Capitolo 32

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Il cuore di Jeremy, per un attimo, si era fermato. Aveva sussultato veloce, sì, ma poi si era bloccato all'improvviso fino a causargli un forte giramento di testa. E lui era rimasto lì, con gli occhi sgranati, di fronte alla salma della moglie di Sergej.

Un groppo in gola, nessuna possibilità di replica, la pressione delle dita altrui sulla spalla e un senso di estraneazione al di là della comprensione umana.

Infine, senza più parole a disposizione, si era lasciato trascinare fuori dalla stanza proibita con uno strattone. E solo allora aveva chinato lo sguardo, solo allora aveva tirato un sospiro di sollievo. Ma aveva visto, aveva conosciuto un segreto indicibile, aveva ascoltato la voce di Sergej mormorare parole assurde – perché sì, a detta di Jeremy era davvero troppo assurdo! Non a caso chiuse gli occhi. Lo fece inconsciamente, seguendo i passi di Sergej lungo il corridoio e percependo la propria gola farsi sempre più secca. Allora, mentre il sangue tornava a rombare forte nelle sue orecchie, si rese conto di aver avuto paura.

Sentì la pelle delle braccia accapponarsi sotto la divisa dell'URC. E provò freddo, timore, orrore: pensò a Daniel, al cadavere sotto vetro, alla follia di Sergej. Poi rabbrividì di nuovo, in silenzio, stringendosi nelle spalle e scendendo le scale che portavano al piano inferiore della villa.

Non fece storie, non disse una parola, smise perfino di punzecchiare Sergej. E questo perché si sentiva sotto tiro, perché si sentiva osservato – non a caso lo era davvero: Sergej non aveva smesso neppure per un momento di guardarlo, di fulminarlo, di provocarlo in silenzio.

Più i minuti passavano, più la tensione si faceva palpabile. L'aria sembrava irrespirabile, densa, fumosa. Ma non era colpa del camino acceso, no, magari del lento calare della sera. E Jeremy aveva come l'impressione di poterci annegare dentro, di poter morire da un momento all'altro.

Aveva osato avvicinare Daniel, lo aveva toccato, desiderato, amato. E se fosse tornato indietro nel tempo, probabilmente, non si sarebbe comportato diversamente, né avrebbe cambiato una virgola di quel rapporto contrastante che tanto lo aveva stuzzicato. Sarebbe finito con il cedere ancora, sì, e Sergej lo avrebbe chiuso di nuovo nella cella d'isolamento. Forse il suo temperamento poteva essere considerato recidivo, chissà, ma alla fin fine non gliene fregava un cazzo. Con quella consapevolezza, mandando mentalmente al diavolo Sergej, deglutì a vuoto e chinò lo sguardo.

Rimase in silenzio e, raggiunto il salone, non adottò né una postura troppo scomposta né una troppo formale. Dapprima con gambe incrociate e gomiti puntati sulle ginocchia, sulle cosce, e poi con le braccia incrociate, con entrambe le gambe tese e le suole sul pavimento. Non si dava pace pur restando fisso in un punto, no, perché era come andare a fuoco, era come se qualcuno lo pungolasse da dentro nel mentre che gli veniva tappata la bocca.

Dopo qualche ora percepì l'aroma di cucinato provenire da chissà dove e gli si strinse lo stomaco. Era ancora seduto sul divano, nuovamente indolenzito e senza antidolorifici. Il viso livido, malridotto, e i denti serrati dall'ansia, dalla rabbia. Si chiese se davvero potesse azzardarsi a mandare giù un boccone di quelle prelibatezze o se fosse finito come un topo nell'angolo – in trappola, avvelenato. Poi deglutì, incrociò le braccia al petto, pregò che i crampi del proprio stomaco non raggiungessero le orecchie attente di Sergej e attese. Sì, attese l'arrivo di Ezekiel Jenkins, della spia dell'SRF, della sua ultima speranza.

Non voleva incastrarlo, tantomeno aveva intenzione di rivelare i suoi movimenti illeciti con il Trazodone e le altre medicine che Sergej aveva messo al bando per la Terza Armata. Tuttavia, in qualche assurdo modo, l'idea di non essere l'unica preda lo tranquillizzava.

«Buonasera...»

Jeremy tentennò e serrò le dita sul bracciolo del divano. Non si mosse, anzi, e cercò di restare immobile come una statua. Udire la voce di Ezekiel che proveniva dall'ingresso di Sergej, per la prima volta, lo fece sentire al sicuro. E dovette trattenere un sospiro di sollievo, dovette frenare l'euforia, la voglia di alzarsi per corrergli incontro, quando a farlo fu il padrone di casa. Così deglutì ancora, bramando il momento in cui poter osservare i suoi occhi blu per cercare di comunicarvi dentro senza emettere un suono.

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