Capitolo 35

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Acke aveva una strana sensazione, si sentiva quasi schiacciato. Ma nello studio del Dottor Howard non c'era niente che non andasse, niente di diverso dal solito: scartoffie, lastre, fascicoli aperti e chiusi. Era una claustrofobia interiore, la sua, un brivido persistente o, più probabilmente, un fastidio instillato dal bacio di Duncan. E sì, ripensandoci non poteva essere altrimenti. Perché più guardava il Dottor Howard e più si sentiva in colpa.

«Sei stranamente silenzioso» disse questi, sorprendendolo.

«Ah, sì?» Acke cercò di abbozzare un sorriso, ma non riuscì del tutto a mascherare i propri crucci. Lo sapeva, perciò distolse lo sguardo e, facendo spallucce, si dedicò a una serie di fascicoli aperti per impilarli bene su quelli chiusi. «Non credo che sia così strano essere silenziosi...»

«Detto da te suona ancora più strano, Acke» lo riprese il Dottor Howard. Storse le labbra in un'espressione confusa, studiandone i movimenti con la coda dell'occhio. «Parli sempre, anche quando non è necessario» aggiunse in un soffio.

«Ho imparato a stare al mio posto» mormorò.

Il Dottor Howard corrugò appena le sopracciglia e disse: «Ne dubito.» Poi sospirò, raddrizzò la schiena contro la sedia e diede definitivamente le spalle ad Acke. «Mi stai nascondendo qualcosa?»

«Io?» Acke trasalì, quasi si fece sfuggire di mano un paio di fascicoli. «No, affatto.» Scosse la testa, cercò di essere il più convincente possibile. E arrossì, sì, non riuscì a farne a meno. «Perché dovrei?»

«È tutto il giorno che ti comporti in modo assurdo, che ti fai a stento guardare in faccia...»

«Mi sta psicanalizzando?» Acke ridacchiò – una risata asciutta, nervosa. «Non ce n'è bisogno, Dottor Howard. Sono solo un po' teso per la situazione che si è creata nel reparto, per tutto ciò che riguarda il Capitano dell'URC, l'SRF e lei.» Non mentì, ma si tenne sul vago per non destare sospetti.

«Va tutto bene, Acke» soffiò il Dottor Howard, abbozzando un sorriso. Si alzò dalla sedia e lo raggiunse con un paio di passi. Allora, guardandolo, sorrise più naturalmente e gli carezzò il capo. Ma non si azzardò a fare altro, no, e la cosa fece deglutire Acke con una punta di fastidio.

«Cosa significa?» Borbottò questi. «Mi tratta come se fossi un moccioso...»

Il Dottor Howard scosse la testa, negò l'evidenza. «Volevo solo rassicurarti» disse.

«Come si fa con i cani?» Acke schioccò la lingua sul palato e restrinse lo sguardo. Poi, senza aggiungere altro, si allontanò dal Dottor Howard e gli diede perfino le spalle. Con il cuore in gola e il fastidio nelle vene, si morse l'interno delle guance per non risultare ancora più spocchioso.

«Acke...»

Si sentì chiamare, tuttavia non si voltò. Il tono piatto, incolore, disse: «Non posso restare per il turno notturno, Dottor Howard.»

L'interpellato batté le palpebre con fare confuso, vedendo Acke sistemare i fascicoli che aveva in mano in una pila ben ordinata. E si trattenne, sì, perché avrebbe voluto rimproverarlo per il modo con il quale gli si era rivolto. Infine, sospirando, chiese: «Perché?»

«Ho da fare.»

La risposta troppo vaga di Acke gli fece aggrottare le sopracciglia, perciò incalzò con un'altra domanda: «Cosa?»

«Vorrei riposarmi, a dirla tutta...» mentì questi. «Ha qualcosa in contrario?»

«No, niente» disse. Storse appena le labbra in una smorfia contrariata, certo che l'atteggiamento di Acke non fosse normale. Ciononostante non disse niente, non obbiettò. L'osservò sistemare i fascicoli, appendere il camice al gancio accanto alla porta, infine disse: «Immagino che dovrò passare la notte sveglio al posto tuo.»

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