò indietro un conato di Vodka e succhi gastrici. «E che sta facendo?» Chiese.

Sergej andò a sedersi su un divanetto rosso poco distante, accavallò le gambe e puntellò un gomito sul bracciolo più vicino. Non rispose, né intervenne. Lasciò che i due se la vedessero da soli, che lo rendessero protagonista per un attimo. E rimase distante, lucido, interessato all'irritazione di Daniel tanto quanto all'estraniazione di Jeremy.

«Ti sta usando» sibilò. Ma non aggiunse altro, perché farlo gli sarebbe costato troppo. Così deglutì, afferrò Jeremy per la nuca, e lo strattonò con rabbia. Le dita tra i capelli, le labbra vicino all'orecchio, disse: «Sta fondendo le nostre paure.»

Jeremy non rispose, quantomeno non subito. Cercò di schiarirsi la vista, di non fissare la luce della lampadina che puntava dritta nei suoi occhi. Ma non ci riuscì, no, e poté solo lacrimare, grugnire, lamentarsi con un: «Lasciami, Begum.»

«Io sono il Capitano Begum» scandì rabbioso. Alzò di poco il tono, gli addentò il collo e lo fece gemere sotto l'attento sguardo di Sergej. Per un attimo tornò a considerare l'assurdità che stava vivendo, il fatto che fosse tutto un perverso gioco cui non voleva prendere parte, ma poi si umettò le labbra e chiuse gli occhi. «Non mancarmi di rispetto» disse.

«Ma che cazzo...» Jeremy annaspò, si scostò da Daniel e barcollò fino al muro più vicino. «Ti ha dato di volta il cervello?» Sputo. Ma era come se le proprie parole gli rimbombassero nella testa, come se le mani non toccassero davvero la parete. Si sentiva presente e assente allo stesso tempo. «Se è uno scherzo... Non mi piace» disse piano.

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