Capitolo 50

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Loro non avrebbero dovuto essere il bersaglio del fuoco incrociato, tuttavia ci erano ugualmente finiti in mezzo. E più sparavano per avere salva la vita, più la calca di persone sembrava schiacciarli: da un lato la Prima Squadra d'Assalto, dall'altro gli uomini di Reed. Si sentivano come topi nell'angolo, ecco cosa. E non avrebbero mai voluto esserlo, no. Non riuscivano a fuggire, a scendere decentemente, e continuavano a sprecare munizioni per colpire indistintamente l'una o l'altra fazione e farsi strada. Eppure sembrava difficile se non addirittura impossibile. Tra le imprecazioni di Jeremy e i ringhi frustrati di un Daniel al limite della sopportazione, quel ristretto campo di battaglia sembrava essere diventato l'inferno in terra – e doveva esserlo, probabilmente, perché aveva tutta l'aria di assomigliare a un qualche assurdo girone dantesco!

«Ho un'idea» disse d'un tratto Jeremy, strattonando Daniel nella propria direzione.

Questi barcollò e per poco non perse l'equilibrio. Gli finì addosso, urtandolo con una spalla contro la schiena. «Qualche idiozia delle tue?» Fece ironico. «Sentiamo cos'hai da proporre questa volta...» soffiò stancamente.

«L'ho visto fare mentre stavo salendo a cercarti» grugnì con fare incerto. Osservò la porta dell'ascensore ancora chiusa e deglutì. Non era certo di poter fare una cosa simile, ma era senz'altro l'unica soluzione a portata di mano.

«Vale a dire?» Daniel seguì lo sguardo di Jeremy e deglutì a sua volta. Ma non aveva abbastanza tempo per pensare, tanto che non obbiettò quando lo vide spogliarsi del giubbotto antiproiettile. Boccheggiò solo un: «Che diamine stai facendo?»

«Aggrappati a me e non lasciarmi per niente al mondo» fece. Il suo tono non ammetteva repliche, era perentorio. Pareva quasi che avesse dato un ordine, ma Daniel non lo ritenne tale, non al momento.

Annuì, gli si avvicinò e si aggrappò alle sue spalle il più forte possibile.

«Stringiti bene, con le braccia attorno al collo e le gambe alla vita.»

«È imbarazzante» soffiò vicino al suo orecchio. Ma non oppose affatto, anzi. Seguì le sue indicazioni e chiuse gli occhi. Poco dopo si sentì mancare la terra sotto i piedi e trattenne il fiato. Con il cuore in gola e il sangue che rombava forte nelle orecchie, serrò i denti e le palpebre il più possibile. Poi iniziò a sentire un suono strano, stridente, e socchiuse gli occhi per cercare d'intravedere qualcosa. Solo allora si rese conto di cos'avesse effettivamente fatto Jeremy. E rabbrividì, serrò la presa attorno al suo corpo, sgranò gli occhi. In fondo alla gola, un urlo senza voce. «Cazzo...» annaspò.

Jeremy non rispose, non cercò neppure di rassicurarlo. Sentiva il sangue di Daniel bagnargli la schiena e i palmi di entrambe le mani che sembravano andare a fuoco malgrado il giubbotto antiproiettile che impediva il contatto diretto con il filo metallico dell'ascensore. E il tempo parve fermarsi, il cuore incalzare fin quasi a bucargli la cassa toracica. Più scivolava verso il basso, più si avvicinava al piano terra, e più aveva come l'impressione che qualcosa sarebbe andato storto. «Stringiti!» Gridò ancora, come spaesato. Era certo che Daniel non lo stesse facendo nel modo giusto, che sarebbe potuto scivolare da un momento all'altro. Ma quando sbatté le suole contro l'ascensore, quando gettò in terra il giubbotto bruciacchiato, si rese conto di aver nutrito un'inutile preoccupazione.

«Jenkins?» Domandò in un soffio Daniel, guardando Jeremy con il fiato corto.

«Come?» Jeremy provò l'impulso di calpestare il giubbotto antiproiettile, ma poi si disse che sarebbe stato inutile e che un po' di fumo avrebbe volentieri contribuito alla loro fuga.

«È stato lui a scendere in questo modo?»

«Sì, è stato lui» confermò. «Perché me lo chiedi?» Osservò dapprima le fiamme, poi il grigiore diffuso, infine lo spazio vuoto che avrebbero dovuto sfruttare per uscire.

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