Capitolo 28

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Se solo la guardia non si fosse fatta viva per i turni di controllo fuori dalle celle d'isolamento, Jeremy avrebbe di sicuro perso il conto dei giorni. Ma proprio grazie alla sua presenza stizzita, al suo fastidioso fischiettare e al cibo da cani che gli veniva rifilato di tanto in tanto, riusciva ad avere una percezione decente del tempo trascorso in quelle quattro, dannatissime mura. E a non commettere errori con le medicine che gli aveva portato di straforo Ezekiel – cosa importantissima, perché una dose eccessiva di farmaci avrebbe potuto metterlo fuori gioco per tutta la vita, ne era consapevole.

«Che rottura di palle!» Sbottò d'un tratto, storcendo le labbra e sollevandosi a sedere sulla branda di metallo. «Non c'è nemmeno un medico da queste parti?» domandò a gran voce, sperando di essere raggiunto dalla guardia in prossimità della porta blindata.

«No, neppure l'ombra» confermò questi, sbuffando e sfogliando le pagine di un quotidiano. Le gambe accavallate sul tavolino e lo sguardo fisso sulle colonne piene di parole. «Perché?» Chiese svogliato.

«Mi hai detto che sono ridotto male, no?» Jeremy calcò la mano, indurì lo sguardo e cercò d'intravedere la guardia oltre il vetro sporco. «Vorrei essere visitato da qualcuno» aggiunse, venendo subito interrotto dalla risata arcigna di un chicchessia.

«Nessuna visita da queste parti, Hunt!» Disse il tale con fare divertito.

Allorché Jeremy capì che il tipo in questione era lo stesso del suo arrivo, l'unico che conosceva il suo nome e che lo infastidiva di tanto in tanto con qualche macabro racconto del suo passato. «Non l'ho chiesto a te» scandì forte, grugnendo. Poi vide la guardia avvicinarsi alla porta e sospirò. «C'è o non c'è?» Riprovò. «Non so come passare il tempo, non posso neppure allenarmi, fare gli addominali o le flessioni...» Si umettò le labbra, fece spallucce, cercò di essere il più remissivo possibile. «Dal momento che non so quanto tempo dovrò trascorrere in questo posto, vorrei almeno conoscere il mio stato di salute.»

«Se anche morissi, Hunt, non cambierebbe niente» sillabò la guardia. «In isolamento ci sono solo detenuti, reietti, membri di cui la società può fare benissimo a meno» disse. «Se sopravvivi, allora, hai qualche possibilità di entrare nelle Squadre d'Assalto, altrimenti...» E non concluse la frase, lasciò che Jeremy deglutisse per comprendere da sé il senso del discorso. «Intesi?»

«In quanto detenuto non ho nessun diritto?» Chiese. Gli vide sollevare un sopracciglio, poi mostrare i denti ingialliti in un ghigno sinistro per mormorare un:

«No, nessuno.»

«Fantastico, è davvero un piacere sentirsi dire una cosa del genere quando si è innocenti!» Ironizzò. Storse le labbra, deciso a non provocare ulteriormente la guardia. Infine, dando le spalle alla porta, tornò a sedere sulla propria branda. Con lo sguardo fisso in avanti, si accertò di essere nuovamente solo. Allora fece scorrere le dita lungo il bordo metallico e tagliente per intercettare una pasticca di antidolorifico che ingoiò con la saliva. «Devo uscire di qui» borbottò tra sé e sé. Chinò il capo, sorreggendosi la fronte con entrambe le mani.

E puntò il pavimento, poi le scarpe anonime che erano in pentdant con l'uniforme carceraria dell'SRF. Serrò le labbra in un moto di rabbia, trattenne i pensieri, cercò di allontanarli da Daniel solo per concentrarsi sulla situazione che stava vivendo attualmente.

Deglutendo a vuoto, sentì la gola arsa, le labbra spaccate dalla disidratazione, il taglio quasi rimarginato.

Inconsciamente si trovò a serrare i pugni sul margine della branda e a constatare come le scorte fossero terminate. Così chiuse gli occhi, sospirò, pregò di veder tornare Ezekiel con una nuova manciata di pillole provenienti dal dipartimento Medico dell'SRF – o, per meglio dire, dal Dottor Howard. Tuttavia, sentendo un brusio lungo il corridoio, sgranò gli occhi e tornò a guardare la porta con le sopracciglia corrugate.

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