Il Comandante Sergej Jackson non aveva chiesto il permesso per varcare quella soglia, lo aveva semplicemente preteso. E si era arrecato il diritto di setacciare con lo sguardo l'intero appartamento, di richiamarli all'ordine con un ruggito frustrato. Poi li aveva condotti in salone, li aveva fatti sedere sul divano e li aveva guardati dall'alto in basso. Stizzito, irritato, aveva fatto fremere entrambi con una sola occhiata. E allora, in men che non si dica, aveva scovato il primo tentennamento di Jeremy: il muoversi convulso del suo ginocchio destro.
«Sei nervoso?» Domandò. La voce improvvisamente placida, profonda.
Jeremy deglutì a vuoto, provò l'impulso di voltarsi per cercare una risposta nello sguardo di Daniel e si trattenne solo per non peggiorare la situazione. Aveva proprio l'impressione che Sergej fosse una bomba a orologeria appena innescata. «Un po'» ammise, cercando di abbozzare un sorriso. «Non mi sarei mai aspettato una visita del genere...» E venne subito interrotto dal ghigno sinistro di Sergej.
«No?» Fece questi, retorico. «Eppure mi sembrava di essere stato chiaro, Hunt: non hai il permesso di avvicinarti a Daniel se non in condizioni strettamente necessarie o pubbliche.» Lo vide impallidire, forse anche avvampare per la propria colpevolezza, e subito si lasciò andare a un sospiro frustrato. Incrociò le braccia al petto, fissò Daniel negli occhi e chiese: «Si è avvicinato?»
«No» mentì automaticamente, con la voce bassa e lo sguardo vacuo. «Tuttavia detesto questo tipo di conversazioni» aggiunse laconico.
«Le detesti?» Scandì. Sollevò perfino le sopracciglia e parve sorpreso, perplesso. Si chiese subito se fosse causa di Jeremy o se davvero Daniel avesse trovato la voce per rispondergli a tono. Ciononostante poté solo indurire i muscoli del viso e attendere la sua risposta.
«Le detesto» ripeté, assentì, annuì per rimarcare il concetto con più vigore. «Sono il Capitano dell'Unità di Reclutamento sul Campo, non un civile qualunque.» Si fermò un attimo, ricordando le parole di Jeremy. E si sentì avvampare da dentro, si sentì sporco, usato, indignato. Aggrottò le sopracciglia, alzò perfino la voce e disse: «Non sono un oggetto, Comandate Jackson.»
E questi non ebbe il coraggio di replicare. Batté le palpebre, puntò dapprima Daniel, poi Jeremy. Schioccò la lingua con fastidio, restrinse lo sguardo e si mosse verso il piano bar di Daniel per versarsi da bere come fosse a casa propria. «Non ho mai pensato che fossi un oggetto» mormorò. Ed ebbe la certezza di farlo vacillare pur non guardandolo. Con gli occhi puntati sul bicchiere pulito e sullo scrosciare del Whiskey, aggiunse: «Non ti ho mai trattato come tale, Daniel.»
Jeremy si morse le labbra, si voltò a guardare l'interpellato e cercò un barlume di lucidità nel suo sguardo assente. Non la trovò, perciò arricciò il naso e con stizza rispose al posto suo: «Cazzate! Se davvero lo ha mai considerato una persona e non un oggetto, allora non avrebbe dovuto impartirgli quell'ordine.»
«Quale ordine?» Sergej divagò, fece il finto tonto. Sorseggiò il Whiskey e fulminò subito Jeremy. Poi si umettò le labbra e attese di vederlo esplodere del tutto – perché sì, era certo che sarebbe esploso. E non si stupì del fatto che questi, alzatosi di scatto dal divano, avesse accorciato le distanze in un paio di passi. Dunque sollevò il mento, un sopracciglio, e riformulò: «A quale ordine ti riferisci?»
«Sa bene a quale ordine mi riferisco» scandì Jeremy, non mancando di mostrare la sua frustrazione con un'occhiata gelida. E forse sfidò Sergej, chissà, perché un attimo dopo si sentì afferrare per il collo e vide i suoi occhi sgranati, furiosi, puntati nei propri.
Daniel rimase immobile, gli occhi puntati sul bicchiere infranto al suolo e il respiro sempre più accelerato. Si sentiva in colpa, terribilmente in colpa, e più sentiva Sergej parlare più si dava dell'idiota per non averlo assecondato. «È stata colpa mia» disse piano. Si premette una mano sulla coscia ferita, fece stridere le unghie sulla stoffa e serrò le palpebre. Provò l'impulso di grattarsi, di farsi del male, di maledirsi a gran voce. Ma lo aveva appena fatto, no? Si era appena preso la colpa.
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Butterfly Theorem
ActionJeremy Hunt ha perso tutto, ogni cosa: non ha un posto dove stare, tantomeno un motivo per continuare a vivere. Ma non è il né il primo né l'ultimo. Sono ancora gli anni Settanta, tuttavia sembra che le lancette del tempo si siano fermate da un pezz...